La percentuale dei giovani italiani che lavorano resta di quasi venti punti inferiore alla media europea. Nel 2016 - secondo gli ultimi dati Eurostat - in Italia era occupato il 29,7% delle persone tra i 15 e i 29 anni, un dato a una distanza ancora siderale dall'Unione Europea a 28 (48,2%). L'Italia fa meglio solo della Grecia (28,6%) mentre la Germania ha una percentuale di occupati tra i giovani del 58,2%.
La situazione si aggrava se si guarda alla fascia dei 25-29 anni ovvero quella nella quale, finiti gli studi, si dovrebbe entrare nel mondo del lavoro. In questa fascia in Italia lavora solo il 53,7% dei giovani, in crescita dal 52,2% del 2015, mentre nell'Ue lavora il 73,2%. In questa fascia di età l'Italia è il fanalino di coda con un dato peggiore anche della Grecia.
Intanto, di fronte a una tragedia che imporrebbe solo di impegnarsi in silenzio per agire veramente, il sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba, commenta in un'intervista a Radio 24: «Nella legge di bilancio faremo un intervento strutturale importante d'incentivi per favorire l'occupazione giovanile. Ma si tratta d'ipotesi sul tavolo di lavoro, al momento non c'è nulla di definitivo. Questo è l'elemento prioritario su cui concentrarsi. L'ipotesi è quella di sgravi contributivi per tre anni per spingere le aziende a privilegiare l'assunzione dei giovani». Ma finora il governo, e i governi, in che direzione guardavano? Erano distratti da altro? O ci hanno distratto con altro?
Anche il ministro del lavoro Giuliano Poletti (che era ministro anche prima, con il precedente governo Renzi) suona la carica alla lettura dei datti, definendo come «plausibile» la creazione di 300 mila posti di lavoro. Lo ha fatto parlando da ospite al meeting di Rimini, quello dell’Amicizia fra i Popoli organizzato dalla Fondazione che fa capo a Comunione e Liberazione. A Rimini c’era anche il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che invece ha criticato il governo sui provvedimenti che dovrebbero garantire maggior occupazione giovanile: "Due miliardi non bastano. Su un triennio occorre un'operazione da una decina di miliardi di euro per attivare 900 nuovi posti di lavoro per i giovani"..
E allora? Allora proviamo a guardare la cosa da una prospettiva differente, come ci insegna Andrea Strozzi, bioeconomista ed esperto di downshifting.
«In futuro non lavorerà nessuno. O quasi. E’ fondamentalmente su questa irreversibile tendenza che dovrebbe concentrarsi il dibattito politico ed economico di questi anni» scriveva poco più di un anni fa su Il Fatto Quotidiano, auspicando «un serio e sano dibattito sul reddito di cittadinanza» per scongiurare «l’altrimenti inevitabile implosione del paradigma capitalistico e offrendo ai cittadini – che per parte loro si dovranno impegnare a ridurre significativamente la sbornia consumistica – la possibilità di restare inclusi in un modo di vita almeno dignitoso».
Il reddito di cittadinanza «si può leggere come un meccanismo di ridistribuzione intertemporale» prosegue Strozzi. «Il mercato tradizionale, che si è arricchito sfruttando un meccanismo distorto, è chiamato a rifinanziare una maggiore equità distributiva. Lo vedo come un processo circolare. Per parte mia, adotterei meccanismi redistributivi ancora più “feroci”: non mi limiterei cioè al reddito di cittadinanza, ma mi spingerei a introdurre delle misure forzose per riequilibrare la distribuzione del reddito. Ma attenzione: i soldi non andrebbero presi da chi ne ha le tasche piene solo per finanziare il mercato dei cellulari o delle auto. Andrebbero invece usati per avviare iniziative socialmente virtuose e orientate alla tutela dell’ecosistema». Di cui tutti noi, giovani e vecchi compresi, facciamo parte. Basta, dunque, ragionare solo su crescita e miliardi; cominciamo a leggere i numeri, anche quelli della disoccupazione giovanile, in modo costruttivo per smetterla di suicidarci.
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