Nuova Zelanda, non si ferma la marea nera

Proseguono senza sosta le operazioni di trasferimento del carburante dalla Rena, la nave cargo incagliatasi a nord della Nuova Zelanda provocando la fuoriuscita di una 'marea nera'. Dalle ultime perizie sembra che lo scafo non dovrebbe rompersi, anche se un'ondata di maltempo preoccupa i tecnici. Intanto migliaia di volontari lavorano per ripulire la costa dal petrolio e salvare la fauna locale.

Nuova Zelanda, non si ferma la marea nera
Procedono senza sosta le operazioni per bloccare le perdite di combustibile dallo scafo della Rena, la nave cargo incagliatasi oramai 12 giorni fa sulla barriera corallina della costa settentrionale neozelandese. Le informazioni che ci arrivano sono contrastanti. Fino a poche ore fa i tecnici parlavano di una imminente rottura dello scafo, che avrebbe fatto affondare la nave assieme al suo letale contenuto. Le notizie dell'ultima ora parlano invece di una situazione che va stabilizzandosi. Pare infatti, da una perizia più approfondita, che la falla non sia tale da causare una frattura della nave in due tronconi. Ciononostante, l'arrivo di una ondata di maltempo non lascia dormire sonni tranquilli. "È spaventoso. Il cargo geme, fa rumori terribili. È una nave in agonia", ha raccontato Bruce Anderson, un responsabile delle operazioni. All'interno della Rena restano ancora 1.400 tonnellate di carburante. In queste ore dei tecnici stanno tentando di aspirare l'olio combustibile evitando che si disperda in mare. Fino ad ora sono state trasferite circa 21 tonnellate e le operazioni procederanno finché il tempo lo permetterà. Salgono intanto a 350 le tonnellate di petrolio riversatesi in acqua, assieme a 88 container scivolati in mare dal ponte della nave. Proprio quei contenitori colorati ammassati a formare una sorta di enorme cubo di Rubik sono una fra le maggiori preoccupazioni per la contaminazione dell'ambiente: sul loro contenuto infatti si sa ancora poco e non si esclude che possano contenere materiali tossici. Migliaia di volontari, nel frattempo, si sono mobilitati per ripulire le coste colpite dal disastro. Si sono presentati in 5.500 ai centri di raccolta e di organizzazione dei lavori di pulizia, e alcune imprese locali hanno messo a disposizione mezzi e risorse per facilitare il loro lavoro. A dar loro una mano potrebbe essere persino il maltempo. Ha spiegato Todd Graham, della protezione civile marittima, che “se il vento soffia verso il mare il combustibile si disperde in zone diverse. Abbiamo notato negli ultimi giorni che le aree dove è arrivato il carburante il giorno successivo erano relativamente pulite perché l’acqua si muove con le correnti. In generale, con la bassa marea il petrolio viene depositato sulla spiaggia, il che ci dà l’opportunità di andare a raccoglierlo”. Le condizioni però restano critiche. Il petrolio ha ormai raggiunto circa 60 chilometri di costa della Bay of Plenty nell'area di Tauranga, famosa tra surfisti e pescatori. Il bilancio parziale è di circa 1.300 uccelli morti a causa del disastro; altri 207 - e tre foche - recuperati e trattati in un centro specializzato. Intanto il governo neozelandese si è mosso per accertare le cause e le eventuali colpe del disastro. Resta da capirte infatti, come una nave di 236 metri per 47.230 tonnellate di stazza si sia potuta incagliare in una barriera corallina ben indicata sulle carte nautiche in condizioni - quelle del 5 ottobre - di mare calmo e visibilità ottima. Il comandante e il secondo ufficiale sono stati già arrestati e incriminati per attività pericolosa che coinvolga navi o altri prodotti marittimi. Entrambi rischiano fino a 12 mesi di carcere e una multa di quasi seimila euro, ben poca cosa a fronte del danno procurato. Quasi ad ulteriore beffa per chi si batte perché questo genere di disastri non avvenga più, giunge proprio in questi giorni la notizia che la British Petroleum tornerà probabilmente a trivellare nell'area del Golfo del Messico, visto che il Bureau of Safety and Environmental Enforcement l'ha ammessa alla gara per aggiudicarsi i diritti di trivellazione in quell’area. Michael Bromwich, a capo dell’organo, ha motivato la decisione con la seguente dichiarazione: "Non si concede la pena di morte sulla base di un solo incidente". Neppure se quell'incidente è stato il più grave della storia, evidentemente.

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