di
Paolo Ermani
01-10-2012
“8/10 anni sono un tempo lunghissimo in cui fare molte cose. Finito questo tempo è bene e salutare che si faccia altro, magari anche dando consigli e prestando la propria esperienza ad eventuali persone che prendessero il proprio posto”. Le riflessioni di Paolo Ermani sul limite massimo di due mandati per i politici, regola sostenuta da Beppe Grillo.
Beppe Grillo ha individuato nella problematica dei politici in carriera uno degli aspetti centrali della sua proposta. Mettere un limite a due mandati, che sono comunque mediamente 8/10 anni è un tentativo di arginare la deriva per la quale il politico è diventato un mestiere, forse il più ambito dagli italiani, che può essere esercitato addirittura a vita se si servono gli interessi giusti, si ha la dovuta scaltrezza e un paio di materassi di pelo sullo stomaco.
Facendo del politico un mestiere, oltre che a perdere qualsiasi collegamento con la realtà, si crea quella casta di cui ormai tutti conoscono e che non fa altro che approfittare, difendere i propri privilegi e cercare di durare il più a lungo possibile.
Ammesso che il politico sia veramente al servizio della comunità (il che è tutto da verificare) 8/10 anni sono un tempo lunghissimo in cui fare molte cose. Finito questo tempo è bene e salutare che si faccia altro, magari anche dando consigli e prestando la propria esperienza ad eventuali persone che prendessero il proprio posto.
Anche i Verdi all'inizio della loro esperienza politica pensarono qualcosa di simile, sappiamo tutti poi come è andata a finire.
Sembra però che a prescindere dagli intendimenti e belle parole, il rapporto con il potere sia così morboso e devastante che poi la persona o il politico che ottiene visibilità, importanza, non possa più accettare di farsi da parte. Si sente unico e irripetibile, indispensabile e sacro, ognuno un piccolo Unto del Signore.
Ogni volta che vedo queste persone attaccate al loro ridicolo potere mi viene in mente il personaggio di Gollum alle prese con l'anello quando dice "Mio tessssorooooo....".
Ho sentito spesso dire che questo o quel personaggio deve necessariamente tentare la carriera politica perché è così bravo, capace, sostanzialmente migliore, che sarebbe un peccato se non lo facesse. Sindaci, assessori o persone che magari hanno fatto bene (ma quasi sempre male) nel loro comune, devono per forza salvare il paese.
Ma chi lo ha detto che qualcuno è migliore di altri? Secondo quale criterio? Secondo forse l'assunto che ci si crede di essere chissà chi? Credersi chissà chi non è fare un servizio alla comunità semmai è un intralcio e crea immediatamente inimicizia, odi e rancori, alimenta un sistema di guerre palesi e intestine che non portano lontano. Sentirsi superiori, indispensabili è il primo passo verso l'arroganza che non permette progressi né da un punto di vista politico, né sociale, né umano.
Ma si sa, la politica è il regno del cane mangia cane anche e soprattutto fra simili, niente di diverso di quello che avviene nella società ogni giorno, semplicemente in politica questo aspetto è amplificato a dismisura, visti anche gli enormi interessi in gioco e il potere di cui si dispone.
Se il politico servisse a qualcosa e non fosse invece parte del problema, dovrebbe essere sempre della massima umiltà che non significa arrendevolezza, semplicemente significa sentirsi pari agli altri, anzi grato agli altri per avergli dato il privilegio di rappresentarli. Dovrebbe farlo per un tempo limitato e prendere uno stipendio simile a quello di un impiegato quale è in effetti.
Finiti i suoi 8/10 anni dovrebbe ringraziare tutti e tornare a fare cose veramente utili alla società come per esempio coltivare la terra anche per recuperare quel rapporto con la realtà che probabilmente il suo impegno istituzionale ha allontanato.
Non appena sentite qualcuno che dice che lui è un predestinato o si sente ormai così incollato alla poltrona da non poterne più fare a meno, diffidatene. Non esistono persone migliori, esistono intenzioni migliori.
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