La radioattività diffusa nell’atmosfera dall’incidente nucleare di Fukushima potrebbe essere molto più pericolosa di quanto ci viene raccontato. Il latte che bevono i bambini italiani è radioattivo? Alcune questioni sollevate da uno studente di Medicina del Lavoro, che per passione personale rileva quotidianamente i valori di radioattività nell’aria.
Attenti: nessuno ne parla, ma la radioattività diffusa nell’atmosfera dall’incidente nucleare di Fukushima potrebbe essere molto più pericolosa di quanto ci viene raccontato. Il trucco? Abbassare a tavolino la soglia di sicurezza, come ha fatto il Giappone per evitare il crollo della pesca e il business mondiale del pesce. In Italia, a distanza di migliaia di chilometri, solo il Codacons ligure ha denunciato la Tepco per disastro ambientale. Siamo già tutti radioattivi senza saperlo? Stando ai dati ufficiali, il latte italiano è scarsamente contaminato: ma in teoria, secondo gli standard Euratom, potrebbero bastare 10 litri per esporre un bambino piccolo a potenziale rischio radioattivo, sommando semplicemente gli indicatori per litro forniti dall’Ispra in base all’analisi del nostro latte dopo Fukushima.
Possibile che il latte italiano contaminato da Fukushima nasconda il pericolo, per i più piccoli, dell’anticamera del rischio nucleare? Interrogativi sollevati con preoccupazione da Lorenzo La Face, studente di Medicina del Lavoro (tecnica della prevenzione degli ambienti e dei luoghi di lavoro) che per passione personale rileva quotidianamente i valori di radioattività nell’aria. Già a marzo si era reso protagonista di una involontaria polemica con l’Arpa della Liguria, scettica di fronte al ‘picco’ di radioattività da lui registrato a Genova. “Lo studente – scrive Diego Pistacchi sul Giornale – non ha cercato né facile pubblicità, né ha inteso creare allarmismo”. Si era rivolto all’Arpa proprio perché “consapevole che la sua misurazione era comunque soggetta a possibili errori”, ma si è sentito rispondere che il suo rilevatore “potrebbe essere stato colpito in quel momento da un raggio cosmico, cioè una particella radioattiva arrivata dallo spazio”.
Più probabile invece che le sue rilevazioni, condotte a terra, dessero risultati diversi da quelle dell’Arpa perché i ‘sensori’ dell’agenzia regionale di protezione dell’ambiente sono dislocati in alto, sui tetti: “Una differenza – continua Il Giornale – già potrebbe essere rappresentata dal fatto che la pioggia, portando a terra sostanze raccolte eventualmente dalla nube, creerebbe una maggior radioattività proprio a terra, dove si infrange”. Lorenzo La Face ribadisce di non pretendere di fornire certezze con i suoi dati, anche se si augurava che le sue segnalazioni venissero prese in considerazione. Di certo non ha intenzione di arrendersi: e per questo, con un esperto micologo, si prepara a compiere accertamenti sui funghi, ottimi recettori e segnalatori di radioattività. “Uno studio sempre personale e privato, che semmai userò per farci la tesi”, spiega Lorenzo, che intanto torna all’attacco denunciando il silenzio generale sull’effetto-Fukushima.
“Dopo la certezza dell’arrivo della contaminazione in Italia – scrive, sul blog Notizie Genova – ecco le prove su tutto quello che non sappiamo”. Sotto accusa, innanzitutto, la scarsa attenzione per gli standard di sicurezza: che sono ancora quelli fissati dall’Euratom nel 1996. Anche per il Criirad, l’agenzia indipendente francese sulla sicurezza nucleare, si può stare tranquilli se la radioattività non supera i 10 MicroSievert all’anno. “La quantità di iodio-131 capace di rilasciare una dose di 10 MicroSievert varia molto con l’età del consumatore – spiega Lorenzo – e i bambini fino a due anni sono i più vulnerabili: l’ingestione di 56 Becquerel (Bq) di iodio-131 è sufficiente a rilasciare nel loro corpo una dose di 10 MicroSievert”, come conferma una ricerca documentata dal Criirad sulla base della Direttiva Euratom.
