Polimeri eco-compatibili? Impariamo dalla Natura

Sia la natura che l’uomo producono polimeri, quelle lunghe molecole che si trovano sia nelle plastiche che nel carapace del granchio. Ma lo fanno in modi differenti. La Natura crea questi polimeri complessi lentamente, mentre l’uomo produce velocemente i polimeri nelle plastiche che immette sul mercato. E questi ultimi non si decompongono altrettanto bene come quelli creati dalla Natura!

Polimeri eco-compatibili? Impariamo dalla Natura

Andrew Davis conosce benissimo i polimeri, è un esperto di questi materiali, insegna all’università del Massachusetts ed è noto divulgatore. E' lui a guidarci in questo mondo complesso e segreto in cui la Natura, ancora una volta, ci dà una grande lezione: “lei” i polimeri li produce amici dell’ambiente…l’uomo no!

«Si tratta di molecole con proprietà eccezionali: sono forti, resistenti, elastiche e non si limitano ai solidi» spiega Davis. «La natura ha i suoi polimeri e li usa per molti degli scopi per i quali anche noi usiamo i nostri: per proteggersi (si pensi al kevlar per l’uomo e alla chitina del carapace del granchio per la natura), per l’estetica (rayon versus le ali della farfalla), come arma (le armi in 3D e gli aculei del porcospino e come materiali da costruzione (il nastro adesivo e le ragnatele)». La Natura e l’uomo sono arrivati ai polimeri da differenti direzioni. Innanzi tutto è utile fars un’idea delle dimensioni. Quanto è “lunga” una molecola? Ce lo spiega Davis. «Cominciamo con quella dell’acqua, H2O. Riempiamo un ditale da cucito con acqua e avremo 10.000.000.000.000.000.000.000 molecole di acqua. Se fosse mai stato possibile contarle una al secondo per tirarle fuori dal ditale, ad iniziare dall’istante del Bing Bang, saremmo ancora oggi impegnati a contarle; anzi, oggi saremmo arrivati a contarne lo 0,001%». In confronto, l’intera suola di gomma delle nostre scarpe è costituita da una singola molecola. Solo una. E ancora: «Praticamente ogni singolo atomo dell’universo, incluse quelle nelle nostre plastiche, sono state forgiate all’interno del cuore ardente di una stella. Ma nello spazio esterno e nelle atmosfere dei pianeti le molecole più grandi sono raramente più grandi di pochi atomi insieme. Assemblare piccole molecole in molecole grandi richiede una grande dimestichezza con le regole della termodinamica e dell’entropia». «Per assemblare le molecole noi usiamo ancora uno degli strumenti più primitivi: il fuoco. I forni industriali sono ancora il metodo d’elezione per trasformare i  monomeri in polimeri, ricavando così le plastiche». Anche la Natura ha i suoi polimeri. Piante e animali devono proteggersi dai nemici, si attrezzano per apparire attraenti quando devono attirare il sesso opposto, devono proteggersi dal freddo. Da un punto di vista molecolare, il chitosano e la cellulosa o la seta e la cheratina sono come lo styrofoam (polistirene) o il Nalgene o il kevlar. Sono lunghe macromolecole sintetizzate legando insieme blocchi più piccoli. Ma la Natura non usa il fuoco, opta per una costruzione lenta utilizzando i “mattoncini” del proprio ambiente iper-locale. Un albero utilizza CO2, acqua e minerali da aria e suolo per costruire materiale necessario alle proprie pareti cellulari. Un ragno raccoglie amminoacidi dalle sue prede e li utilizza per le proteine della ragnatela. Una cellula umana prende il fosforo dagli alimenti. Lentamente ma senza incertezze, l’atomo si lega all’altro atomo attraverso una elaborata danza di intricate modifiche metaboliche “progettate” per superare le barriere stesse della termodinamica. E questi polimeri naturali hanno un impatto molto diverso rispetto a quelli prodotti dall’uomo. Quelli naturali sono ricchi di informazioni. La lunga sequenza polipeptidica di cheratina, per esempio, è una composizione molto specifica e ordinata di centinaia di blocchi di amminoacidi. Cambiando composizione e ordine si avranno capelli differenti. I polimeri realizzati dall’uomo sono muti, la loro intera lunghezza è spesso ragiunta con una ripetizione di monomeri identici. Cambiando posizione e ordine, il kevlar sarà sempre kevlar, dello stesso tipo. Inoltre i polimeri artificiali non hanno lo stesso grado di degradabilità di quelli naturali, il che può essere utile se la carlinga di un aereo deve resistere anni, ma non se una sporta di plastica per la spesa sopravvive per centinaia di anni inquinando l’ambiente. Per di più, i polimeri naturali vengono prodotti realizzando quantità infintesimali di energia, mentre la produzione di quelli artificiali ne consuma quantità molto elevate. Ma quanta fatica fa l’uomo ad imparare dalla Natura! «Abbiamo veramente tanta strada da fare prima di essere all’altezza della tela del ragno».

Si ringrazia Andrew Davis

 

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