Cresce in tutto il mondo occidentale, ma non solo, la percentuale di persone obese che, a causa del sovrappeso, corrono il rischio di ammalarsi gravemente. La soluzione più efficace per far fronte a questa problematica è quella di modificare le nostre abitudini alimentari, cominciando a ridurre la carne che mettiamo nel piatto.
In tutto il mondo occidentale, ma non solo, è sempre più drammatica la crescita della percentuale di persone obese, le quali, come conseguenza di questa loro condizione, si ammalano gravemente: diabete, ipertensione, ictus, infarti sono i rischi concreti che corrono per la loro salute.
In Italia rappresentano l’8% (5 milioni) e potrebbero diventare 20 milioni nel 2025, mentre la metà dei bambini obesi (abbiamo il triste primato europeo per numero di bambini obesi sotto i 9 anni) già soffre di colesterolo alto, ipertensione, rischio di infarto. Una questione di salute, ma con risvolti anche sociali e economici. Sulla sanità pubblica l’obesità infatti potrebbe arrivare a pesare il 20% (30 miliardi di euro) nel 2025 e già oggi il fenomeno ha un costo per i contribuenti italiani di 8,3 miliardi di euro (come afferma uno studio di Repubblica).
Alla luce di questi dati è ancor più spaventosa l’inerzia delle autorità nell’affrontare un problema. Se da un lato junk food e bibite gassate sono stati individuati da tempo come i principali responsabili del sovrappeso nei bambini, e quindi presi di mira con campagne informative (a dir la verità negli USA, in Italia non ancora) è ad oggi molto carente, se non nulla, la promozione a livello istituzionale dell’alimentazione vegetariana, l’unica vera protezione contro infarti, ipertensione, ictus, diabete, e quindi garanzia, oltre che di salute, anche di maggior longevità!
Come afferma il Dr. Neal Barnard, fondatore del Physicians Committee for Responsible Medicine, “molte persone ancora non hanno recepito quanto le scelte alimentari possano fare una tale, enorme differenza”. “Se le istituzioni facessero informazione sul collegamento che esiste tra le cosiddette ‘malattie del benessere’ - ipertensione, diabete, problemi cardiovascolari - e una dieta ricca di carne e prodotti lattiero-caseari si indurrebbe un graduale mutamento nello stile di vita e l'onere dei costi sanitari pubblici si ridurrebbe”.
In Inghilterra una ONG con sede a Londra, la World Preservation Foundation, ha distribuito a tutti i parlamentari il suo recente studio dal titolo Diete a base vegetale: una soluzione alla nostra crisi di salute pubblica che fornisce una panoramica molto esauriente, avvalorata da studi universitari, di come un passaggio a una dieta priva di carne e latticini riduca drasticamente l’incidenza di alcune delle malattie più diffuse che oggi influiscono sulla salute pubblica inglese.
Perché nel Regno Unito si innalzano da sempre più parti voci e iniziative a favore di un radicale cambiamento delle abitudini alimentari? Sicuramente perché molti sono i campanelli d’allarme sul fronte della salute. A parte l’ombra della mucca pazza che incombe, sono i dati delle malattie più comuni a spaventare: oltre il 60% della popolazione inglese è in sovrappeso o obesa. Le malattie cardiovascolari da sole uccidono quasi 200.000 persone nel Regno Unito ogni anno, al costo di oltre £ 30 miliardi.
La mission della ONG World Preservation Foundation è proprio quella di avviare una discussione e incoraggiare il governo ad affrontare le cause profonde dei problemi che incidono sulla salute umana in modo efficace e possibilmente economico. D’altra parte quale soluzione più economica (che gioverebbe anzi al budget domestico) e immediata se non quella di cominciare a ridurre la carne che mettiamo nel piatto? “Il nostro obiettivo è di servire il governo nella pianificazione di tali misure, attraverso progetti e iniziative. Il Regno Unito avrà così un ruolo di punta nella promozione di politiche e incentivi per la protezione dell'ambiente e la salute”.
Nello studio citato si riporta un interessante elenco di soluzioni operative. Innanzitutto si prospetta l’introduzione di una tassazione più alta sui prodotti a base di carne e latticini, che rifletta in maniera proporzionale i loro costi ambientali (notoriamente altissimi, dell’ordine di 10:1 rispetto ai prodotti vegetali) e sanitari esattamente come si fa per altri prodotti che minano la salute, come il tabacco.
