di
Etain Addey
16-03-2012
L'Evernia prunastri, chiamato anche 'muschio di quercia', è un lichene che ricopre i rami degli alberi. I turchi utilizzavano questo lichene per fare una gelatina, mentre gli antichi egizi la usavano per lievitare la pasta del pane. L'Evernia, però, può essere usata anche per tingere la lana delle pecore. Ce lo racconta Etain Addey dalla sua casa di Pratale, a Vallingegno, in Umbria.
Noi umani siamo arrivati da poco nel mondo e siamo circondati da abitanti antichissimi. Oggi che si celebra Imbolc – il momento in cui sono già nati gli agnelli e la fine dell’inverno non sembra più così lontana - ho incontrato un abitante che vive qui da quattrocento milioni di anni.
Scendo verso il campo dove Martino sta pulendo il pascolo, ammucchiando legna per l’inverno prossimo. Fa freddo e tutta la vegetazione è bagnata, ho gli stivali pieni di fango, ma non piove più e il vento forte degli ultimi giorni si è calmato. I cavalli pascolano attorno a Martino mentre lavora e la cavalla Ursula, che lui ha cresciuto con il biberon, gli sta anche troppo vicina, così quando lui accende la motosega, si spaventa e galoppa giù per tutta la collina, seguita da Toby e da Papu con le lunghe criniere bianche che ondeggiano.
Sono venuta per fare le fascine con i rami piccoli, ho portato il cesto con i guanti, lo spago e la seghetta ma vengo distolta da questo lavoro quando vedo sparsi per terra piccoli mucchi di un lichene verde chiaro. In questa parte del campo ci sono ancora filari di enormi aceri campestri, che qui chiamano semplicemente alberi, perché, potati ogni anno a cappello, una volta servivano a reggere le viti. Non è più una vigna e adesso che gli alberi sono diventati vecchi, i rami sono coperti da un lichene che uso per tingere di giallo la lana, l’Evernia prunastri.
Questo lichene cresce solo due millimetri all’anno e quindi se vai a vedere sui libri, ti dicono di non coglierne troppo a parte di trovarlo in grandi quantità. Quindi lo tratto sempre come se fosse oro, ma oggi, dopo la pioggia e il vento, tutto il pascolo è cosparso di evernia bagnata, elegante e delicata, con le sue piccole ramificazioni come corna di cervo, di un verde acceso ora che è bagnato. Ad ogni passo mi riempio le tasche di queste piccoli masse cespugliose e soffici. Le più grandi sono circa sei centimetri.
Man mano che scendo verso il torrente, gli alberi sono sempre più carichi di licheni e il tappeto gommoso per terra è sempre più fitto. L’evernia si chiama anche 'muschio di quercia' e difatti, vicino al ruscello molte querce ne sono coperte, ma vedo che c’è anche tantissima evernia sugli arbusti di prugnolo e credo che questa sia l’origine del nome scientifico. Vicino al torrente Cerquetelle l’aria è sempre fresca e umida, anche d’estate.
L’evernia ama l’umidità, che prende dall’aria perché non ha radici, ma quando il sole è forte e c’è siccità, questo strano essere, composto da un fungo e da un’alga in un antico matrimonio simbiotico, è capace di rimanere in uno stato di stasi metabolica, senza attività biochimica, anche per lunghi periodi. Secco, si sgretola in pezzettini minuscoli e vola via con il vento, alla ricerca di nuovi luoghi di vita.
È per questo che i licheni sopravvivono in luoghi inospitali e a temperature estreme. La loro trovata è geniale: molto prima dell’evolversi delle piante vascolari, alcuni funghi hanno imparato ad unirsi a un’alga per approfittare della sua capacità di fotosintesi. Quindi l’alga produce zuccheri, entrambe le parti catturano acqua e sostanze nutritive dalla pioggia e dalla polvere nell’atmosfera e il fungo a sua volta provvede alla ritenzione dell’acqua e al rifornimento di nutrienti e minerali dal substrato. L’habitat di entrambe le parti viene ingrandito da questo sposalizio.
Circa un quinto di tutti i funghi ha abbracciato questo modo di vivere e forse la lichenizzazione - questa vantaggiosa associazione fra due regni già nei primi ecosistemi della terra - ha dato un’impronta di collaborazione al regno dei funghi, che necessariamente vivono su altri organismi, vivi o morti, visto che non hanno clorofilla. La mancanza di autonomia gli ha suggerito non solo il parassitismo, ma anche vari livelli di scambio con le piante verdi: ricerche recenti all’Università di Bayreuth in Germania hanno dimostrato che circa l’80% delle piante terrestri vive in simbiosi con i funghi.
Pare che sottoterra i filamenti dei funghi si attacchino alle radici delle piante per attingere nutrimento o per rilasciarlo: in un bosco, attraverso questa rete nascosta, le piante si stanno 'aiutando': il fungo attinge carboidrati e rilascia acqua, fosforo e azoto. Le piante sotto l’ombra degli alberi alti prendono - attraverso i funghi - i carboidrati dagli alberi che le sovrastano: la scienza così scopre quello che intuiamo, cioè che il bosco è un organismo unico!
