Perù, sulle proteste degli indigeni "trionfa la verità"

La messa in vendita di terreni occupati da etnie indigene ad investitori statunitensi ha scatenato le proteste della popolazione in diversi territori peruviani, tra cui Bagua, Yurimaguas, Tarapoto, Napo, e Atalaya. Alcuni cittadini sono stati denunciati dal governo perché ritenuti responsabili delle agitazioni popolari. Ma nel gennaio scorso la vicenda giudiziaria si è conclusa con la sentenza del Tribunale di Tarapoto che ha assolto tutti i coinvolti.

Perù, sulle proteste degli indigeni
Non è un delinquente chi difende pacificamente un diritto, ma chi lo reprime (M. Bartolini) Qualsiasi disposizione sui terreni indigeni deve avere il consenso delle comunità che le occupano. Questo, in sintesi, è il contenuto del Convenio 169 de la Organización Internacional de Trabajo, una legge con valore costituzionale della legislazione peruviana che dovrebbe limitare qualsiasi azione in contrasto con l'equilibrio dei terreni storicamente occupati da comunità indigene. È sacrosanto, in questi casi, l'utilizzo del condizionale, data la frequente mancanza di applicazione di regole scritte, soprattutto quando ci sono in ballo interessi politico-economici rilevanti. I primi che solitamente cercano di trarre vantaggio da tali interessi sono i politici e gli uomini d'affari ed è proprio dall'intesa tra queste due categorie sociali che nasce la nostra storia. Tutto parte da un solo uomo e dalla sua Teoria del cane dell'ortolano. Si tratta del pensiero del tutto particolare di Alan García – Presidente del Perù tra il 2004 e il 2011 – secondo cui in Perù ci sono delle risorse che non vengono sfruttate per via di una forma di arretratezza e testardaggine della popolazione ad utilizzare metodi poco all'avanguardia rispetto al contesto mondiale. Quindi, l'unica soluzione sarebbe aprirsi al mercato internazionale ed agli investitori delle grandi multinazionali, anche statunitensi. Così, nel 2006, arriva la firma del cosiddetto Tratado de libre comercio, un patto con il governo USA, allora guidato da George W. Bush, che sancisce l'apertura a tutti gli investitori statunitensi. Una delle prime conseguenze dell'accordo è stata la messa in vendita di terreni occupati da etnie indigene che è culminata con un contratto siglato nel 2009 con la compagnia Olympic Perù (filiale locale dell'omonima società statunitense). Contratto che avrebbe previsto l'affidamento di 500 mila ettari di terreno nei pressi della Conca di Bagua (territorio Amazonas), venendo meno a quanto sancito dal Convenio 169. Ciò ha causato una lunga serie di proteste che hanno coinvolto diversi territori peruviani, tra cui Bagua, Yurimaguas, Tarapoto, Napo, e Atalaya, la più simbolica delle quali è stata la prima, avvenuta il 5 giugno dello stesso anno. Una protesta dalle intenzioni pacifiche coincisa con la giornata mondiale dell'ambiente, ma che è saltata all'occhio dell'opinione pubblica per una violenta repressione da parte delle forze speciali di polizia ordinata dal governo. Un attacco ingiustificato su una folla disarmata, costituita prevalentemente da persone di etnia awajun e wampis, e reso ancora più crudele dal fatto che la polizia abbia impedito di raccogliere i feriti ed i cadaveri. Da questa giornata di protesta si è passati alla manifestazione pacifica del 20 giugno a Yurimaguas, nata con l'intento di ringraziare e pregare per coloro che hanno perso la vita a Bagua, che ha ottenuto una deroga ai decreti anti-amazzonici emanati dal governo. Governo che nei mesi successivi si è rivelato ancora più aggressivo, volendo punire con una denuncia coloro che si ritenevano responsabili di tante agitazioni popolari. Tra questi c'era un missionario italiano, Padre Mario Bartolini Palombi, il quale ha voluto raccontare in un paio di messaggi l'iter giudiziario da loro vissuto. In prima istanza, al termine della fase inquisitoria e precisamente il 13 aprile 2010, la titolare della Primera Fiscalía Mixta de Alto Amazonas (Loreto), Sandra Alarcón, chiede 10 anni di carcere per 6 degli accusati più una ammenda e, per lo stesso Mario Bartolini Palombi, 11 anni di carcere con la possibilità di essere espulso dal paese. Qualche mese dopo, il 21 dicembre, il Giudice Julio César Aquino Medina assolve soltanto Mario Bartolini e Eduardo Geovanni Acate Coronel, direttore di Radio Oriente. Un anno dopo, il 30 novembre 2011 vengono fissate le udienze d'appello e il 12 gennaio 2012 viene pubblicata dal Tribunale di Tarapoto la risoluzione Nº 52 datata 28/12/2011, secondo cui Adilia Tapullima Torres, Elías Sánchez Días, Javier Alava Florindez, Mario Bartolini, Bladimiro Tapayuri Murayari, Gorki Vásquez Silva, Eduardo Geovanni Acate Coronel vengono considerati assolti per tutti i reati di cui erano accusati. “Il trionfo della verità”. Così, in una secondo messaggio, Padre Mario Bartolini considera la sentenza del tribunale, affermando inoltre che gli indigeni e chi ha protestato sono stati ripetutamente classificati come violenti, quando violenti sono stati “il governo con i suoi decreti anti-amazzonici ed incostituzionali e i membri del Congresso che li hanno approvati”. Violenti, oltre che falsi poiché hanno cercato di coprire le loro malefatte con le azioni altrui, dimostrandosi “codardi ed opportunisti, che approfittano delle situazioni”. Dopo la sentenza i protagonisti di questa avventura sono finalmente liberi di camminare “a testa alta e con lo sguardo fisso verso quel futuro differente, i cui semi abbiamo seminato con dolore” e con i cuori ricolmi della gioia di poter affermare ad alta voce i propri diritti. Diritti che “stanno al di sopra dei meschini interessi economici dei gruppi di potere”. È giusto, per concludere utilizzare le parole di questo coraggioso missionario, dicendo che “la protesta amazzonica segna l'inizio di una nuova era, la presenza dell'uomo amazzonico multiculturale nella realtà politica e sociale del Perù”.

Commenti

la Verita' e la Giustizia a volte trionfano. La speranza e' che questo succeda un po' piu' spesso, in tutto il mondo.
nonnalu, 18-04-2012 07:18

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