Con 29 persone coinvolte, un ettaro di terra presa in affitto dal Comune e un budget al minimo (3500 euro spesi in un anno) questo progetto di permacultura ha preso il volo iniziando dalla graduale riconversione di un terreno precedentemente sfruttato dall'agricoltura intensiva. L'obiettivo è recuperare risorse e valori fondamentali per il territorio e le persone, promuovere concretamente un'economia di sostentamento e scambio con le realtà virtuose vicine oltre che ridurre progressivamente il ricorso all'economia di mercato. In una società individualistica e basata quasi esclusivamente su valori fittizi dipendenti dal denaro e dal consumo senza limiti, principi fondamentali come la condivisione dei saperi e dei frutti della terra, la solidarietà e il rispetto della natura hanno un significato profondo e dirompente.
Molti i progetti futuri dell'associazione: fare rete con altre realtà basate sulla cooperazione e lo scambio, realizzare attività di reciproca conoscenza e collaborazione con le scuole tradizionali di agricoltura, approfondire e allargare le possibilità di coltivazione. Incontriamo Daniele Zanetti, uno degli ideatori del progetto e co-fondatore dell'associazione Permacultura La Castellana.
Che cos'è il Progetto Permacultura La Castellana?
Permacultura La Castellana è un'associazione culturale senza fini di lucro che ha l'obiettivo di creare una comunità aperta di persone con l'intento di fare autoproduzione, avviare un'economia di sostentamento e vendere le eventuali eccedenze. Tuttavia, la cosa per noi più importante è iniziare a praticare un'economia di scambio con altre realtà del territorio come i GAS e gli orti solidali situati nelle vicinanze.
Dove avete preso la terra?
Abbiamo preso in affitto un ettaro di terra dal comune di Castelfranco per 470 euro l'anno. C'è la possibilità in seguito di prendere altri appezzamenti adiacenti, circa 5000 metri quadri. Abbiamo una concessione per i prossimi 5 anni, rinnovabile per altri 5.
Chi è stato l'ideatore del progetto e come avete incontrato gli altri soci?
L'input iniziale è stato mio e di un altro socio, Alessandro Bettati. Sono dieci anni che sono nel campo dell'associazionismo, avevo già un giro di conoscenze in questo settore e quindi non siamo partiti da zero. Attraverso incontri e fiere ci siamo fatti conoscere e sono entrate a far parte del progetto altre persone.
Con quale budget avete iniziato?
La quota associativa costa 50 euro l'anno ma col tempo abbiamo intenzione di ridurla. Abbiamo, al momento, fissato questa cifra perché abbiamo dovuto sostenere le spese per la serra e gli attrezzi necessari per l'orto. C'era bisogno di un budget iniziale ma nel giro di 5 anni la quota associativa si dimezzerà. Ci sono nostri colleghi che sono partiti con terreni di proprietà e con una cooperativa con un budget di 300000 euro. Noi siamo partiti con un budget molto limitato e alla portata di tutti. Naturalmente loro, della cooperativa, sono interessati a vendere all'esterno, noi invece siamo interessati più all'economia di scambio. Con pochissimi soldi siamo riusciti a mettere su un progetto di permacultura.
Avete tutti un altro lavoro? In questo anno che cosa avete fatto? E in che modo hanno partecipato i soci?
Molti di noi hanno il proprio lavoro ma tra i soci ci sono anche disoccupati. Per portare avanti il progetto usiamo il nostro tempo libero. Per realizzarlo pienamente occorrono circa tre anni. Per ora non si sono delineati ruoli precisi perché al momento è bene organizzarci di mese in mese e cercare di fare tutti le stesse cose con una linea guida precisa. Quando il progetto andrà avanti il gruppo diventerà un vero e proprio team all'interno del quale ciascuno avrà un ruolo preciso e quindi ci sarà chi si specializzerà nell'orto, chi avrà più interesse nella trasformazione dei prodotti: essiccati, sottolio e simili. Per specializzarci, però, dobbiamo tutti conoscere profondamente il progetto. Abbiamo un altro anno e mezzo davanti prima di concludere.
Riuscite ad essere autosufficienti?
Ci sono stati periodi in cui lo siamo stati. Al momento non lo siamo. Nel giro di due o tre anni, però, credo sia possibile arrivare a un buon livello di autosufficienza per la verdura e la frutta. Per arrivare a questo non basta solo produrre ma è necessario chiudere la filiera. Oltre a coltivare è necessario saper raccogliere, cucinare, preparare e conservare. Sembra una sciocchezza ma è una cosa che non è affatto banale o scontata perché siamo abituati ad andare al supermercato dove compriamo già tutto pronto.