Il fatto di accogliere sostanze nutritive e acqua dall’aria fa sì che i licheni accumulino sostanze tossiche se sono presenti nell’aria. In quel caso, il fungo nel lichene soffre se l’alga deve dirottare le sue energie metaboliche per riparare il danno alle cellule dovuto all’inquinamento, e la simbiosi può fallire: quindi la presenza o meno di licheni in un luogo è indice del livello di inquinamento. Hanno usato proprio questo lichene per il monitoraggio di siti urbani e industriali nel 2001, prelevandolo dal Parco Nazionale d’Abruzzo. Sono felice di vedere l’affollamento di Evernia prunastri in ottima salute qui!
Quando riporto il cesto pieno di licheni a casa, riempio una pentola di acqua fredda e metto alcune manciate di licheni a bollire sulla stufa a legna mentre faccio il pranzo. Ho letto che i turchi usavano questo lichene per fare una gelatina, mentre gli antichi egizi la usavano per lievitare la pasta del pane, addirittura che usavano un lichene affine, Evernia furfuracea per imbalsamare le mummie, ma non ho intenzioni così strane.
Lo uso solo per tingere la lana delle pecore per fare le calze, ma mi sono chiesta che cosa contiene questo lichene, perché ha un odore molto complesso, forte. So che la tintura con i licheni è particolare perché hanno proprietà fissative e non ha bisogno di allume di rocca o altre sostanze per fissare i colori. Senza aggiunte tinge di giallo, con l’urina fermentata tinge di viola: per il momento mi limito al giallo!
Quando entrano Ben e Martino per mangiare, tutti e due chiedono: “Ma cos’è questo odore?” “Sono i licheni” rispondo e vedo che sono sollevati nello scoprire che non è quello il profumo del pranzo. “Secondo te, Martino, a che assomiglia questo odore?” gli chiedo. “Si, mi ricorda qualcosa, ma non riesco a capire che cosa…” risponde lui. “Secondo me sa un po’ di alga marina, un po’ come il sottobosco, forse anche un po’ come il sesso?” - “No, no… mi verrà in mente”, risponde Martino “poi te lo dirò…”.
Indagando sulla natura di Evernia prunastri, scopro che è stata usata da tempo immemore per fissare i profumi, aiuta a mantenere a lungo sulla pelle il profumo anche di altre essenze. Si dice che è sedativa, calmante, antisettica, afrodisiaca. “Allora avevo ragione! Ha qualcosa che mima l’effetto dei feromoni come il muschio che sveglia i sensi, è erotizzante!” mi dico. Vado di nuovo vicino alla stufa e alzo il coperchio: mi viene in mente cuoio, corteccia, mucchi di alghe sulla spiaggia atlantica, il bosco dopo la pioggia, è acre, un po’ dolce, ricco, sensuale. Il liquido con i licheni che galleggiano, viscido ora, è scuro.
Nel pomeriggio torno sul pascolo sotto gli alberi e raccolgo un altro cesto di evernia e penso a come gli antichi erano attenti alle sostanze del mondo, come erano a loro più familiari. Questa evernia è un abitante di questo posto, così apparentemente innocua eppure ha tutte queste capacità. Nascosto dentro questo piccolo essere vi è un carattere forte. Dall’Evernia prunastri discende un filone di profumi chiamati Chypre, 'inventato' nel 1917 da Coty, ma con origini nell’isola di Cipro – l’isola di Venere – dove già ai tempi dei romani si usava un profumo composto di evernia con styrax, calamo aromatico, labdano e gomma adragante. Nel 1200 si usava come incenso questo profumo (e qui vediamo l’origine della parola profumo – era il fumo odoroso di cosa si bruciava) e si facevano piccoli uccelli decorativi con queste sostanze, oyselets de Chypre per profumare l’aria.
La cosa bellissima, che riporta tutta la storia dentro le mani dei contadini, è che per ricavare la sostanza resinosa dai fiori di labdano (uno dei fiori di Bach, rockrose, che cresce anche qui d’estate) per fare questi uccellini profumati, si pettinavano le capre che si cibavano dei fiori!. Immagino chi, ricurvo sulla capra da mungere, con il viso vicino al manto dell’animale in una calda serata d’estate, godeva della fragranza dolce di quel fiore dai petali così fragili, mediato dal muschiato odore caprino – ben prima di escogitare l’imbottigliamento dell’esperienza!
Così, il manipolare di Dior, Gucci, Rochas e compagnia bella dei componenti di Evernia – del suo acido evernico, acido d-usnico, atranorina e cloratronorina per dare “una nota di lusso intimo, che ricorda il calore della soffice intimità del collo che si appoggia alla spalla” e evocare ricche sfumature naturali non ha, alla fin fine, più forza che non l’Evernia stessa, colta fra le mani in una mattinata di febbraio nei verdi pascoli bagnati e respirata lì per lì a pieni polmoni.
La pentola di licheni deve bollire piano piano due o tre giorni sulla stufa per avere il liquido per tingere la lana. Il terzo giorno Martino mi dice: “Ah! Ora mi è venuto in mente qual è l’odore che questa roba mi ricorda – è l’odore dell’acqua sporca quando abbiamo bollito le bottiglie di pomodoro ad agosto!”.
“Martino, non sei certo Dior!”
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