Nell’Amazzonia peruviana sono in corso manifestazioni, blocchi e proteste organizzate da gruppi di indios che, stanchi dell’inquinamento dovuto ai continui sversamenti di idrocarburi nei loro fiumi e delle false promesse di indennizzi da parte delle compagnie petrolifere che ne sono responsabili, hanno dato un ultimatum al governo di Lima: o si cambia registro o i petrolieri devono andarsene dal loro territorio.
Migliaia di indigeni residenti nella parte amazzonica peruviana stanno bloccando il fiume Marañón, una delle principali vie di comunicazione nella regione di Loreto, per protestare contro la compagnia petrolifera argentina Pluspetrol. Alla confluenza del fiume con il suo affluente Tigre, il blocco rende impossibile sia il traffico merci che passeggeri. Una protesta iniziata in un primo momento con 1.200 persone, che ha però portato nell’arco di poche ore alla partecipazione di oltre 5mila indios.
Il motivo del blocco è il recente sversamento di 300 barili di petrolio nel bacino del Marañón. Un motivo 'sufficiente' a fare inferocire indigeni delle etnie shawi, achuar e awajun, i quali con una 'catena' di canoe e piccole imbarcazioni impediscono il transito alle barche che giungono in quel punto del fiume, incluse le navi della Marina de Guerra peruviana.
Il blocco degli indios crea danni enormi all’economia di tutta la regione, nella quale mancano le strade e, di conseguenza, il fiume diventa l'unica via di comunicazione disponibile per i commerci e per il trasporto di merci di prima necessità. Danni che ovviamente ricadono sia sul Paese che sulla Pluspetrol. Nonostante ciò, però, dalla compagnia petrolifera non è ancora arrivato alcun segnale.
Il vero motivo delle proteste non sembrerebbe solo l’inquinamento del fiume dovuto ai continui sversamenti effettuati dalla Pluspetrol, ma anche al comportamento scorretto della stessa, colpevole fra le altre cose di non avere mai mantenuto la promessa dei grandi investimenti in educazione e salute per il continuo inquinamento del fiume. Finanziamenti per le scuole e strutture ospedaliere locali che, secondo i manifestanti, nessuno ha mai visto.
Dennis Pashanase, portavoce dei manifestanti, ha affermato che le popolazioni locali hanno offerto a lungo il loro appoggio ai petrolieri, ma ora che le promesse di questi ultimi si sono rivelate vacue, è difficile frenare l'indignazione della popolazione. Popolazione che in questo modo ha subito solo le conseguenze negative della presenza dell’impresa petrolifera. "Se non ci sarà una soluzione, - ha quindi avvertito Pashanase rivolgendosi al governo di Lima - esigeremo che l'impresa fermi una volta per tutte il suo lavoro ed esca dal nostro territorio".
Già lo scorso 28 settembre la Federación de comunidades nativas del río Corrientes denunció uno sversamento di petrolio della Pluspetrol nel fiume Corrientes, appunto, causato dalla rottura di una valvola e che provocò un’ondata nera giunta a 20 km dal luogo dell'incidente (Pluspetrol disse invece che si trattava solo di 3 barili di greggio sversati nel fiume), colpendo 11 comunità di Villa Trompeteros.
Una versione in miniatura dell’ondata nera che alcuni mesi fa ammorbò il fiume Lambro, partendo dai dintorni di Monza fino ad arrivare al Po. Situazione devastante a livello ambientale, ma per la quale in pochi si misero a 'protestare'. Anzi, mentre gli indios sono sempre più preoccupati per l'inquinamento diffuso che mette a rischio la loro salute ed il loro ambiente, in Italia ci sono state addirittura persone che sono riuscite ad approfittare della situazione, sversando a loro volta nel fiume sostanze velenose che sarebbe stato 'troppo costoso' smaltire.
La vicenda Lambro-Po non suscitò più di tanto la preoccupazione e l’indignazione degli italiani, in effetti abituati ad una ormai costante emergenza ambientale (pm10, rifiuti, inceneritori, dissesto idrogeologico, ecc.), e nessuno chiese veramente di investigare in modo da scovare i responsabili e punirli con 'pene esemplari' (come affermò di volere fare Roberto Formigoni, per quattro volte consecutive presidente della Regione Lombardia, nonostante la legge italiana permetta di esserlo solo per due). In Perù, invece, la Feconaco del Rio Corrientes chiese in modo assai deciso al governo centrale e all’Organismo supervisor de la inversión en energía y minería (Osinermig) di indagare sugli sversamenti, punendo i responsabili dell'inquinamento dei fiumi.
Qual è dunque la differenza? Per il portavoce degli indios Pashanase "l'Amazzonia è come un leone mansueto, che se non viene molestato si sdraia e dorme, ma che quando viene toccato si mette in allerta, proprio come sta succedendo ora". Sempre ricordando le vicende del Lambro, viene da pensare che il Bel Paese, o meglio ancora l’orgogliosa Padania, sia invece un grasso, vecchio e pigro gatto semi-addormentato, ormai incapace di capire cosa sia bene o male per la sua stessa salute.
La speranza è che le comunità di indigeni peruviani non si arrendano alle pressioni di colossi petroliferi o ad un governo che è arrivato addirittura a nascondere l’esistenza di alcuni gruppi tribali per sfruttarne i territori (ricchi non solo di petrolio, ma anche di gas e di legname), lasciando che le loro terre in gran parte ancora incontaminate vengano devastate come è successo a gran parte del resto del globo. Una speranza supportata dal fatto che i manifestanti peruviani sono molto determinati, soprattutto ora che hanno capito quanto le lusinghe e le false promesse di coloro che sono orientati solo alla massimizzazione dei profitti non valgano nulla.
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