Che cosa è necessario fare?
E' necessario cambiare stile di vita. Dobbiamo considerare che durante l'anno ci sono i periodi di magra. Quindi non è che quando non si produce si debba andare al supermercato. Ci si pensa quando c'è il periodo di larga produzione conservando la verdura e la frutta che sarà poi consumata in inverno. Da dicembre ad aprile, ad esempio, è un periodo in cui non c'è frutta. Con la frutta essiccata per tempo si può arrivare a una buona percentuale di sostentamento anche in inverno. Quello che fa la differenza è l'economia di scambio. Ci sono altri gruppi simili al nostro con i quali scambiare i prodotti.
Quali sono i principi cardine dell'associazione?
Creare una comunità aperta di persone. E’ fondamentale perché recupera valori comunitari che questa società del consumo ha già in buona parte perso. Pensiamo al valore della condivisione, dell’aiutarsi l’un l’altro, della solidarietà. Concetti che in una società individualistica e basata sul valore del denaro sono quasi inesistenti. In campo prettamente economico, vogliamo promuovere una ripresa dell’economia di sostentamento e di scambio, riducendo progressivamente l’economia di mercato.
La vostra terra si trova vicina ai centri abitati?
Sì ma contemporaneamente non è vicina a una strada trafficata e quindi il terreno è un terreno relativamente pulito. Dico “relativamente” perché si tratta comunque di un terreno in conversione e per recuperarlo, utilizziamo varie tecniche, tipo il sovescio. E' necessario tener presente che, purtroppo, viviamo in un mondo inquinato. Certamente anche il nostro, in una certa misura lo è, ma è parte integrante del nostro progetto proprio il fatto che attraverso un approccio diverso, sano e collaborativo nei confronti della terra, col tempo, i terreni possano essere recuperati. Ci sono altre realtà simili alla nostra in zona: apicoltori e funghicoltori. C'è un bosco vicino a noi creato da un gruppo di ragazzi che ne avevano bisogno per allevare le api
Qual è l'età media dei soci e qual è il futuro del vostro progetto?
Circa 45 anni. Io ho 33 anni e sono tra i più giovani. Questo mi dispiace molto. E' anche colpa nostra perché dobbiamo renderci più visibili. Dobbiamo andare nelle scuole e far vedere ai ragazzi che esistiamo. E' il prossimo step che dobbiamo fare e uno dei nostri obiettivi. Ad esempio, c'è l'istituto agrario di Castelfranco, a pochi chilometri da noi, all'interno del quale il professor Alessandro Leoni è riuscito ad introdurre il biologico. Al momento nelle scuole si parla quasi solo di agricoltura tradizionale quindi è chiaro che la permacultura come concetto e come vera e propria cultura del fare, ancora non c'è. Bisogna iniziare a collaborare. Il futuro del progetto e della nostra associazione è questo.
Che cosa rappresenta il vostro progetto all'interno della realtà in cui siete inseriti?
Noi stiamo creando un ecosistema. Con i vari elementi: l'orto, il frutteto, il pollaio, la food forest, le aromatiche, i cereali stiamo andando a creare un ecosistema sostenibile. Ogni elemento all’interno del progetto è legato in un contesto di economia circolare, aumentando la biodiversità e conseguentemente le interazioni tra le varie specie viventi. Si raggiunge un livello di complessità più alto e soprattutto un equilibrio con la natura. La sostenibilità la raggiungiamo in questo modo.
Coltivate anche i cereali?
Il terreno veniva da un'agricoltura intensiva e abbiamo seminato a spaglio il sovescio di varie piante leguminose e foraggere. Da quest’anno possiamo pensare di iniziare a seminare un cereale. Un gruppo che conosco e che si trova vicino a noi ha recuperato alcuni grani antichi (Saragolla e Senatore cappelli) ed è arrivato poi a produrre le farine. In zona abbiamo, tra l'altro, un vecchio mulino. Quando ci muoveremo noi dovremo pensare attentamente alla filiera e alla gestione di tutto il processo e lo faremo nel modo più sostenibile possibile, avendo una realtà di riferimento come la loro. Vogliamo recuperare un metodo antico che oggi non si usa più. Oggi si usa il mietitrebbia che taglia tutto. Una volta, invece, le trebbie tagliavano a un'altezza maggiore e contemporaneamente si seminava una leguminosa a mano quando il grano era alto. Quando si raccoglieva falciando il grano si aveva già il terreno con le piantine di leguminose che crescevano. Questo si faceva per mantenere il terreno fertile dando la rotazione tra il cereale e le leguminose.
