di
Daniela Sciarra
28-09-2010
L’Unione europea, facendo appello al principio di sussidiarietà, ha riconosciuto a ciascuno Stato membro la libertà di decidere in materia di coltivazioni transgeniche. Adesso in Italia il dibattito si fa serrato e si accendono i toni, soprattutto per quanto riguarda la coesistenza di colture.
In Italia, sebbene le decisioni sulle coltivazioni Ogm siano subordinate all’autorizzazione dei Ministri dell’Agricoltura, della Salute e dell’Ambiente, il dibattito sulla coesistenza coinvolge tanti e diversi attori, non solo tra gli addetti ai lavori. Il possibile cambio di Dna del cibo che portiamo in tavola e le conseguenze sul piano economico, sociale e culturale (siano esse intese in accezione positiva o negativa) hanno infatti da sempre interessato un vasto pubblico e smosso una pluralità di voci.
Nell’ultimo periodo il dibattito è diventato molto serrato. In particolare, i toni si sono fatti più accesi da quando la Commissione tecnica per i prodotti geneticamente modificati si è espressa con parere negativo alla richiesta dell’imprenditore friulano Silvano Dalla Libera, vicepresidente di Futuragra, di seminare mais ogm (il mais Mon810) nel proprio campo.
Il confronto tra favorevoli e contrari agli Ogm è stato descritto come il solito scontro tra ideologisti, convinti oppositori a tutto ciò che non è naturale, e propagandisti dell’innovazione pura e semplice. Una descrizione forse non sempre rappresentativa della profondità degli argomenti trattati e che troppo spesso ha consigliato di restringere il confronto fra gli addetti lasciando fuori i cittadini o altri opinion leader.
Un tema così complesso, invece, non solo meriterebbe di essere approfondito e reso trasparente a tutti, ma dovrebbe coinvolgere in primis i cittadini consumatori che, fra le altre cose, più volte hanno espresso la loro disaffezione agli Ogm.
Ad oggi si sono già susseguite diverse richieste di coltivazione di mais Ogm, molte provenienti da società sementiere. Tuttavia, risulta difficile che la Commissione si possa esprimere prima dell’approvazione delle linee guida sulla coesistenza che, poi, comunque dovranno essere recepite dalle singole Regioni con proprie leggi.
Intanto, sino a questo momento, sono 11 le Regioni italiane che hanno aderito all’European network Ogm-free, che vede a capo dell’organizzazione la Toscana, regione che da sempre si è detta contraria alla coltivazione in campo aperto di Ogm e alla stessa coesistenza.
In caso di approvazione delle linee guida sulla coesistenza, allo Stato-Regioni spetterà anche il compito di definire le eventuali distanze di sicurezza per evitare contaminazioni e l’entità del risarcimento in caso di inquinamento tra colture ogm, convenzionali e biologiche (ricordiamo che l’Italia è uno dei principali Paesi produttori di biologico e il primo in Europa per numero di prodotti tipici certificati).
A questo riguardo abbiamo sentito il parere di Andrea Ferrante, Presidente dell’Associazione Italia per l’Agricoltura Biologica, al quale abbiamo domandato quanto, a suo avviso, sarebbero efficaci queste misure per tutelare pienamente un produttore e le produzioni.
"Sappiamo – ci risponde Ferrante – che la contaminazione tramite polline è difficilmente controllabile. Il polline è in grado di viaggiare per chilometri e chilometri. Inoltre, considerata la natura geomorfica dei terreni agricoli italiani mediamente non di grandi estensioni e molto vicini tra di loro, è evidente che la coesistenza in Italia non è possibile. L'introduzione degli Ogm in campo agricolo è una sciagura sotto tanti punti di vista. Innanzitutto esistono diverse ricerche internazionali che lasciano supporre possibili danni alla salute dell'uomo. Poi c'è un fattore di libertà di scelta per i contadini: piantare Ogm in campo aperto significa condannare alla contaminazione irreversibile i campi limitrofi, anche quelli per cui il proprietario ha scelto la via dell'Ogm-free. Per non parlare, poi, dell'aspetto economico. Laddove sono stati introdotti, come in India, la brevettabilità delle sementi Ogm, con una scadenza precisa, questa ha reso i contadini schiavi dei prodotti delle multinazionali, costringendoli ad indebitarsi fino al collo”.
Ferrante ci ha inoltre spiegato perché considera l’agricoltura biologica più efficace nell’affrontare la crisi economica, ambientale e sociale.
"L'agricoltura biologica ha dalla sua un'arma imbattibile: la sostenibilità. Ambientale, perché non utilizzando prodotti chimici dà un contributo decisivo alla salubrità dell'ambiente e soprattutto non avvia il processo di inaridimento del terreno tipico dell'agricoltura convenzionale. Economica perché non dipendendo dal petrolio ed essendo soprattutto un'agricoltura di medie e piccole dimensioni resiste meglio alle oscillazioni di prezzo internazionali. Senza contare che garantisce margini di guadagno più umani ai produttori, soprattutto quando è improntata alla filiera corta. E sociale perché gli aspetti sia economici che ambientali contribuiscono a rendere l'agricoltura biologica un punto cardine di un sistema di relazioni sociali improntato al rispetto dell'ambiente circostante e della dignità del prossimo".
Commenti