La fine dell'inverno è stata calda e secca ma ce ne siamo già dimenticati. A metà febbraio sulle colline della Toscana centrale c'erano 17 gradi di giorno, 2 gradi la notte; a marzo siamo arrivati a venti gradi all'ombra. Il Po ai primi di marzo era a livelli che sarebbero bassi anche per agosto. Tutto questo è il marasma climatico a cui ci siamo tranquillamente abituati senza notarlo più. Gli alberi da frutto nei frutteti intensivi della pianura padana a marzo erano fioriti già, tutti assieme e quasi tutti in anticipo, dopo il caldo eccessivo di febbraio. Sulle nostre alte colline e strette valli mandorli e susini erano fioriti a fine febbraio, in fiore avevano subito gli ormai immancabili sbalzi di temperatura, crollata in certe notti di tramontana fino a 2 gradi.
Non pioveva, il terreno era secco e nudo, niente fiori né erba nei prati, fonti e ruscelli asciutti, giornate troppo calde, nottate troppo fredde, niente insetti impollinatori, niente cibo per i piccoli uccelli che, viste le temperature diurne, stavano già nidificando.
Dover annaffiare orto e giardino a marzo è una novità degli ultimi anni, un'altra novità è domandarsi fino a quando durerà l'acqua di falda.
Dopo la fioritura precoce di mandorli e susini a febbraio, gli alberi si erano come arrestati a causa della siccità; qualche ciliegio aveva cominciato a fiorire troppo presto, per poi limitarsi a produrre pochi fiori sparsi, altri alberi avevano messo le prime timide foglie e lì si erano fermati per giorni e settimane. Dalle strade sterrate si alzava la polvere imbiancando arbusti e alberi sui bordi. Le prime upupe, giunte dopo la lunga migrazione, non trovavano cibo nel terreno indurito.
Nella siccità e nella sofferenza visibile (per chi ha gli occhi al posto dello smartphone) di tutte le creature animali e vegetali, siamo giunti ai primi di aprile. Poi un paio di giornate di buona pioggia hanno cambiato tutto. L'erba è cresciuta nei prati, i fiori sono sbocciati tra l'erba e sugli alberi, il ciliegio nell'orto è diventato una nuvola bianca ronzante, il melo e il cotogno lo hanno seguito, i cachi si sono coperti di foglioline tenere, l'aiuola di falsa ortica sotto il cotogno pullulava di bombi arancione indaffarati, le upupe trapanavano allegramente il terreno coi lunghi becchi, gli usignoli hanno cominciato i loro canti notturni e, infine, sono arrivate le nostre rondinelle. In un pomeriggio di sole e brezza leggera sulla nostra valletta abbiamo contato, per la prima volta quest'anno, cinque rondini. Le abbiamo chiamate, dando loro il benvenuto. Tutto si è aggiustato. Per un momento. Ricordandoci come è bella la vita, la vita che ci circonda e di cui facciamo parte, anche se ce ne dimentichiamo; come è preziosa, varia, salvifica e indispensabile per noi la vita di tutti gli altri esseri, animali e piante. Mostrandoci anche come sia diventata fragile e precaria.
Erano una sessantina fino a vent'anni fa, le rondinelle. I loro nidi si sgranavano nel loggiato del podere al di là della valletta; erano sui travicelli dei nostri fondi a pianterreno, nella cantina e nella stalla dei vicini. Ma, se ad aprile, a maggio, addirittura a giugno, le temperature per settimane intere scendono sotto i dieci gradi, come ormai succede regolarmente nel marasma climatico imperante, arrivando a volte a pochi gradi sopra zero, allora per quelle settimane le rondini, che si nutrono di moscerini e altri minuscoli insetti, non trovano cibo. Forse alcune di loro muoiono. Sicuramente muoiono tutti i piccoli nei nidi, che hanno bisogno di nutrimento continuo. Così, anno dopo anno, i nidi sotto i loggiati e sui travicelli sono rimasti deserti, abbandonati.
Le rondini sono animali dai forti legami sociali e famigliari. Tornano sempre dove sono nate e nidificano nella stessa area dei loro genitori e fratelli; lo stormo di cui fanno parte si sparpaglia per nidificare ma a distanze che permettono comunque un contatto. Quando i nuovi nati sono ormai in grado di volare e autonomi, c'è un primo raduno di tutta la comunità, a cui abbiamo assistito per tanti anni perché avveniva sui fili del telefono e sui cipressi accanto alla nostra casa. Per un'intera giornata i voli e i richiami riempiono quel pezzetto di cielo: è la presentazione a tutto lo stormo dei rondinotti di quell'anno, e a loro di tutti gli altri componenti dello stormo. Parenti e amici che saranno con loro per tutta la vita. In uno di quei giorni, una ventina di anni fa, contai più di sessanta rondinelle.
