Sul piano culturale ed economico, poi, occorre tenere sempre ben presente come dal 1989, ben sepolta sotto le macerie del muro di Berlino, sia stata (definitivamente?) archiviata l’unica concezione alternativa e su larga scala allo sviluppo socioeconomico dell’umanità: da allora, infatti, il pensiero unico capitalistico e neoliberista si è trovato la strada spianata, sia sul piano delle prassi umane che, soprattutto, su quello del pensiero. Provate a spiegare oggi a un ragazzino di quindici anni che può esistere un “mondo” che non sia fondato sulla competizione, sull’arrivismo, sul darwinismo sociale e sul predominio dell’avere sull’essere!
Come dico sempre, esistono ovunque provvidenziali “sacche di resistenza” illuminata in tutti i campi (alimentare, medico, educativo, economico, spirituale…), ma fintantoché queste “cellule di alterità” resteranno autoreferenziate e prive di un coordinamento evoluto, il massimo che potranno fare sarà salvare se stesse (che è già tantissimo, mi raccomando), ma non potranno mai illudersi di mettere anche minimamente in discussione il sistema culturale egemonico.
Solo per fare l’ennesimo esempio, è di qualche giorno fa la notizia che Nikkei – holding dell’informazione finanziaria asiatica – sia sul punto di concludere l’acquisto del Financial Times, testate e case editrici satellite incluse. Un colosso della cultura finanziaria globale, già titolare del Nikkei-daily (il quotidiano, distribuito in quasi 5 milioni di copie, diventato un “must” per i CEO di tutto il mondo) s’impadronisce della più autorevole testata giornalistica economico-finanziaria occidentale! Politica locale e potere globale, ricordate? Concentrato nelle mani di pochissimi: Tsuneo Kita, CEO dei Nikkei, è un uomo. Uno solo. Una persona, capite? Con delle idee, dei progetti, degli obiettivi. Chi, come il sottoscritto, ha lavorato vicinissimo al vertice di compagnie di migliaia di persone sa benissimo come la “cinghia di trasmissione” della cultura aziendale sia apparentemente lunghissima, ma, nella pratica, inesistente. In questo modo, le pochissime mani che concentrano il Potere avranno gioco facile a condizionare le menti e le prassi – cioè: le vite – di migliaia e milioni di persone! Senza andare dall’altra parte del mondo, pensiamo anche a quanto sta accadendo in casa nostra, con la fusione di RCS e Mondadori; o con quella, meno recente, di FIAT con Chrysler, acclamata dai circuiti informativi mainstream come il trionfo internazionale della forza persuasiva del “made in Italy”, peraltro abilmente orchestrata da un individuo che – ricordiamolo – guadagna in un anno centinaia di volte quello che guadagnano i suoi collaboratori.
Secondo gli analisti, il 2015 sarà l’anno che farà registrare il record assoluto del valore economico delle operazioni di compravendita societaria a livello mondiale, superando dell’11% il precedente record del 2014: un settore che non conosce crisi, apparentemente. Un settore, guidato da personaggi al cui cospetto se la darebbe a gambe un branco di squali bianchi (a digiuno), che favorisce la massificazione giuridica delle società quotate, all’interno di un mondo in cui, purtroppo, già da decenni avviene la massificazione culturale delle persone che ne subiscono le conseguenze.
In quella che io amo definire economia di prossimità – e che Ivan Illich definiva “società vernacolare” – credo risiedano le risposte. Un’economia fatta di vite basse illuminate da pensieri alti. Per non soccombere al cospetto del mostro capitalistico, per scoprire la pienezza di noi stessi all’interno di una dimensione necessariamente limitata ma inevitabilmente rigenerante, per rifiutare consapevolmente l’inafferrabile concetto di accumulo e dedicarsi alla sapiente amministrazione dei beni domestici. Che – udite, udite! – è esattamente ciò che significa “economia”.
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