di
Andrea Degl'Innocenti
09-02-2012
La storia di Ovidio Marras, pastore vissuto da sempre nei pressi di Capo Malfatano, Cagliari, che si è opposto alla costruzione di un enorme impianto turistico ad opera dei maggiori nomi dell'edilizia nostrana. Al suo fianco un'attivista di Terra Nostra ed altre associazioni. In attesa del giudizio definitivo del Consiglio di Stato, il Tar ha deliberato che l'intero stabile in questione andrà demolito.
A raccontarla così sembra una favola o la trama di un film. La solita parabola di Davide che batte Golia, roba che funziona solo nella finzione. E invece non c'è niente d'inventato nella storia di un pastore sardo di nome Ovidio Marras che, a capo di un gruppo di resistenti, è riuscito a sconfiggere i grandi nomi dell'industria edile italiana (Benetton, Marcegaglia, Toti) e a fermare la costruzione di un enorme impianto turistico a Capo Malfatano, uno degli angoli più incontaminati dell'isola.
Il fatto è che Marras, da quando all'incirca sapeva camminare, percorreva ogni giorno lo stradellino sterrato davanti a casa sua, del quale da sempre vanta un diritto di compossesso. E, guarda caso, il nuovo complesso, un giocattolino da 190mila metri cubi, doveva sorgere proprio lì.
I lavori, già iniziati, sono stati assegnati alla Sitas, società che vede fra i propri azionisti nomi conosciuti del cemento nostrano: Silvano Toti, il gruppo Benetton, Sansedoni del gruppo Montepaschi. Alla fine la gestione dell'impianto sarebbe andata alla Mita Resort di Emma Malcegaglia.
Al posto dello stradellino, una strada asfaltata avrebbe dovuto condurre il pastore ai suoi pascoli. Una strada che percorreva il perimetro del resort, costringendo Marras ad una lunga deviazione. Ma lui no, lui voleva la sua strada, quella che aveva percorso fin dall'infanzia. Così ha deciso di rivolgersi al Tribunale di Cagliari con un ricorso d'urgenza, sostenendo che non si poteva costruire niente sulla strada senza il suo consenso.
E i giudici gli hanno dato ragione. I magistrati del Tar della Sardegna hanno accolto il ricorso di Marras e hanno emesso l'obbligo per la Sitas di demolire quanto già costruito e ripristinare la stradina del pastore.
Intanto anche altri si sono mossi per fermare quello che a molti appariva come uno scempio indescrivibile. Maria Paola Morittu, militante di Terra Nostra, ha convinto i vertici nazionali della propria associazione che l'opera in costruzione andava fermata. “Quando ho visto per la prima volta i cantieri vicino alla spiaggia di Tuerredda, a ferragosto del 2010, mi sono venute le lacrime agli occhi”, racconta.
L'intera zona di Capo Malfatano, un tratto di costa nel comune di Teulada a circa 70 km a ovest di Cagliari, è un esempio di paesaggio incontaminato, dove per secoli la traccia dell'uomo non si è fatta sentire. All'incirca fino al 2001, quando sono iniziati i primi abusi edilizi ed ha attecchito anche lì l'odiosa pratica della speculazione.
Così la Morittu si è messa all'opera e, forte di una laurea in giurisprudenza, ha impugnato davanti al Tar le delibere comunali e regionali che consentivano di edificare. E anche questa volta, i magistrati hanno dato ragione a lei, con una sentenza che di fatto rende illegale l'intero stabilimento. Adesso si attende la sentenza definitiva, nelle mani del Consiglio di Stato. Se il giudizio del Tar sarà confermato le ruspe dovranno tornare immediatamente all'opera, questa volta per smantellare tutto quanto costruito fino ad ora.
Con due sentenze chiave il Tar di Cagliari ha messo fine alla terribile speculazione edilizia che ormai da più di dieci anni vessa la costa di Teulada e dintorni. “Avevo ragione, per forza dovevo vincere”, ha commentato Ovidio Marras ai microfoni del Tg3 dopo la sentenza, quasi come se sconfiggere una delle lobby più potenti fosse cosa da tutti i giorni. La forza di questa battaglia si può riassumere tutta nella fiducia espressa da questa frase stringata. Poche parole che dovrebbero dare forza ad ogni attivista e diventare il motto di ogni giusta battaglia: se si ha ragione, prima o poi si vince.
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