E' lo stesso sistema di Masanobu Fukuoka?
Sì, ma non solo lui, direi che è una pratica antica. Masanobu Fukuoka ci ha insegnato che il terreno deve essere sempre coperto. Utilizzava il trifoglio bianco come leguminosa seminato nei campi di riso e poi d'inverno copriva con la paglia in modo tale da proteggere il terreno dalle gelate. Le cose importanti per realizzare un progetto in equilibrio con la natura sono tre: la fertilità del suolo, la qualità del seme perché oggi abbiamo semi più produttivi rispetto alle varietà antiche, ma sono anche più delicate e si ammalano più facilmente. Dobbiamo puntare sulle nostre piante rustiche e chiaramente non ibride, altrimenti il seme non è fertile. Infine, la biodiversità. Se non c'è biodiversità l'ecosistema non è in equilibrio.
Che ruolo hanno gli animali? Li allevate per la carne?
No. Gli animali sono parte integrante del progetto perché sono fondamentali. Sono animali che troveranno il cibo sul campo. Inoltre, hanno la funzione di concimare la terra. La nostra agricoltura non è intensiva ma comunque non siamo in grado di creare da soli un sistema che si tenga in equilibrio. Le galline ci aiutano in questo, ad esempio mangiando i parassiti che danneggiano le piante (nei mesi non produttivi dell’orto). L'ecosistema che abbiamo creato sostiene le galline stesse. Sono, all'interno di un circolo virtuoso, un elemento che serve a mantenere l'equilibrio. Questo è un altro dei nostri obiettivi.
Qual è la differenza rispetto ai progetti di agricoltura tradizionale?
Noi lavoriamo con la natura e non la pieghiamo ai nostri bisogni come fa l'agricoltura tradizionale e tutta la società moderna, in ogni campo). Tuttavia, siamo consapevoli della necessità di una collaborazione nei luoghi in cui l'agricoltura tradizionale viene insegnata. Lavorare in sintonia con queste realtà è il modo che abbiamo scelto per cercare di arrivare a un risultato positivo e virtuoso per tutti: le persone, la terra, la società.
Dove avete imparato la permacultura?
Uno dei soci è permacultore (Alessandro Bettati) e ha fatto il corso con Geoff Lawton. Personalmente non sono permacultore ma mi sono formato leggendo libri e cercando di migliorarmi nella pratica in questa direzione. Il nostro progetto prevede anche che alcuni di noi si formino con corsi specifici.
Perché progetti come il vostro?
La nostra è una società consumistica e individualistica che disintegra valori come la famiglia, il rispetto del prossimo, le varie comunità nel territorio, mantenendo come unico valore il denaro. In questa società, entrano in gioco effetti che nelle economie preindustriali erano molto limitati quali: accumulazione sempre più sfrenata di beni e merci, usura, l’interesse che per sua natura è uno strumento di mera speculazione. Una società fatta in questo modo e un’economia di mercato basata sul denaro come fine e non mezzo non potrà fare molta strada.
Come vedi il futuro?
Nella storia dell'uomo è sempre stato così: c'è sempre stata un'economia di sostentamento in primo luogo, poi di scambio e poi di mercato. Adesso invece l'economia di mercato è diventata primaria e l'unico modo di sostenersi è lavorare per avere il denaro con cui comprare quello che ci serve. Non è assolutamente possibile né realizzabile un mondo che continui a basarsi sull'individualismo puro e su un consumismo senza limiti. In futuro si tornerà alle nostre radici perché una società fondata sullo sfruttamento a oltranza di risorse che non sono infinite non può essere sostenibile e non potrà garantire un benessere economico come quello cui siamo abituati. Prima o poi siamo destinati a cambiare sistema. Non siamo solo noi a pensarlo ma ci sono altri movimenti come il Movimento per la Decrescita Felice, le Transition Town, il Movimento Zero di Massimo Fini, i vari progetti di ecovillaggi.
Qual è il vostro sogno?
Stiamo cercando di fare rete con tutti gli altri movimenti che si basano su valori come la cooperazione e lo scambio attraverso un'economia sana e non basata sullo sfruttamento e sul consumo. Fare rete significa, di fatto, iniziare a creare i presupposti per una nuova società.
Che consiglio ti sentiresti di dare a chi volesse imitarvi?
Non me la sento ancora di dare consigli. Forse ci sentiremo di farlo tra cinque o sei anni, quando ne sapremo di più. Per il momento posso dire che la prima cosa è non fare il passo più lungo della gamba, fare poche cose ma fatte bene. Altra cosa fondamentale è insistere e non scoraggiarsi alle prime difficoltà.