Secondo l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, i controlli effettuati sul latte italiano il 30 marzo hanno rilevato tracce di iodio-131 con un valore massimo di 5,24 Becquerel per litro, oltre alla presenza di cesio. Mentre il Sievert indica il reale impatto radioattivo sulla salute, il Bequerel si limita invece a rilevare il numero di atomi che, per unità di tempo, si trasformano in elementi radioattivi: “Senza altri dati – precisa Lorenzo La Face – non è pertanto indicativo riguardo ai danni alla salute che possono portare le radiazioni ionizzanti (che invece è quello che interessa al cittadino)”. Pur tenendo conto di questa premessa e usando tutte le cautele del caso, forse la situazione non è così rassicurante: sommando infatti la dose di Bequerel per litro, si scopre che basta bere dieci litri e mezzo di latte per raggiungere quota 56 Bequerel, pari a 10 MicroSievert, cioè la soglia europea di rischio. Soggetti più esposti: i bambini piccoli.
“Questo significa che con poco più di 10 litri di latte contaminato il bambino riceve una dose radioattiva che raggiunge il limite massimo di sicurezza imposto dalla direttiva Euratom per un anno”, sostiene Lorenzo. “Con un litro di latte contaminato viene pertanto ingurgitata una quantità di iodio-131 che secondo Euratom è da considerare pericolosa, anche se fosse stata assunta in un mese”. Comunque, al di là dei numeri, appellandosi alla letteratura scientifica, per Lorenzo si può certamente affermare che “non esiste soglia sotto la quale le radiazioni non possono fare danno, visto che si tratta di una questione probabilistica”. I limiti di legge, continua il futuro medico-ecologo, “sono solo valori precauzionali: pertanto, ad ogni seppur minimale aumento dell’esposizione, corrisponde un aumento della possibilità di avere dei danni alla salute (e all’ambiente) perché i nostri meccanismi di autoriparazione dei danni genetici sono ‘abituati’ a lavorare con livelli di fondo più bassi”, senza contare che “non esistono studi ufficiali sugli effetti di ‘basse’ esposizioni prolungate nel tempo”.
Per l’Ispra, che dal 12 marzo controlla il livello di radioattività dell’aria e del suolo alla ricerca di iodio-131 e cesio-137, i livelli di radioattività rilevati in Italia non sarebbero dannosi per la salute. Ma i francesi del Criirad rilanciano l’allarme: verdura e latte delle nostre nazioni europee sarebbero contaminati dallo iodio-131, isotopo radioattivo potenzialmente dannoso per la salute, rilasciato proprio dal disastro di Fukushima. Allarme purtroppo confermato anche dall’istituto francese per la protezione radiologica e la sicurezza nucleare. Secondo le ricerche d’oltralpe, non sarebbe semplice stabilire in che modo si raggiungerebbero i 10 MicroSievert. I bambini, in particolare, si è ipotizzato possano superare la soglia in due settimane, perché particolarmente sensibili anche ad esposizioni minime di questi elementi radioattivi. Per questo i francesi hanno consigliato a donne incinte e bambini di non mangiare verdure a foglia larga, dove è più facile si depositino iodio e cesio, e di non bere latte.
In Giappone hanno recentemente triplicato il limite per la radioattività nel pesce. “Triplicato – insiste Lorenzo La Face – senza che venissero fatti studi per verificare se ciò può comportare danni alla salute dei consumatori”. Di questo passo, manipolando i limiti solo per proteggere l’economia, non si aprono scenari inquietanti? Eccome: per importare alimenti dal Giappone, la Commissione Europea si accontenta che la radioattività del cibo sia pari al massimo a 500 Bequerel per chilo, “senza tenere minimamente conto di ciò che è espresso nella Direttiva Euratom”. Sulla sicurezza, sembra dunque prevalere la ragione commerciale. “Se nel 1996 10 MicroSievert all’anno erano pericolosi secondo studi scientifici, come ora riconferma anche il Criirad, perché all’alba del 2011 improvvisamente non dovrebbero esserlo più? Forse perché Euratom è troppo anni ’90, mentre ormai siamo nel terzo millennio?” (Per maggiori info: www.notiziegenova.altervista.org)
Articolo tratto da Libreidee.org
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