Africa. Ecco dove finiscono i nostri rifiuti elettronici

Migliaia di tonnellate di scarti di apparecchi elettrici ed elettronici transitano ogni anno dall'Europa ai paesi dell'Africa occidentale, spesso illegalmente e senza possibilità di recupero e riciclo. Uno studio dell'Onu denuncia i rischi per l'ambiente e per la salute.

Africa. Ecco dove finiscono i nostri rifiuti elettronici
In barba a tutti i divieti, l'esportazione illegale di rifiuti elettronici pericolosi procede, anzi è in aumento. La destinazione privilegiata di questi traffici sono i paesi dell'Africa occidentale, in particolare Benin, Costa d'Avorio, Ghana, Liberia e Nigeria, mentre la fonte è sopratutto il Vecchio Continente. All'Europa - alle prese proprio in questi mesi con la revisione della Direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, nel tentativo di migliorare il recupero dei componenti di elettrodomestici, cellulari e computer e di contrastare i traffici illegali - si deve infatti l'85% dei container che arrivano in Ghana contro il 4% di provenienza asiatica. Più in generale, dai paesi europei, attraverso i porti italiani e del nord Europa, sono approdate in quelli africani circa 220mila tonnellate di prodotti elettrici ed elettronici solo nel 2009, secondo un recente studio del Programma Ambiente delle Nazioni Unite dal titolo Where are WEee in Africa?. Circa un terzo di questa merce è diretta al recupero e al riciclaggio, ma la maggior parte, dopo aver viaggiato tra i materiali legittimi per sfuggire ai controlli doganali, finisce in discariche non controllate, miniere abbandonate e cave di ghiaia. Non senza prima aver garantito profitti a chi gestisce illegalmente viaggi e smaltimento e a chi, in Europa, riesce ad eludere in questo modo i costi delle normative ambientali. A pagarne le spese, i territori e chi li abita. Per arrivare a recuperare il rame da avviare al riciclaggio, gli oggetti vengono bruciati, rilasciando tossine e sostanze inquinanti che vanno a contaminare il suolo, l'aria e l'acqua, oltre a danneggiare la salute di chi in quelle discariche lavora. Bambini in molti casi, alcuni di appena cinque anni, secondo il rapporto Onu, che maneggiano per ore rottami contenenti piombo, mercurio e sostanze nocive per il sistema endocrino. Su questo tema è in corso fino ad oggi, 16 marzo, a Nairobi, in Kenya, il Forum pan-africano sull'E-Waste. Il tentativo è quello di riunire governi dell'Africa, organizzazioni internazionali, mondo accademico e settore privato per individuare soluzioni possibili ai traffici illegali e un quadro di gestione del problema applicabile nel contesto africano. Da una parte, quindi, interventi per rafforzare la collaborazione nazionale, regionale e internazionale, così da impedire l'importazione di rifiuti elettronici pericolosi e non destinati al recupero e al riciclaggio, dall'altra strategie di raccolta, trattamento e smaltimento. Un percorso che deve però incontrarsi con uno sforzo analogo da parte di chi quegli scarti li produce. Il Parlamento europeo ha già approvato in Plenaria la proposta di revisione della direttiva RAEE (rifiuti di apparecchi elettrici ed elettronici) che alza l'asticella per gli obiettivi di raccolta di ogni stato membro: entro il 2016 i paesi Ue dovranno riuscire a raccogliere, ogni anno, 45 tonnellate di rifiuti di prodotti elettronici per ogni 100 tonnellate di beni messi sul mercato nel triennio precedente, così da aumentare le percentuali di recupero e riciclaggio. Ma è soprattutto a monte che dovremmo guardare, cioè prima che un apparecchio venga classificato come un insieme di materiali di scarto. Il che significa anche non cedere alla continua sostituzione di "modello nuovo per modello nuovissimo" e recuperare l'abitudine del riparare quando si può. In fondo i rifiuti gestiti meglio sono quelli che non produciamo. LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI SUI RIFIUTI ELETTRONICI

Commenti

"""Ma è soprattutto a monte che dovremmo guardare, cioè prima che un apparecchio venga classificato come un insieme di materiali di scarto. Il che significa anche non cedere alla continua sostituzione di "modello nuovo per modello nuovissimo" e recuperare l'abitudine del riparare quando si può. In fondo i rifiuti gestiti meglio sono quelli che non produciamo.""" L'ultimo parte dell'articolo rappresenta una fotografia molto realistica di ciò che accade oggi , anche se il costo del prodotto nuovo è talmente basso che un tecnico che ripara molte volte rende non conveniente la riparazione. Poi ci mettiamo la pubblicità che spinge per farti comprare l'ultima novità e allora si porta tutto all'isola ecologica. Tra le altre cose le isole ecologiche potrebbero anche dare la possibilità a chi ne ha le capacità di dare una seconda vita ai prodotti scartati da altri, ma ahimè non si sa per quale stano motivo non ti puoi portare via più nulla (Questo e quello che succede nel Reggiano). Molte volte ho recuperato materiale da riparare e che con poco ha avuto la sua seconda vita, come a ho recuperato anche materiale funzionante. Tutto questo per sottolineare che occorre essere molto più responsabili prima di scartare definitivamente un prodotto .
Alessandro S, 16-03-2012 06:16
Io ho continuato a riparare per due o tre anni il mio vecchio portatile che molti davano per superatissimo e per le mie esigenze (che necessitavano cmq di una certa performance) era perfetto. Aumentato Ram, Hd e riparato quel che serviva. Alla fine ho dovuto dismetterlo e sapete perché? Si erano rotte le cerniere e non era possibile sostituirle. Così ho anche buttato qualche centinaio di euro spese per le riparazioni e per i miei ideali... Se qualcuno lo desidera, ce l'ho ancora, detesto smaltire come rifiuto una cosa funzionante.
Flavia, 17-03-2012 09:17
Grazie. Mi permetto di segnalare, su questo tema, un articolo scritto a quattro mani con Claudia Benatti e pubblicato su TerraNuova di Settembre 2011 a titolo "Fatti per non durare": http://www.aamterranuova.it/article6155.htm Salut*
Olipaz, 18-03-2012 12:18

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