di
Francesco Bevilacqua
18-07-2011
Ci sono casi, troppi purtroppo, in cui entrano drammaticamente in conflitto due aspetti a cui nessuno oggi può rinunciare, ovvero il lavoro e la salute. La vicenda di Porto Tolle, nel mezzo del Delta del Po, è una storia come ce ne sono altre. Senza scadere nella dietrologia, è possibile evidenziare come questi contrasti siano in qualche modo calcolati. La soluzione, però, esiste.
La barbarie in cui ci ha fatto precipitare il sistema sociale, industriale e culturale in cui viviamo emerge in molte occasioni, certe volte in maniera talmente sconsolante da lasciare senza parole. È infatti questa la sensazione che ho provato nel leggere la notizia che arriva da Porto Tolle, nel bel mezzo del Delta del Po. Operai contro ambientalisti, salute contro lavoro, una battaglia ideale e politica contro il vitale bisogno di uno stipendio.
È proprio questa la barbarie: contrapporre, in un conflitto che le vede una nemica all’altra, persone portatrici di istanze che, prese singolarmente e slegate dal contesto, sarebbero giuste, sacrosante e condivisibili. Chi può infatti contestare l’affermazione che la conversione di una centrale termoelettrica a carbone oggi sia un’operazione anacronistica, oltre che a elevato impatto ambientale? Chi però può opporsi alla rivendicazione di un migliaio di lavoratori a rischio disoccupazione – tanti sarebbero gli operai impiegati nel ciclo a carbone, contro i trenta di quello a gas?
Chi infine, se vogliamo introdurre una terza voce, potrebbe sostenere che non è giusto che l’Italia cerchi di assicurarsi l’efficienza e soprattutto l’autonomia energetica, senza il bisogno di importare energia elettrica dall’estero pagandola fino a cinque volte il suo prezzo di mercato, come invece avviene ora?
Il problema sorge nel momento in cui queste posizioni, singolarmente tutte condivisibili, si scontrano entrando in contrasto fra loro. È proprio ciò che è successo a Porto Tolle, dove i lavoratori della centrale Enel, al grido di “Sì al lavoro, sì al carbone”, hanno fortemente contestato la sentenza del Consiglio di Stato che, accettando il ricorso presentato da un cartello comprendente Wwf, Greenpeace, comitati cittadini e operatori economici – legati in prevalenza ai settori di pesca e turismo – del litorale rovigotto, ha bloccato il progetto di conversione presentato da Enel, che secondo la società energetica nazionale “vedeva un investimento da circa due miliardi e mezzo di euro e oltre tremila posti di lavoro per i cinque anni necessari a costruire l'impianto e che avrebbe migliorato di molto l’ambiente con l’utilizzo delle più avanzate tecnologie di abbattimento di fumi e inquinanti”.
Della propaganda di Enel e delle istituzioni, capeggiate dal governatore Zaia, è bene diffidare, poiché hanno già ampiamente dimostrato le carenze dell’Italia nella politica energetica e delle fonti pulite. Rimane però il dato di fatto che migliaia di cittadini rischiano di trovarsi senza un posto di lavoro reso oggi necessario da una condizione economica estremamente gravosa per le famiglie. Non dimentichiamo infatti che il sistema cui si accennava in apertura non è solo quello della dipendenza energetica e delle fonti fossili, ma è anche quello dell’indebitamento, della nazionalizzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti, del consumo indotto al di sopra delle possibilità economiche, della sregolatezza finanziaria.
In termini più spicci, è un sistema che costringe milioni di italiani a lavori opprimenti, alienanti, ripetitivi, spesso pericolosi, per portare a casa quei mille euro al mese che servono a respirare a pelo d’acqua nell’economia del debito.
Di questo argomento abbiamo già parlato nello speciale Il 6 maggio e il senso del lavoro. Torniamo dunque al conflitto di interessi oggetto della discussione. A tal proposito possiamo rilevare che lo 'scontro' fra ambiente e bisogno di lavoro è già avvenuto in passato e avviene ancora oggi in molti altri campi. Si pensi per esempio alla normativa che vieta la produzione di shopper e che, pur dando un contributo importante in termini di salvaguardia ambientale, sta letteralmente smantellando un settore da cui dipendevano molti posti di lavoro.
La soluzione in casi come questi appare veramente inafferrabile. Come riuscire a conciliare le legittime rivendicazioni di chi pretende, perché vi è costretto, un posto di lavoro per provvedere al mantenimento di se stesso e della sua famiglia e le altrettanto legittime posizioni di chi invece ritiene prioritario salvaguardare la salute del Pianeta e dei suoi abitanti? Per quanto possa sembrare banale, la risposta definitiva è che bisogna 'ripensare il sistema'. Questo non solo può apparire scontato, ma è anche una soluzione a lungo termine e certamente difficile da realizzare.
Non per questo però possiamo esimerci dall’attuare le pratiche di lotta civile, sociale e culturale per innescare questo cambiamento. Anzi, proprio perché tali lotte si prospettano lunghe e perigliose è necessario cominciare subito, con prontezza e decisione. Serve però una soluzione intermedia e soprattutto concreta, che possa soddisfare le esigenze di entrambe le parti. Qua si apre il dibattito, dato che una risposta immediata e univoca richiede competenze fuori della portata dei singoli, compreso chi scrive questo articolo. Qualche spunto però possiamo offrirlo.
È possibile, per esempio, che la critica che viene costantemente rivolta alle fonti di produzione energetica pulite e rinnovabili sia sempre la solita – il mercato è poco sviluppato, le tecnologie sono arretrate, gli operatori sono pochi – ma che non venga contestualmente proposto un piano di sviluppo tecnico e produttivo che punti senza mezzi termini su di esse, creando un nuovo mercato del lavoro che potrebbe accontentare sia i disoccupati che gli ambientalisti?
Andando oltre: buona parte dei mali del pianeta vengono dall’agricoltura intensiva e chimica, che massimizza le produzioni minimizzando il lavoro e quindi anche i lavoratori. Perché allora non attuare un piano di ripopolamento delle campagne, di rilancio del settore, di riconversione del mondo agroalimentare tramite il ritorno a tecniche naturali che al tempo stesso rispettino l’ambiente e diano nuovamente lavoro ai contadini?
Queste sono solo due ipotesi che non pretendono di risolvere la complessa situazione, ma testimoniano che, al di là del muro contro muro che fa solo il gioco dei portatori di interessi estranei a quelli di entrambe le parti, una soluzione che può incontrare il favore di tutti è possibile.
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