Spettacolo, moda, esibizione, espressione di se stessi. È questo che è diventata oggi la cucina? Le riflessioni di Daniela Mazzoli.
Certe volte non capisco perché si debba mangiare una zuppa di lenticchie in un barattolo di vetro anziché in un piatto. Certe volte mi vengono le vertigini a guardare come stanno in bilico le acciughe arroccate in cima a un hamburger di zucchine. Certe volte vorrei che la cucina non diventasse uno spettacolo, un evento a cui si sottomettono, con cautela e venerazione, i nostri appetiti più profondi.
Da qualche anno, e forse da quando è finita la cucina famigliare perché è finito anche un certo tipo di famiglia, cucinare non è più una forma di cura per figli e parenti, per amici e ospiti a cui offrire tempo, gusto e intimità: è diventato invece un modo per ‘esprimersi’, proprio come accadeva in quei programmi televisivi in cui ci si sfidava a forza di prove più o meno canore, danzanti, attoriali. Si andava in tv a esprimere se stessi, usando lo strumento delle proprie doti invece di mettersi al suo servizio.
Quando è finito lo spettacolo ‘in carne e ossa’, la possibilità di diventare veri attori frequentando una scuola seria con prospettive decenti e reali di lavoro, tutti quei talenti sono stati mercificati e sacrificati alla gara e al giudizio di un pubblico e una giuria fittizi. Oggi perciò è naturale che a esibirsi siano gli chef, non solo sugli schermi televisivi, dove vige la stessa logica della selezione drammaturgicamente feroce e della suspence, ma anche nei ristoranti.
La moda televisiva, sostenuta dai giornali, dai blog, dalla invadenza epidemica di manifestazioni legate al cibo (persino nei festival letterari e filosofici), è diventata un modo di fare. Così, anche dal vivo, si ha sempre la sensazione di assistere ad una performance, che ad essere importanti non siano quelli seduti al tavolo, con la loro serata da fare e un’esperienza da vivere, di cui conservare ricordi – buoni, certo, oltre che belli - per gli anni a venire. No: quelli al tavolo pagano un prezzo per lo spettacolo a cui assisteranno, che parte dalle cucine e arriva fin sotto i loro occhi, mantenendo sempre le distanze.
Ma nell’esibizione c’è qualcosa che tradisce e fraintende il valore – non solo economico - del piatto. Gli chef e le loro opere si mettono in mezzo, tra noi e l’ambiente, tra noi e la materia, tra noi e il commensale: ci impediscono di capirli meglio, di imparare che essi ci trasformano perché si trasformano, anche in grazia di una reciproca presenza. Una trasmissione della domenica pomeriggio recitava lo slogan ‘vi facciamo viaggiare comodamente seduti in poltrona’. E mentiva. Seduti in poltrona spesso, e come assistendo a qualsiasi cosa, ci si perde la vita.
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