di
Francesco Bevilacqua
29-07-2011
Per interpretare un avvenimento e per contestualizzarlo è fondamentale possedere un’informazione completa. Senza voler proporre una spiegazione preconfezionata, vogliamo fornire una serie di dati che il circuito mediatico non ha voluto o potuto proporre, ma che possono essere utili per analizzare la tragedia norvegese in maniera più completa e consapevole.
Anche a un’analisi più approfondita, la Norvegia sembrerebbe corrispondere a tutti quegli stereotipi e luoghi comuni attraverso cui da tempo si racconta la realtà del paese scandinavo, il classico posto dove il tenore di vita è molto elevato, criminalità e degrado sono quasi inesistenti, l’economia è solida, c’è uno stato assistenziale efficientissimo, va tutto molto bene, quasi troppo, tanto che saltuariamente capita che avvengano suicidi “per noia” – credenza smentita dai numeri, che confermano che la Norvegia è in media con gli altri Paesi per quanto riguarda il tasso dei suicidi. L’ordinamento politico è una monarchia costituzionale, con un equilibrio elettorale abbastanza stabile, guidato dalla coalizione di Jens Stoltenberg; i partiti maggiori – quello socialdemocratico, quello progressista e quello conservatore – sono rispettivamente al 35%, 22% e 17%.
Oltre la facciata, però, ci sono dati e informazioni che rendono la Norvegia una realtà ben più interessante di quanto appaia dalle comuni credenze. Il primo aspetto che, naturalmente, è a conoscenza di tutti ma è anche molto significativo, è che la Norvegia non fa parte dell’Unione Europea e il sistema valutario si affida ancora alla corona norvegese e non all’euro. L’istituzione finanziaria principale del paese è la Norges Bank, la banca centrale, fondata nel 1816 e controllata dallo Stato. Se vi sembra strano, pensate che le quote della Banca d’Italia in mano statale sono un misero 5% detenuto dall’INPS. E non è tutto. Nel 2009 Norges Bank ha denunciato il fondo d’investimento americano Citigroup “per aver emesso informative false e non aver fornito alcuni materiali informativi agli investitori”, provocando una perdita netta di circa 700 milioni di dollari.
Parlando di debito pubblico poi, le performance norvegesi sono fra le migliori d’Europa: secondo Eurostat, infatti, il debito del paese scandinavo, oltre a essere molto stabile, è attestato intorno al 44% del PIL, laddove la media dell’Unione è dell’80% e il valore italiano è pari al 119%. Ma quella del paese della Corona non è solamente una gestione economica oculata delle proprie risorse. Anche la finanza deve infatti sottostare a rigidi criteri di eticità e compatibilità sociale. L’esempio più lampante è il Fondo Pensionistico Governativo, un fondo etico che, diretto dalla Norges Bank, gestisce i proventi provenienti dal commercio petrolifero – estremamente fiorente in Norvegia – attenendosi rigidamente ai principi indicati da un Comitato Etico e fondati su precise linee guida stilate in precedenza. Alcuni esempi? In passato il fondo ha bloccato gli investimenti diretti verso il colosso della GDO Wal Mart, colpevole di comportamenti lesivi dei diritti dei lavoratori, e ha fatto lo stesso nei confronti della cinese Dongfeng Motor, in contatto con il regime repressivo del Myanmar.
Questo argomento ci permette di traghettare il discorso verso una questione altrettanto importante: quella energetica. La Norvegia, con una produzione di più di un miliardo di barili l’anno, è il terzo esportatore mondiale di petrolio dopo Arabia Saudita e Russia. I proventi dell’attività, come spiegato poc’anzi, sono reinvestiti secondo criteri etici e affatto allineati con le tendenze del mercato globale. Anche la politica energetica norvegese è indipendente e non allineata: è di pochi mesi fa lo storico accordo siglato fra Norvegia e Russia riguardante le esplorazioni petrolifere nell’Artico, che ha operato una decisa saldatura fra il paese scandinavo e il blocco eurasiatico. L’intero settore petrolifero è inoltre nazionalizzato: la vecchia Statoil, ora StatoilHydro, è controllata al 71% dal governo, mentre la Petoro è interamente sotto controllo pubblico. Insieme le due compagnie danno lavoro a quasi centomila persone. Infine, nonostante sia uno dei pezzi più grossi del mercato del greggio mondiale, la Norvegia non fa parte dell’OPEC.
Per quanto riguarda la politica estera, la Norvegia ha dichiarato di voler cessare la sua partecipazione ai raid aerei sulla Libia entro e non oltre il primo di agosto, così da non sforare rispetto al periodo di tre mesi inizialmente concordato. Ovviamente questo atteggiamento “poco collaborativo” ha indispettito non poco la NATO e soprattutto gli Stati Uniti. Infine, è stata la Norvegia il primo paese europeo a fare il passo di riconoscere lo stato Palestinese o almeno dichiarare ufficialmente l’intenzione di farlo, per bocca del suo ministro degli Esteri Jonas Gahr Stoere.
C'è da chiedersi: “Perché tutte queste informazioni, che interessi coinvolgono la Norvegia, che ruolo gioca nello scacchiere delle potenze mondiali, come mai improvvisamente è finita nell’occhio del ciclone?”. Volutamente abbiamo evitato di cadere in un articolo complottistico, dietrologico, magari visionario. Molti però si sono chiesti se quello che è stato raccontato sulle stragi norvegesi del 22 luglio corrisponda a verità o sia stato, parzialmente o integralmente, manipolato per nascondere un’altra verità. Non pretendiamo di essere portatori dell’una o dell’altra versione, anche perché spesso fra la notizia giornalistica e la fantasia visionaria esistono molte varianti intermedie, più realistiche di entrambe. Semplicemente abbiamo cercato di evidenziare quelle informazioni, quegli spunti di riflessione che il circuito mediatico non ha voluto o potuto proporre, ma che invece, riteniamo, possono essere utili per analizzare i fatti in maniera più completa e consapevole. Forse un piccolo tassello per comprendere una situazione apparentemente incomprensibile e farsi un'idea.
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