Da allora, sono sempre diminuite. Ne sono rimaste cinque. Forse quando arriverà il tempo del primo raduno di presentazione e poi della partenza saranno diventate una quindicina? Se non avranno settimane intere di freddo quando ci saranno da nutrire i rondinotti. O mesi di caldo torrido e secco in cui spariranno tutti i piccoli insetti volanti di cui si nutrono. E io mi domando spesso cosa provi una rondine in questa desolazione. Come trovi la forza di vivere, riprodursi, crescere i propri piccoli, attraversare terre e mari ad ogni cambio equinoziale. E mi domando fino a quando troverà questa forza. Non siamo i soli animali che soffrono moralmente, non siamo i soli che a volte scelgono la morte quando la vita diventa solo tragica sofferenza.
Ora ci guardiamo intorno nell'orto, nel campo, e quello che vediamo ci consola e ci fa gioire. Tutto quello splendore e quelle presenze nel rigoglio della campagna. E tuttavia, inevitabilmente, proviamo l'inquietudine perenne che ci dà la consapevolezza dello squilibrio; sappiamo che tutto è costantemente minacciato. La grandine, un tempo rarissima su queste colline, e delle un tempo normali dimensioni di pochi millimetri (si diceva "chicchi di grandine", vi ricordate?), è diventata consueta e raggiunge le dimensioni di noci, che spezzano persino i rami piccoli degli alberi; le bufere di vento raggiungono velocità paurose, sradicano alberi; il caldo estivo, come ovunque, è diventato rovente e la siccità è una costante di tutte le estati e non solo; ruscelli, laghetti e stagni negli ultimi decenni si sono seccati, sono scomparsi dal paesaggio e dalla vita; pesticidi e immondizie avvelenano i pochi corsi d'acqua rimasti e la terra; per legare le vigne ormai si usa la plastica, e lì rimane, anno dopo anno si accumula nel terreno... L'elenco finisce qui ma potrebbe andare avanti per pagine intere.
Eppure non c'è alcuna adeguata reazione a tutto questo. Vediamo deteriorarsi a velocità sempre crescente quello che chiamiamo "ambiente", "natura", e che non è altro che la vita. Perché terra, acque, piante e animali questo sono: la vita; e noi, come ogni altra specie animale, ne facciamo parte, e siamo minacciati come tutti gli altri esseri viventi da questo degrado. Ma facendo "shopping" in qualche strada del centro città, guardando la televisione (che per il 99% del tempo parla d'altro e per il 50% ci invita a consumare, spendere, viaggiare, correre, competere), stando su Facebook o WhatsApp o facendo foto al nulla con lo smartphone, non si vede più niente di ciò che ci circonda. Non si osserva, non si riflette, non si comprende più nulla. E non si può amare ciò che non si vede e non si conosce; non si ama più la vita.
"Degli spettri si aggirano per l'Europa", si potrebbe parafrasare così il famoso detto di Marx, guardando la gente alle fermate dei tram, sui treni, sugli autobus, le giovani mandrie in gita scolastica su e giù da una nazione all'altra o da un continente all'altro. Sarebbe un paragone quanto mai appropriato perchè i loro smartphone quasi usa-e-getta, le loro gite scolastiche a migliaia di chilometri di distanza contribuiscono a distruggere il loro stesso futuro.
Se la vita non la vedi, non puoi più amarla, e solo per amore si è disposti a combattere per difenderla; solo l'amore ci dà la forza per opporci a chi la distrugge e la tenacia per farlo costantemente. Solo l'amore non considera rinunce le cose di cui si sbarazza per la salvezza e il benessere degli esseri amati, e non le rimpiange.
Nel vostro cammino alzate gli occhi, uscite dal televisore, disdegnate le vetrine, staccatevi dal diabolico smartphone. Tornate a vedere. Vedrete gli aironi nei campi diserbati della pianura padana, gli storni radunarsi sulle antenne dei palazzi, i gabbiani volare sopra le discariche, i boschi dell'Appennino devastati da tagli senza criterio. Guardate il cielo: così vuoto forse vi farà paura. Da quanto tempo non vedete-guardate una rondine? I vostri bambini hanno mai visto un'ape, un lombrico, una mantide? E voi, li avete mai visti?
Imparate a conoscerli, sono il nostro prossimo e, se non impariamo ad amarli come noi stessi, periremo con loro.