L’1 novembre 2013 scadrà il termine per firmare la petizione europea contro la vivisezione che si propone di sollecitare la Commissione Europea ad abrogare la direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici e presentare una nuova proposta che abolisca l’uso della sperimentazione su animali.
L’1 novembre 2013, ovvero fra pochi giorni, scadrà il termine per firmare la petizione europea contro la vivisezione che si propone, come si legge sul sito web dell’iniziativa, di “sollecitare la Commissione Europea ad abrogare la direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici e a presentare una nuova proposta che abolisca l’uso della sperimentazione su animali, rendendo nel contempo obbligatori per la ricerca biomedica e tossicologica l’uso di dati specifici per la specie umana”.
Dirò subito che io non credo molto nelle petizioni, soprattutto su argomenti come questo. Aspetto ancora che qualcuno me ne mostri una che abbia avuto successo e nel frattempo, abitualmente, le ignoro. Per questa ho fatto un’eccezione e ho firmato, un po’ per l’autorevolezza dei promotori (basti citare l’italiano Gianni Tamino) e dell’istituzione destinataria, un po’ per la fondatezza dell’impostazione che giustamente coniuga argomenti etici e scientifici secondo un sano principio di utile complementarità.
Il testo comincia citando l’Art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’UE: “L’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze e del benessere degli animali in quanto esseri senzienti”, una norma che sappiamo bene fino a che punto sia universalmente disattesa ma che a maggior ragione è lodevole ricordare e invocare. Viene poi citato un sondaggio del 2006 secondo il quale l’86% dei cittadini europei è contrario alla vivisezione e si espongono infine le ragioni scientifiche, ovvero il fatto che il modello animale è non predittivo per l’uomo. Segue una nutrita bibliografia scientifica.
La Almo Nature, che ha aderito a questa iniziativa, ha realizzato fra l’altro un utile depliant informativo contenente due interviste; la prima al dott. Massenzio Fornasier, presidente della SIVAL (Società Italiana Animali da Laboratorio) ovviamente favorevole alla prosecuzione della sperimentazione su animali, la seconda al prof. Bruno Fedi, professore di Urologia ed ex primario ospedaliero, contrario.
Ancora una volta devo constatare il valore di una vecchia regola: spesso ciò che mi convince dell'esattezza di una scelta non è tanto la solidità degli argomenti a suo favore quanto l'inconsistenza degli argomenti avversi. Proviamo dunque a confrontare gli argomenti dell’uno e dell’altro esperto.
Si comincia domandando a entrambi gli intervistati come mai oggi il tema della vivisezione è così dibattuto. Fornasier non sa fare di meglio che mantenersi su vaghe e astratte dichiarazioni di principio, parla di “aumentare la consapevolezza sulla complessità della questione, al di là dei luoghi comuni e nel rispetto delle idee altrui, per arrivare a proposte concrete e non di parte”. Vanamente però si cercherebbe un accenno a quali queste proposte potrebbero essere.
Fedi al contrario entra subito nel merito affrontando il tema su cui più volentieri i vivisettori amano glissare: la diversità fra l’organismo umano e quelli degli altri animali: “Si è capito”, dice, “quanto la sperimentazione animale sia fuorviante. La sperimentazione su animali, anche geneticamente vicini a noi, può dare risultati molto diversi da quelli che darà sull’uomo. Considerando che differenze genetiche significano anche un diverso metabolismo e diversa reattività, i risultati saranno sempre diversi, almeno da un punto di vista quantitativo. Cioè lo stesso farmaco è attivo sull’uomo in dosi diverse rispetto ad altri animali, ma ciò lo si può sapere solo sperimentando sull’uomo. Da qui l’inutilità delle sperimentazioni su animali. La diversità, genetica e di risposte, è un fatto, non un’opinione”. Inoltre, e anche questo capita raramente di sentirlo dire, un farmaco per essere commercializzato deve prima essere testato sull’uomo “e gli esiti”, spiega Fedi, “non sono mai prevedibili”.
Cosa ha da rispondere Fornasier a queste argomentazioni? Risponde con una considerazione che definisce “di carattere del tutto logico”, ovvero che “in tutto il mondo i ricercatori utilizzano animali da laboratorio. Se la sperimentazione fosse davvero completamente inutile o dannosa, non verrebbe fatta e non sarebbe richiesta dalle autorità di controllo”. Questo non è altro che un appellarsi al buon vecchio principio di autorità ovvero all’antitesi della vera scienza: se così fan tutti allora deve essere giusto.
Fornasier sorvola sul fatto che motivazioni ben diverse dalla razionalità possono muovere la ricerca, soprattutto quando è ricerca applicata e per di più fiancheggiata dagli ingenti interessi economici della aziende farmaceutiche. Ma, soprattutto, sorvola sul fatto che anche lo scienziato, come ogni essere umano, è un animale sociale e come tale intrinsecamente, inconsciamente e pertanto acriticamente predisposto a fare proprie le modalità di comportamento del gruppo sociale in cui vive immerso. In una comunità scientifica che segue certi protocolli di ricerca dunque anch’io li seguirò perché quello sarà il modo di dire ai miei simili: eccomi, sono uno di voi.
Perché dunque la vivisezione? A chi giova? “Alle case farmaceutiche” risponde Fedi. “Attenendosi al protocollo di legge, si deresponsabilizzano e ottengono più facilmente riconoscimenti”. Infine, cosa ha da dire Fornasier “sulla presunta dannosità sull’uomo di alcuni farmaci testati su animali nella fase pre-clinica?” La risposta merita di essere riportata per intero: “Tutti i farmaci oggi in commercio sono testati sia su colture cellulari che sugli animali, prima di arrivare all’uomo.
I metodi in vitro e in vivo sono complementari per poter valutare con la massima accuratezza il rapporto tra rischio di tossicità e beneficio terapeutico di un nuovo composto. La scelta dei metodi dipende da caso a caso, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: raccogliere più dati possibile per consentire al medico di prendere la decisione giusta per ogni paziente”. Non dubito che l’obiettivo sia quello; sarebbe strano il contrario. Ma a Fornasier era stato chiesto se il testare i farmaci sugli animali non avesse in alcuni casi portato a risultati opposti. È appena il caso di notare che Fornasier ha accuratamente evitato di rispondere alla domanda, riuscendo con ciò a convincermi in maniera definitiva. Ho firmato la petizione.
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