di
Carlo Carlucci
02-03-2012
Dallo scrittore Jacques Bertoin a Tiziano Terzani, 'passando' per il poeta nicaraguense Carlos Martinez Rivas e la giovanissima ‘pasionaria’ cilena Vallejo. Carlo Carlucci ci ricorda alcune persone e alcuni luoghi di ieri e di oggi, che dal Cile a Firenze, hanno cambiato le cose.
‘Persona’ è termine latino, da per sonare, ovvero la maschera di legno portata dagli attori per amplificare appunto la voce. Il prof. di filosofia all’esame di maturità, Carmelo Bonanno (indimenticabile) mi fece osservare (più di 50 anni fa) che appunto, persona è colui che si distingue, si sa distaccare dagli altri, come l’attore sul palcoscenico, per la sua individualità. Il conio entrò nell’uso intorno al 1250, in età comunale quando si stavano gettando le basi del mondo nuovo, il Rinascimento appunto. Ma l’origine del termine, maschera del palcoscenico, è etrusca.
“Pensami forte così come io ti penso e la nostra separazione sparirà. Dopotutto la vita non è che immaginazione e la stessa materia altro non è che l’idea che ce ne facciamo”
Così scriveva poco più che ventenne Jacques Bertoin alla sorella Simone, a Parigi, dal Cile di Allende nel 1972. Mi sono ricordato di queste parole in occasione della visita in Italia della bella, giovanissima ‘pasionaria’ cilena Vallejo. Tante cose. A cominciare dalle bellissime lettere di Jacques alla sorella e alla madre.
Era un Cile pieno di fervori, di speranze, di case dove amici entravano e uscivano fino a notte inoltrata. Un Cile che si dibatteva senza tristezze in mezzo a mille difficoltà materiali, che non pesavano al punto di soffocare l’allegria e la speranza. Ritornato stabilmente a Parigi, la ‘sua’ città di elezione, Bertoin si accorse che il suo cammino di scrittore (e quello d’altri come lui) era imbrigliato, ostacolato da una intellighenzia a volte brillante, ma del tutto sterile. Un ceto intellettuale ben poco erede del secolo dei lumi.
Così Jacques assieme a Kissel e Partouche dette vita a Lieu Commun una casa editrice anomala, non omologata alla tendenza dominante. Una parentesi certamente felice nello stagnante mondo editoriale parigino. Dicevamo della Vallejo presentata come una meteora ravvivante la stagnante vita politica cilena. Una meteora? No davvero, una giovane che ha saputo riprendere e ridare vita allo spirito del Cile di Allende. Quel Cile vivo e vitale che le lettere ‘private’ di Jacques sanno magistralmente rappresentare. Lettere inedite naturalmente.
“Neve, neve, neve
Non manto, bensì nudità del paesaggio”
Sono i versi di un grandissimo poeta nicaraguense Carlos Martinez Rivas, un amico che mi omaggiò con la chitarra, magistralmente suonata, del recitato personalissimo del suo poemetto intitolato Los testigos oculares. Rientrato in Italia dopo gli anni della rivoluzione sandinista mi trovavo da un amico nel Mugello nei pressi di Vicchio (dove ora il Tav di Martini, Dominici & Company ha seccato le antichissime fonti) quando fummo sopresi da una grande nevicata.
L’indomani quel meraviglioso paesaggio di Giotto e Beato Angelico si rivelava appunto in tutta la sua nudità, la neve, non ci avevo mai fatto caso, evidenziava campi, boschi, sentieri. Carlos il poeta aveva ragione, e dunque il manto della neve metteva a nudo il paesaggio. Attraverso la verità della poesia scoprivo per la prima volta il mistero della neve. Quasi un anticipo del bellissimo film Cool Running che narrava la storia (vera) della squadra di bob allenata da un coach geniale in Jamaica.
Firenze perduta. C’è sì un sindaco giovane, Renzi, accattivante lì per lì, con una giunta di giovani presuntuoselli anzichenò, ma hanno altro per la testa: sono i rottamatori, gli innovatori, vorrebbero rappresentare una rottura col passato. Poi sulle questioni di fondo scivolano via come se niente fosse.
La casa editrice Vallecchi per esempio. Fa parte della storia letteraria del ‘900 essendo Firenze (non a caso la prima capitale del Regno fintantoché il Papa sdegnato non cedette Roma) la nostra capitale letteraria. Almeno sino alla II guerra mondiale. Ma anche dopo fino agli anni ’60 , più diradate è vero, presso la Vallecchi di Enrico venivano pubblicati nomi come Silvio d’Arzo o Caproni tanto per citarne due.
Bene, per la Firenze ‘moderna’ Vallecchi è un cognome come un altro, nessun luogo che ricordi Attilio ed Enrico che pure, come editori, contribuirono al prestigio e diciamo pure al fascino (novecentesco) della città. Renzi? Per lui e la sua squadra il fatto che gli autori Vallecchi fossero letti nel mondo gli fa un baffo. La Disneyland del Rinascimento, le boutiques di moda, i ristoranti questo si che conta. I libri? Roba d’altri tempi, i tempi prima di Mike e di Lascia o Raddoppia.
Un viaggiatore instancabile e poliedrico, un giornalista che ha saputo cancellare distanze, penetrare misteri e presentarci tutto o quasi dell’Oriente diacronico: Tiziano Terzani un uomo del ‘900 con un’aurea del ‘500 fiorentino. Chi si celasse veramente dietro i panni del viaggiatore ce lo rivelano i suoi ultimi due libri e in particolare l’ultimo La fine è il mio inizio.
Terzani si avvia al commiato finale con la tempra di un Socrate. La sua leggerezza e serenità nel riepilogare col figlio Folco le tappe salienti della sua vita lasciano ammutoliti. Il suo distacco progressivo da un corpo oramai invaso dal cancro e la sua partecipazione alla vita fino all’ultimo, senza attaccamento alcuno, segnano il momento alto e stoico del passaggio sulla terra di un uomo dell’occidente il quale del resto e in fondo ha saputo incarnare gli ideali senza tempo dell’India. Il tramite tra me sconosciuto ( vivevo di lavori precari tra i quali barrocciaio) e Terzani fu un comune amico, Paolo Milli che dirigeva la mitica libreria Seeber in via Tornabuoni e lì appunto ci conoscemmo e parlammo a lungo.
Grazie ad Angela, moglie di Tiziano, ho potuto rintracciare Milli e abbiamo riepilogato un po’. La Firenze dei Rosai, delle Giubbe Rosse e su su fino alla Seeber non esiste più. I libri? Una merce come un’altra. Turisti a go-go per la Disneyland del Rinascimento.