di
Virginia Greco
28-03-2012
Lo scorso settembre i ricercatori dell’esperimento OPERA, situato nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, dichiararono che accurate e ripetute misure da essi effettuate sembravano indicare che i neutrini si propagassero a velocità superiore a quella della luce. Due settimane fa ICARUS, un esperimento indipendente collocato anch’esso nel Gran Sasso, ha pubblicato risultati in disaccordo con i precedenti.
Nella ricerca scientifica non si arriva mai a certezze conclusive: si elaborano teorie e se ne cerca la prova o la confutazione sperimentale, che comunque vale solo “fino a prova contraria”. Infatti, nuove scoperte possono sempre rimettere in discussione le conoscenze assunte in precedenza. Così come successivi esperimenti possono offrire nuove conferme alle idee poste sotto scrutinio.
Questo modo di procedere fa parte della quotidianità della ricerca scientifica e, in genere, le alterne sorti di idee e teorie restano argomento di dibattito tra gli specialisti del settore.
Accade invece a volte che alcune scoperte, o presunte-tali, attraggano l’attenzione del pubblico non esperto. Purtroppo il tam-tam di notizie che ne segue, insieme all’estrema divulgazione e semplificazione della materia in questione, provoca a volte la diffusione di notizie errate e l’espressione di giudizi non opportunamente meditati.
Ad entrare negli ultimi mesi nel frullatore mediatico, non sempre con esiti positivi per la ricerca ed istruttivi per il pubblico, è stata la vicenda della velocità dei neutrini.
Lo scorso settembre l’esperimento OPERA, il cui rivelatore è collocato nelle profondità del Gran Sasso, dichiarò che i dati da esso raccolti sembravano indicare che i neutrini si propagassero ad una velocità superiore a quella della luce.
La vicenda ha avuto degli sviluppi e ha di nuovo attratto a sé l’attenzione.
Prima di venire alle novità, facciamo un passo indietro.
I neutrini e l’esperimento OPERA
I neutrini sono particelle elementari prive di carica elettrica e di massa quasi nulla, le quali interagiscono pochissimo con la materia. Di conseguenza, esse possono propagarsi nello spazio e attraverso i corpi celesti per tempi lunghissimi, senza subire alcun effetto né generarne. Tale scarsa propensione all’interazione rende difficile l’intercettazione dei neutrini e lo studio delle loro caratteristiche. Per quanto l’interazione sia rara, non è però nulla, pertanto se si considerano grandissime quantità di neutrini, si possono rilevare degli effetti.
Al fine di indagare il comportamento di queste particelle evanescenti, fasci di neutrini prodotti al CERN di Ginevra (tramite scontro di protoni accelerati contro un bersaglio fisso) e che procedono attraverso la roccia in direzione del Gran Sasso, vengono qui rilevati da alcuni esperimenti i cui rivelatori sono collocati nel cuore della montagna. Per l’esattezza, ciò che si registra sono i prodotti delle occasionali interazioni dei neutrini con la materia di cui gli stessi rivelatori sono costituiti.
Secondo quanto annunciato in settembre dai membri dell’esperimento OPERA, dai dati da esso raccolti negli scorsi due anni, accuratamente e ripetutamente analizzati, si evinceva che i neutrini giungessero a destinazione circa 60 ns in anticipo rispetto ai fotoni (‘costituenti’ della luce). Una simile misura induceva a pensare che i neutrini si propagassero a velocità supraluminali.
Se questa interpretazione dei dati si fosse trasformata in una scoperta, ossia se la misura fosse stata indipendentemente confermata, essa avrebbe avuto ricadute su alcune teorie fisiche molto affermate (in primis la relatività ristretta di Einstein), le quali si basano sul principio che nessun elemento di materia o segnale possa spostarsi ad una velocità superiore a quella della luce.
La maggior parte dei fisici ha mantenuto un atteggiamento cauto e scettico, molti hanno cercato di suggerire possibili fonti di un errore di strumentazione che giustificasse tale misura, alcuni infine hanno cercato di immaginare spiegazioni teoriche (a scopo ludico o serio).
I ricercatori di OPERA, nel sottoporsi allo scrutinio della comunità scientifica, di cui hanno invocato la collaborazione per una comprensione dei risultati, hanno promesso che avrebbero continuato la ricerca di una possibile causa di errore e, soprattutto, avrebbero acquisito altri dati.
Al fine di migliorare l’affidabilità della misura, essi hanno cercato di ridurre l’incertezza statistica sull’istante di generazione dei singoli neutrini (per gli interessati, maggiori dettagli a fine articolo). Queste nuove misure hanno confermato quelle precedenti. Ciò ha convinto alcuni membri della collaborazione, che in un primo momento avevano preferito tenersene fuori, ad appoggiare la presentazione dei risultati.
Individuazione di due possibili cause di errore
A febbraio di quest’anno, però, OPERA ha dato un nuovo annuncio che ha riacceso il dibattito: due possibili fonti di errore sembravano esser state trovate.
