di
Francesco Bevilacqua
02-11-2010
Oltre a definire come e quanto inquinano gli abitanti delle città italiane, il Rapporto Cittalia 2010 fornisce i dati relativi alla percezione del problema ambientale da parte dei cittadini e ai comportamenti che influiscono su di esso. Dall’esame di questi dati partiremo per proporre soluzioni concrete di cambiamento.
I dati statistici che abbiamo analizzato sinora sono inequivocabili e ci dicono che il problema dell’eccessiva quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera esiste ed è anche rilevante. Tuttavia, la definizione della sua entità e delle sue caratteristiche non è che il primo passo verso la risoluzione. Il secondo passa attraverso la presa di coscienza della situazione da parte di tutti.
Questo è molto importante poiché, come abbiamo visto, buona parte delle emissioni sono dovute a piccole cose, come per esempio la cattiva gestione del riscaldamento domestico, il consumo eccessivo di elettricità o l’uso sconsiderato dell’automobile, tutte azioni riconducibili a cattive abitudini che spesso non ci rendiamo neanche conto di avere. Un buon incentivo per prenderne finalmente coscienza potrebbe consistere nel quantificare i danni ambientali che questi comportamenti errati provocano e lo studio dell’ANCI serve proprio a questo.
Molto opportunamente, il rapporto propone anche una statistica sul livello di percezione da parte dei cittadini dei problemi legati all’inquinamento da CO2, ed ecco cosa emerge. In generale, un po’ dappertutto la consapevolezza delle problematiche ambientali e soprattutto della rilevanza che può avere su di esse una modifica dei comportamenti di ciascuno di noi è elevata: la percentuale dei cittadini che ritiene che cambiare stile di vita possa avere una ricaduta positiva sull’inquinamento e sulla salvaguardia dell’ambiente è quasi dappertutto intorno al 90%, con punte del 94% a Venezia. Solamente a Milano (77%) questa convinzione è meno radicata; lì, solo il 34% la ritiene molto rilevante (a fronte, per esempio, del 68% di Catania e Reggio Calabria), mentre il 20% pensa che sia poco rilevante (seguono Bari, Roma e Reggio Calabria con il 12%, mentre a Messina solo il 4% la pensa così).
Ovviamente l’opinione dei cittadini conta relativamente se essi non la trasformano in azioni concrete. La statistica successiva prova a quantificare questa conversione attraverso la suddivisione dei comportamenti in eco-friendly, eco-discontinui ed eco-spreconi rispetto alle abitudini di consumo delle risorse (per esempio, all’abitudine di lasciare le luci accese, usare la lavatrice a mezzo carico, aprire le finestre in ambienti condizionati e così via).
Il risultato è abbastanza variegato: complessivamente gli italiani si dichiarano eco-discontinui, in particolare i bolognesi (70%), seguiti a ruota da milanesi e napoletani (69%). Circa un terzo pensa di essere eco-friendly, con punte negative a Milano (17%) e positive a Catania (46%). Una percentuale abbastanza bassa ammette di essere eco-sprecona: i più indisciplinati (o i più onesti…) sono gli abitanti di Messina (15%).
Questa statistica è abbastanza aleatoria, poiché si basa su due parametri di dubbia veridicità, cioè l’effettiva conoscenza da parte degli intervistati dei comportamenti positivi o nocivi per inquinamento e consumi e la loro sincerità nel rispondere al questionario. Ciononostante è una buona base di partenza per cominciare a lavorare sulla consapevolezza e sul mutamento leggero e graduale del nostro stile di vita.
In termini di consumi (che come sappiamo sono direttamente proporzionali all’inquinamento, essendo il nostro sistema energetico basato quasi interamente su fonti fossili), ritengo utile integrare l’ottimo spunto offerto dal Rapporto Cittalia con un altro sondaggio proposto da Accenture sui problemi energetici. In particolare, è inquietante il dato che rileva come ben il 46% degli italiani sia convinto che la riduzione dei consumi complessivi non rappresenti una soluzione efficace per diminuire la dipendenza dalle fonti fossili.
Ancora più preoccupante è l’elaborazione successiva, secondo cui solo il 29% (meno di un terzo) ritiene che per risolvere la sfida energetica sia decisiva l’azione diretta dei cittadini, attraverso riduzione dei consumi, consumo critico, cambiamento dello stile di vita e altre iniziative che spettano alle singole persone; più di due terzi non vuole essere chiamata in causa direttamente e sostiene che la responsabilità sia delle istituzioni (49%), delle compagnie elettriche (13%), delle organizzazioni no-profit (6%) e dei produttori (5%).
Gli intervistati chiedono provvedimenti volti prioritariamente al conseguimento di tre obiettivi: l’incentivazione e l’utilizzo di fonti energetiche pulite, il controllo dei prezzi dell’energia e lo sviluppo di tecnologie a basso impatto.
In realtà, nessuna delle tre può avere un ruolo decisivo nel superamento del problema energetico, poiché l’abbassamento dei prezzi non incide sui consumi (anzi, semmai incide in maniera negativa) e sull’inquinamento, le tecnologie a 'basso impatto' presentano comunque delle criticità irrisolte (pensiamo per esempio al nucleare) e le fonti pulite e rinnovabili oggi hanno una diffusione e delle prestazioni troppo arretrate per poter prendere il posto delle fonti fossili. Rispetto a queste tre soluzioni, ben altra efficacia avrebbe la riduzione dei consumi, un provvedimento attuabile sin da subito e con ricadute decisive verso la risoluzione del problema.
Abbiamo così introdotto l’argomento della prossima puntata: cosa possiamo fare noi, qui e ora, per risolvere il problema delle emissioni di anidride carbonica e più in generale dell’inquinamento e dell’esaurimento delle risorse correlati al consumo eccessivo e a uno stile di vita irriguardoso nei confronti dei 'limiti' del pianeta.