di
Marinella Correggia
27-02-2012
Il Sacro Speco, l’Accademia del silenzio e la biblioteca nelle cellette. Queste alcune delle principali tappe del “cammino di san Francesco”, un sentiero da percorrere in silenzio, guidati dal senso dell'udito. Ce lo racconta Marinella Correggia.
“Silenzio”, chiede con voce d’albero il castagno leggendariamente nato da un morto bastone che san Francesco d’Assisi piantò a pochi passi da una spaccatura nella roccia, suo rifugio per qualche tempo: il Sacro Speco di Narni. “Silenzio”, chiede poco più sotto una targa all’ingresso del Convento inferiore, corpo di pietra con un susseguirsi di cellette, cappelle, chiostri e corridoi. Le colline e le valli di boscopratulivi ubbidiscono e dopo un po’ tace perfino la motosega invernale a caccia di legna.
L’altro nome della pace
Ubbidiscono, quando ci sono, nella bella stagione, anche i pellegrini sui sentieri del “cammino di san Francesco” che luminosi e umbrosi percorrono l’Umbria. Il Sacro Speco è una delle tappe importanti di questo percorso fondato sul silenzio dei passi o delle pedalate. L’energia cinetica muscolare nelle sue varie applicazioni è la più ecologica e produce suoni eterni, non rumori fossili. Camminando e ascoltando l’assenza di motori, una pellegrina fuori stagione e molto laica come Gloria fa respirare i suoi cinque sensi e anche il sesto e il settimo.
“Con questa neve c’è ancora più pace. La pace è proprio l’altro nome del silenzio” (in effetti, c’è qualcosa di più assordante della guerra?). Gloria vive in una “campagna paradossale ferita dai rumori urbani, automobili, camion, macchinari, plastica, usa e getta. Per me il silenzio è un indicatore ecologico; l’udito mi fa da guida”. Così, estate e inverno, spesso prende il treno interregionale dalla sua casa preromana e scende alla stazione umbra più vicina a un segmento del cammino francescano. Poi prosegue per un po’ in 'corriera' o a piedi. La sua mèta sono i sentieri.
Fa qualche decina di chilometri a ogni puntata umbra. Nella buona stagione dorme in strutture dove sembra che si consumino solo le pietre delle soglie a forza di scarponi e sandali. Le piacciono l’ostello dei Garibaldini nel borgo medioevale di Collescipoli - sopra Terni e non lontano dalla cascata delle Marmore - e l’eremo di Cesi (“dove la colazione si fa in silenzio”).
Quest’estate abiterà una stanza a energia zero nel Parco dell’energia rinnovabile, fra Todi e Amelia (“voglio imparare anche a costruire un essiccatore solare da balcone”). O forse andrà nel perugino, presso l’azienda bioagricola Torre Colombaia che per gli ospiti organizza nel bosco circostante le 'camminate sonore' fra gli alberi, con cuffietta ed Mp3, ad ascoltare storie di vita contadina ai tempi della mezzadria. La Torre, fra i pochissimi produttori italiani dei nutrienti semi di girasole per uso umano e del prezioso olio di semi di lino, è una delle perle agricole sparse intorno al cammino del santo di Assisi; come l’ormai imitatissima Archeologia arborea, esperimento di recupero di varietà di alberi da frutto minacciate di estinzione.
L’Accademia del silenzio e la biblioteca nelle cellette
Sui sentieri Gloria cammina ascolta e abbraccia anche, se è sola. Fa la tree hugger. Anche gli alberi si abbracciano. Sui fianchi di una collina ha visto un ulivo vecchio con rami che danzano fra di loro: “Uno più grande si inchina e porge la mano a un ramo più piccolo un po’ impettito, signorina permette un ballo? E un altro ulivo, con il suo grosso nodo alla base e due rami dritti che salgono in cielo, pare un uomo che fa yoga sulla testa”.
Ha visto anche un platano di spirito geometrico che ha deciso di fondere i suoi rami più importanti fino a formare un triangolo quasi equilatero, pitagorico. Del resto il silenzio era regola nella scuola di Pitagora a Crotone. Però “fu Platone a fondare l’Accademia del Silenzio, nel 380 a.C.”, ricorda il professor Duccio Demetrio, fra i fondatori della versione XXI secolo dell’Accademia stessa, presentata a Foligno nel gennaio 2012. L’Accademia platonica ad Atene era un boschetto.
Luogo di silenzi: “il senso della vita muta che è nell’albero”, scrisse D’Annunzio ma sbagliava anche in questo: il regno vegetale non è muto. Ha per linguaggio la quiete (amorosa: “il vero amore/ è una quiete accesa” – Ungaretti). Ma bisogna avere un ecoudito. Come quello della poesia di Gianni Rodari Un uomo maturo con un orecchio acerbo: “(..) un orecchio bambino, mi serve per capire le cose che i grandi non stanno mai a sentire: ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli, le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli (…)”. Tanti suoni naturali popolano i cammini francescani, in totale armonio con il silenzio arboreo. Voci di uccelli, e “frusci di serpi, schiocchi di merli” (avrebbe detto Montale in Meriggiare). Più difficilmente ragli: il Poverello viaggiava con un asino, ma questo animale a tasso di aggressività nullo è piuttosto taciturno, parla con i grandi occhi e le lunghe orecchie.
San Francesco con gli animali parlava in silenzio o conosceva le loro lingue come il Favoloso dottor Dolittle della nostra infanzia? E come avrà parlato senza rischi anche con il lupo di Gubbio? Gubbio è un’altra tappa del cammino, e quanto a silenzio intelligente vanta un luogo speciale: la biblioteca Sperelliana. Alberi diventati libri collettivi.
Da una decina d’anni la sede è il convento di san Pietro, restaurato per accogliere i 55.000 volumi distribuiti nelle tante celle dei monaci che nei secoli passati hanno conosciuto il silenzio mistico della preghiera ed ora si riempiono del silenzio quieto della lettura. Si entra nel convento antico passando per il chiostro. Al piano superiore si susseguono le salette di lettura, sono tematiche, non hai bisogno di parlare per chiedere ciò che vuoi: leggi la targhetta accanto alla porta, decidi, entri, prendi un libro dallo scaffale e ti siedi su una delle poltroncine che arredano le cellette.
Musica sotto un cielo a quadretti
Altre celle, diversa musica: nel 2011 gli 'ospiti' delle carceri umbre sono stati invitati a veri concerti. A Spoleto, Perugia, Terni la musica è entrata in carcere e fra poco si replica a Orvieto. Benedette da una lettera di Ennio Morricone (“chi ascolta deve trovare una nuova libertà”), organizzate da associazioni come Arci Ora d’aria e I miei Tempi con il patrocinio delle istituzioni umbre, le performances sono state eseguite da allievi e musicisti dei due conservatori umbri e dalle scuole di musica comunali di Orvieto e Spoleto (questi templi del bene comune musica esistono ancora e hanno centinaia di appassionati).
Di questo progetto, il musicista e insegnante Andrea Di Mario ricorda soprattutto “la liberatoria che tutti i genitori dei musicisti minori di età hanno firmato affinché i figli potessero entrare in carcere, un luogo per un giorno ‘sdoganato’, tolto dal ghetto del silenzio inteso come oblìo”; e “il cielo a quadretti nell’istituto di Terni…”. A quadretti: si suonava nello spazio aperto dedicato all’ora d’aria, per avere più spazio. Ma lo spiazzo è confinato anche in alto da una rete metallica di acciaio. Da quando un funambolo incarcerato è volato via.
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