In particolare, è stato rilevato un problema nella connessione di un cavo in fibra ottica, che porta il segnale di sincronizzazione (dato da un sistema GPS) dalla superficie alla profondità della roccia in cui l’esperimento è sito. Questo difetto sarebbe responsabile della sbagliata valutazione di un ritardo di propagazione del segnale, che avrebbe affetto il calcolo del tempo di arrivo dei neutrini: il risultato è, appunto, un tempo inferiore di circa 60ns a quello dei fotoni.
Un altro difetto riscontrato riguarderebbe invece il sistema che assegna agli eventi misurati le 'etichette temporali'. In pratica, quando i dati sono letti e registrati, ad essi deve essere assegnato un riferimento temporale: questo è necessario a ricostruire correttamente ciò che è accaduto nel rivelatore. Tali etichette sono date riferendosi ancora una volta al sistema GPS. Un errore nell’assegnazione dei riferimenti può falsificare i dati e produrre errori nel calcolo dei tempi di percorrenza.
Il problema che è stato rilevato sembrerebbe però andare nel senso contrario di quanto atteso, ossia esso provocherebbe un aumento del ritardo.
Quindi i due errori sistematici (ossia intrinseci al sistema), se confermati, in linea di principio potrebbero annullarsi l’un l’altro. Ma “i sospetti maggiori ricadono sul cavo in fibra ottica”, dichiarava Lucia Votano, direttore dei LNGS.
Per capire meglio la situazione occorre comunque attendere i nuovi dati che saranno raccolti con nuovi test nel prossimo maggio.
Misure di ICARUS in disaccordo
Nel frattempo però, i membri dell’esperimento ICARUS, il cui rilevatore è anch’esso collocato nei Laboratori del Gran Sasso, hanno reso pubblici dei risultati che sono in significativo disaccordo con quelli di OPERA. L’articolo in questione dichiara che, dall’analisi dei dati raccolti da ICARUS negli ultimi mesi, si evince che la velocità di propagazione dei neutrini misurata è prossima a quella della luce, come ci si aspetta dalla teoria.
La partita è dunque chiusa? Non del tutto. Non lo sarà almeno finché la collaborazione di OPERA non sarà in grado di affermare con certezza di aver individuato errori sistematici e replicherà la misura ottenendo un risultato in linea con quello di ICARUS.
In ogni caso, nella scienza nessuna partita è chiusa in senso definitivo. Il metodo scientifico offre solo 'certezze temporanee', non assolute. Per quelle sono state inventate le religioni.
Un po’ di dettagli tecnici, per chi ne ha voglia
Perché c’è incertezza sull’istante di 'nascita' dei neutrini?
Per comprendere questo concetto, torniamo al metodo con il quale i neutrini sono prodotti. Un fascio di protoni viene diretto contro un bersaglio: in seguito allo scontro si ha la produzione di un getto di particelle di vario tipo. La maggior parte di queste perde rapidamente energia e rallenta per interazione con la materia, dando origine ad altri effetti (ad esempio, si trasforma in particelle più leggere, che a loro volta generano interazioni). In sintesi, a poca distanza fisica e temporale dallo scontro, quel che resta del getto di particelle è solo un fascio di neutrini che, in virtù della loro scarsa propensione all’interazione, procedono sulla propria rotta.
Il fascio di protoni non viene inviato contro il bersaglio di continuo, bensì per brevi intervalli temporali, distanziati in maniera regolare. In pratica, si spediscono protoni a pacchetti 'distinti'. Ovviamente, più è estesa la singola finestra temporale in cui si invia il fascio, maggiore è l’incertezza riguardo all’istante esatto in cui un protone impatta con il bersaglio e dà origine ad un neutrino.
Per tale ragione OPERA, in collaborazione con il CERN, ha deciso di realizzare dei cicli di acquisizione di dati con una configurazione speciale del fascio di protoni, in cui i pacchetti fossero più piccoli (ossia le finestre temporali di invio dei protoni più brevi).
Com’è fatto ICARUS?
Il rivelatore di ICARUS si basa sull’impiego di un dispositivo chiamato TPC (Time Projection Chamber, ossia Camera a Proiezione di Tempi).
Schematicamente, si tratta di un cilindro riempito di un fluido (per ICARUS, argon liquido) ultra-puro, cioè non 'contaminato' da atomi di altri elementi, sottoposto a un campo elettrico ed un campo magnetico paralleli. Quando particelle cariche, nel nostro caso prodotte dall’interazione dei neutrini con la materia circostante, passano attraverso il rivelatore, ionizzano gli atomi di argon, vale a dire che strappano loro un elettrone. Tali elettroni liberi si muovono sotto l’effetto del campo elettromagnetico e inducono corrente su fili metallici posti alle estremità del cilindro. Il segnale elettrico così generato viene 'letto' da un sistema elettronico.
L’analisi di tali segnali permette di ricostruire la traiettoria percorsa dalla singola particella e la sua energia. Fili posti perpendicolarmente gli uni agli altri forniscono informazioni relative a due coordinate. La terza coordinata viene derivata dal tempo di volo dei vari elettroni prodotti per ionizzazione, ossia il tempo da essi impiegato per raggiungere gli estremi della camera.
Maggiori dettagli sulle varie parti del rivelatore, sull’elettronica per l’acquisizione e la selezione dei dati, nonché sui risultati delle misure effettuate finora, sono rintracciabili sul sito ufficiale dell’esperimento.