di
Simone Perotti
22-04-2011
"Siamo stati per duemila anni il popolo del genio e oggi (più che mai) disprezziamo le doti e la qualità dell’individuo. Le disprezzano il Sistema italiano e le imprese ma, soprattutto, le disprezziamo noi stessi tutte le volte che ci convinciamo che non sia possibile fare o tentare e che non sia già oggi il momento giusto per comportarci secondo regole migliori di quelle ufficiali".
Mi ha molto colpito chi mi ha scritto dicendomi: “Parli facile tu. Tu fai lo skipper, scrivi… E chi non sa fare queste cose?”. Questa persona suppone che io sia nato col timone in mano e firmando già autografi sui miei libri. Soprattutto sospetta che io sia nato imparato, o che qualcuno mi abbia dato fin dall’inizio dei privilegi negati ad altri. Non gli passa neppure per la testa che c’è stato un tempo in cui non sapevo neppure nuotare, come tutti, e neppure tenere in mano la penna, come tutti, e che da allora ad oggi abbia molto sudato, mi sia molto intestardito, abbia insistito… insomma ci abbia provato e ci stia provando con tutte le mie forze.
Non la sfiora certamente l’evidenza che ognuno di noi può partire dal basso, imparare, specializzarsi, senza aiutini, senza sfiga, ma con molta voglia di tentare. Il fatto che non sia così non lo ammette neppure, perché vorrebbe dire che deve darsi da fare anche lei, perdere l’alibi della fortuna e della provvidenza, smettere di lamentarsi che “piove governo ladro” (che palle!), diventare serenamente laica e… vivere.
Qualcun altro mi dice: “Beh ma tu hai una barca, è facile per te!” Anche costoro ignorano che ho fatto un progetto per avere la barca senza pagarla, dunque mi sono spremuto le meningi, ascoltando pareri, chiedendo, etc. Poi ho rischiato che il sistema non funzionasse, mi sono dato molto da fare per trovare clienti, per far lavorare il mio First 36.7 di undici metri. Nel frattempo è corso sudore, fatica, ma ce l’ho almeno in parte fatta. Non proprio come volevo (speravo di guadagnarci!) ma almeno ho una barca e non la pago. Tutto venuto dal cielo?
Noi, più degli altri, viviamo in un beffardo paradosso: la nostra cultura ha sempre espresso genialità ed eccellenze individuali, eppure siamo tutti convinti che la realtà sia regolata da malora e provvidenza. Dal paganesimo fino a Verga, e dal cristianesimo fino a Manzoni e al Papa, domina la scena il culto della sfiga e quello dell’aiutino (per aggiornare i concetti al linguaggio televisivo corrente).
Se qualcuno fallisce, quasi sempre “è stato sfortunato”, mentre se riesce e ha successo “l’ha aiutato la provvidenza” (o qualche raccomandazione). Il caso della 'raccomandazione', effettivamente, dal dopoguerra a oggi, ha assai confermato il credo nell’aiuto dall’alto. Tuttavia, nessuno come noi disprezza l’impegno individuale, la fiducia nei propri mezzi, l’ottimismo della volontà e dell’azione. Siamo stati per duemila anni il popolo del genio e oggi (più che mai) disprezziamo le doti e la qualità dell’individuo.
Le disprezza il Sistema italiano, che lascia spesso ai margini i migliori e promuove gentaglia. Le disprezza la scuola, l’università, dove essere bravi oppure no non genera alcun effetto differenziale. Le disprezza l’impresa, che tende ad americanizzarsi sempre più preferendo qualità medie che svolgano a qualità superiori che innovino. Ma le disprezziamo soprattutto noi, come individui, ogni volta che ci convinciamo che non sia possibile fare, che non sia possibile tentare, che non sia già oggi, ora, il momento per comportarci secondo regole migliori di quelle ufficiali.
Questo non vuol dire dimenticare l’enormità delle ingiustizie o delle storture del Paese, né sottovalutare gli impedimenti oggettivi che abbiamo davanti ogni giorno. Vuol dire però tentare di contribuire con la propria prestazione, con il proprio impegno, con il proprio ottimismo a un miglioramento complessivo della nostra vita, che sarà diversa solo quando ci saranno persone diverse in circolazione.
Diverse perché hanno tentato e, in parte (come tutti), sono riuscite. Diverse perché avranno contribuito ad aumentare la minoranza di chi si dà da fare, di chi modifica la propria storia con coraggio, contro le difficoltà (oggi ce ne sono assai meno di un tempo), testimoniando che per un mondo migliore serve gente migliore, e solo allora diventa possibile. Politica, amministrazione, sistemi economici, scuola, cultura, informazione smetteranno di decadere come logica, naturale conseguenza.
Cambiare vita, godere del mare (o dei monti…), vivere la navigazione (o il golf o il cucito…), oggi, con amore, con passione, è possibile. Basta fare una serie di cose difficili e impegnative, e basta smetterla di pensare a malora e provvidenza, che non esistono. Mentre noi ci siamo, eccoci, siamo qui.
Istruzioni per l’uso:
- La malora non esiste. Quando si fallisce l’occasione è d’oro per capire dove abbiamo sbagliato.
- La provvidenza non esiste. Quando si ha successo occorre capire perché.
- Fare o non riuscire a fare, sono proiezioni della convinzione. Un uomo convinto, appassionato, riesce sempre a fare qualcosa di buono lungo la sua strada.
- Ogni lavoro costa fatica. La fatica è un buon segno, vuol dire che provvidenza e malora stanno da una parte, mentre l’impegno è al centro.
- Provare a fare quello che si pensa non sia possibile, è un buon test. A volte è davvero impossibile, ma tentare dà concretezza alle nostre affermazioni. Soprattutto, se diremo “non si può” lo diremo con cognizione di causa.
- Smettiamo di lamentarci e progettiamo. Il primo fattore di insuccesso è un cattivo progetto.
- Smettiamo di cercare di immaginare (con malizia) perché gli altri riescono. È un ottimo modo per sprecare energie e non fare noi quello che poi invidiamo negli altri.
- Fallire è sano, vuol dire che si è tentato. Fallire per mancanza di tentativo è deprimente, frustrante, fallimentare. Un buon fallimento è esperienza, non disonore. Vuol dire che la prossima volta faremo meglio.
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