Si propone poi la costituzione di una task force per sviluppare e valutare le migliori strategie per favorire uno spostamento della società verso la nutrizione a base vegetale, nonché la formazione costante degli operatori sanitari sui vantaggi di diete ‘veg’ e ancora la creazione di centri di informazione nutrizionali per il pubblico. Infine l'introduzione di opzioni di menu più salutari, quindi vegetariani, negli ospedali.
Quest’ultimo punto ha già perso piede in Inghilterra dove le strutture sanitarie sono state invitate dal NHS (National Health Service) a ridurre rapidamente i prodotti di origine animale nel piatto dei pazienti, con un pasto interamente vegan a settimana.
Sulla medesima linea di WPF si inquadra l’operato di un’altra associazione, questa volta in Germania, che si pone l’obiettivo di dialogare direttamente con le istituzioni per operare un cambiamento dall’alto. Si tratta di una vera e propria associazione di consumatori, specializzata nel settore alimentare, come si evince dal nome: FoodWatch.
“Tenere d’occhio il cibo che mangiamo, fare attenzione”, questo sembra esser il monito. Anche Foodwatch chiede con forza la tassazione dei prodotti di origine animale insistendo più che altro su quella che è la seconda nota dolente della dieta onnivora: l’impronta ambientale, ossia la produzione di gas serra e il prelievo indiscriminato e sempre più insostenibile di risorse (acqua, terreni) dal pianeta, ad opera proprio dell’industria della carne.
Un rapporto redatto dall'Istituto tedesco per la Ricerca sull'Economia Ecologica (IOeW), e pubblicato da Foodwatch, affronta in modo analitico il tema dell'impatto dell'agricoltura e dell'allevamento sull'effetto serra, esprimendolo con l’indicatore Km-cibo, ossia l’equivalente in Km percorsi in auto che la produzione di carne comporta in termini di CO2 immessa in atmosfera.
Lo studio, nemmeno a dirlo, dimostra l’ impatto enormemente superiore della carne rispetto a cibi vegetali: 4758 i km-cibo corrispondenti all’impatto annuo procapite di un onnivoro contro i 2427 Km-cibo di un vegetariano e i 629 di un vegano. Dati che si commentano da soli.
La soluzione – visto anche l’incremento della popolazione mondiale e quindi alla produzione di carne – è senza dubbio una diminuzione dei consumi di carne, latte e formaggi, non vi sono altre soluzioni, come ha ammesso anche il Ministero dell'Ambiente tedesco che ammette, intervistato dal quotidiano Spiegel: “Abbiamo esentato il settore dell'agricoltura (dalla tassazione) per limitare il numero di potenziali conflitti”. Infatti, come aggiunge un ex-consulente dello stesso ministero, Hans-Joachim Koch, “questa lobby è ben organizzata”. Il suo successore, Martin Faulstich, aggiunge: “Nessuno osa dire che dovremmo mangiare meno carne e più proteine vegetali”.
E in Italia? Nel 2009 è stata depositata una proposta di legge (primi firmatari Andrea Sarubbi del Pd e Gabriella Giammanco del Pdl), che prevede l’introduzione nelle mense pubbliche dell’opzione ‘veg’, in particolare che siano “sempre offerte e pubblicizzate almeno un'opzione vegetariana e una vegana in alternativa alle pietanze contenenti prodotti o ingredienti animali”. È inoltre prevista l'introduzione dell'insegnamento di nozioni di nutrizione e gastronomia vegetariana e vegana nei programmi didattici degli istituti alberghieri.
Tuttavia la resistenza a un tale radicale cambiamento è tuttora fortissima, sia da parte dell’opinione pubblica che delle istituzioni, complici le potentissime lobby della carne che esercitano forti pressioni contro un’informazione a sostegno del vegetarismo e di una dieta sana. La verità è che siamo ancora legati al mito della carne, all’idea che sia indispensabile. Concetti e pregiudizi talmente radicati quanto errati. Si mangia carne pensando che sia la base del nutrimento: una bistecca fornisce sì proteine e ferro, ma in quantità pari se non inferiori ai legumi, e in più contiene colesterolo e grassi saturi, totalmente assenti dell’opzione vegetale.
Poi si tira in ballo la tradizione e i cibi di una volta… Ma troppo spesso la gente dimentica che oggi mangiamo polli costruiti in laboratorio, modificati nel dna per fargli avere un petto enorme, poco collo e zampe, o senza piume per risparmiare sullo piumaggio. Le loro carni sono 3 volte più grasse di quelle dei polli di una volta che razzolavano in cortile, e intrise di sostanze tossiche derivanti da antibiotici e ormoni somministrati ai polli in grandi quantità e in maniera irresponsabile.
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