"Se le fiabe rimangono per sempre è perché vogliono ricordare qualcosa che è per sempre e quindi: cos’è che il viaggio sul pianeta 328 ci riporta alla memoria?" Dalla celebre fiaba di Antoine de Saint-Exupéry 'Il piccolo principe' una riflessione sull'importanza dei desideri e sulle ombre rintracciabili nella personalità del contemporaneo 'uomo d'affari'.
"E a che ti serve possedere le stelle? Mi serve ad essere ricco.
E a che ti serve essere ricco? A comperare altre stelle, se qualcuno ne trova. (Il Piccolo Principe", Antoine de Saint-Exupéry)
Il tempo delle favole è ovunque e per sempre, e così anche l’uomo d’affari che abita sull’asteroide 328 è ancora lì. Egli è il quarto di quei sette adulti a cui il Piccolo Principe va a far visita. L’uomo del pianeta 328 è l’uomo d’affari che è impegnato ad amministrare e a contare i suoi averi su un pianeta dove lui solo abita. Ciò che egli possiede sono le stelle, che si trovano oltre di lui, in alto nel cielo, e che egli vede solo di sfuggita quando distrattamente solleva lo sguardo.
L’uomo d’affari, ci racconta il Piccolo Principe, possiede le stelle al fine di contarle e depositarne il certificato riportante il numero in suo possesso in banca, ovvero, come il Piccolo Principe la definisce, un cassetto chiuso a chiave. L’uomo d’affari, che nella fiaba accumula certificati di stelle possedute, nella realtà accumula soldi, ma se le fiabe rimangono per sempre è perché vogliono ricordare qualcosa che è per sempre, e quindi: cos’è che il viaggio sul pianeta 328 ci riporta alla memoria?
La memoria del pianeta 328
Le stelle sono in alto, brillano nel cielo di notte, guidano i marinai e le carovane nel deserto e quando le si guarda cadere un desiderio si vuole venga espresso. Le stelle sono in alto, come i desideri sono sempre “un po' più in là”, per ricordarci di noi e quindi guidarci lì dove dobbiamo giungere e non hanno nessuna utilità nell’essere possedute. Le stelle sono in alto per ricordarci che i desideri, quelli veri, sono sempre più in là di dove si è giunti e che bisogna saper guardare il cielo per poter desiderare davvero.
Le stelle guidano nella notte verso la meta a cui si deve giungere, come i desideri sono una guida nella vita per chi sappia vederli e seguirli. Ma l’uomo d’affari del Piccolo Principe non segue i desideri, guarda in alto, ma solo per portare i suoi desideri dove lui è già, al fine di possederli, cosicché non possano essere più un mistero e, chiudendoli in banca, lui possa rimanere dov’è già.
E tuttavia, se possedere le stelle, richiama la volontà di possedere i propri desideri, il volere soldi per i soldi è, specularmente, il non vivere più il desiderio come ciò che va seguito poiché pronto ad indicare la strada, ma come ciò che è da possedere (e come tale non richiede che siamo più noi a doverci muovere). Il Piccolo Principe si chiede proprio quale sia l’utilità del possedere i desideri, lo chiede, e l’uomo d’affari risponde che ciò lo rende ricco e gli consente quindi di comperare altre stelle – ovvero possedere altri desideri -, cosa che egli fa perché è "un uomo serio".
La funzione del desiderio
Ma un desiderio può essere posseduto? Il denaro che si vuole accumulare, come simbolo della possibilità di un desiderio futuro a cui corrisponderà un ordine di realizzazione immediata, è simbolo di tutti i desideri, e mai di uno solo e preciso, il che è segnale di un' atrofizzazione dell’organo addetto alla funzione del desiderare. Le stelle che l’uomo d’affari accumula gli rimangono lontane e a lui non ne resta che un'immagine, un numero che ne è segno, depositata in banca.
Il deposito in banca non gli offre altro che una garanzia di possedimento. E tuttavia, se quei certificati, che sono le immagini fredde delle stelle che sono in cielo, sono in banca è perché rimangono a memoria di ciò che si poteva fare e si è deciso di non osare. Ciò che l’uomo d’affari in realtà possiede è l’illusione di una potenzialità del desiderio che non riesce a sfiorarlo, e ciò che gli resta in mano è un avere che senza desiderio conosce solo la quantità e mai la qualità.
L’uomo d’affari e l’ubriacone
"Questo qui, disse il Piccolo Principe, ragiona un pò come il mio ubriacone"
Per il Piccolo Principe l’uomo d’affari non è poi tanto diverso da un uomo ubriaco. L’uomo ubriaco si trova sull’asteroide 327 e il Piccolo Principe nel vederlo prova una strana malinconia. L’uomo ubriaco beve, naturalmente, e sa che l’unico motivo per cui continua è che prova vergogna. L’Ubriacone continua a bere perché ne prova vergogna, ma ancor più beve perché in quella vergogna di quel continuo bere la sua vita trova un qualche senso.
Questo paradosso del 'senso', per cui diviene impossibile smettere di fare una cosa, anche quando dannosa, è ciò che ha luogo una volta che visto un proprio limite non lo si sia superato, con la conseguenza dell’avergli dato modo per iniziare ad assorbire tutte le nostre energie e per costituirsi di conseguenza come il senso stesso della vita. In tal caso, è il passato che sul confine decide di noi.
L’ubriacone rimane così seduto a un tavolo di fronte a bottiglie piene e vuote, ovvero egli si trova di fronte al suo passato e al futuro, che quel passato, continuerà a determinare. Ma, se l’ubriacone ha le bottiglie vuote di fronte a sé come simbolo di ciò che è rimasto vuoto nella sua vita, come simbolo di un passato vuoto e sempre uguale, l’uomo d’affari non ricorda più quel passato, non vede quel vuoto, e per questo non prova vergogna.
Se i ricordi possono imprigionare nel ricordare i limiti di fronte ai quali ci si è fermati, la dimenticanza, quando è rimozione, porta a non vedere più la realtà e così non si riesce più a porre o ad ascoltare, alcuna domanda: per l’uomo d’affari le domande sono un disturbo solamente, il suo futuro è oltre la storia, e di fronte alle domande del Piccolo Principe può solo affermare di essere stato disturbato nei suoi calcoli tre volte in cinquantaquattro anni!
Mentre l’ubriacone è l’emarginato malinconico, l’uomo d’affari che colleziona stelle è il potere che non vuole essere disturbato, perché alla coazione a ripetere si è unita la possibilità del calcolo, o meglio il progetto di un calcolo infinito. L’ubriacone è lì per ricordare cosa sia il rimosso per l’uomo d’affari, il quale continua a contare ciò che ha per poter non guardare più a quelle bottiglie vuote e non può fermarsi perché qualora lo facesse si troverebbe di fronte al 'dubbio', che per la calcolabilità assoluta prenderebbe subito la forma di un nulla che è voragine nel suo sottrarsi ad ogni calcolo di una mente 'calcolatrice'.
E tuttavia è proprio fra il nulla e la possibilità della calcolabilità del tutto che si inserisce il desiderio, il quale non conosce il nulla, poiché è sempre creatore e non conosce calcoli perché sempre oltre a dove si è.
Il migliore investimento è allora la nostra stessa capacità di desiderare, senza volerla controllare, nella paura di farne una guida, accumulando così desideri su desideri.
"Infine si ama il proprio desiderio, e non quel che si è desiderato" (Al di là del bene e del male, Friedrich Nietzsche, 1886)
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