di
Andrea Bizzocchi
11-09-2013
“Un laboratorio di sostenibilità in continua evoluzione”. In Costa Rica si trova Rancho Margot, un po’ progetto di ecoturismo rurale, un po’ comunità autosufficiente, un po’ scuola di sostenibilità e sopravvivenza, un po’ centro di recupero di animali selvaggi, un po’ altro ancora.
In Costa Rica, al confine tra il “Bosco Eterno dei Bambini” e il Parco Nazionale dell’Arenal, su 152 ettari di terreno precedentemente deforestato ed adibito a pascolo, si estende il sogno di Juan Sostheim, cileno di nascita, statunitense e poi tedesco di adozione e una vita in giro per il mondo.
Circa 10 anni fa, in seguito a seri problemi di salute, Sostheim decise di cambiare vita, e da semplice turista si innamorò di questa valle e di questa proprietà. Risulta difficile descrivere Rancho Margot, un po’ progetto di ecoturismo rurale, un po’ comunità autosufficiente, un po’ scuola di sostenibilità e sopravvivenza, un po’ centro di recupero di animali selvaggi, un po’ altro ancora.
Incuriosito dalla fama che Rancho Margot si è costruito in pochissimi anni, una mattina ho alzato il telefono e ho chiesto di poter rendere visita per capire se davvero questa fama era meritata. Ho passato tre giorni parlando con Juan, i suoi figli, i dipendenti; ho visitato tutto quello che c’era da visitare. In tutta sincerità il progetto è talmente ampio che mi è stato difficile coglierne l’intera portata, anche perché Sostheim non è di certo il tipo che se ne sta con le mani in mano e le cose cambiano continuamente. Juan è un vulcano di idee che prima pensa e poi realizza e proprio per questo credo che la definizione più appropriata per Rancho Margot sia “laboratorio di sostenibilità in continua evoluzione”.
Ma andiamo con ordine. Avendo come primo obiettivo quello di essere esempio di comunità autosufficiente, Rancho Margot ha iniziato sin da subito ad operare in questa direzione. L’elettricità è completamente prodotta da due idroturbine (da 8 e 42 kw rispettivamente) grazie alle acque che scorrono nella proprietà e che assicurano l’intero fabbisogno energetico (tra le altre cose Rancho Margot è stato certificato, primo in Costa Rica, carbon negative), mentre un grande orto organico (in cui vengono seguiti i principi della permacultura) ed il frutteto assicurano il 50-60% della esigenze dei circa quaranta residenti e del ristorante.
A fianco dell’orto si trova l’area per le piante medicinali utilizzate nella produzione dei saponi e di insetticidi ed erbicidi naturali. Latte e formaggi provengono da mucche allevate all’aperto mentre maiali e galline garantiscono la produzione di carne (cose su cui io, da vegano, faccio molta fatica ad essere d’accordo). Lo sterco animale, oltre ad essere utilizzato nell’orto, viene trasformato in gas-metano per la cucina del ristorante grazie ai “biodigestori”, mentre il riscaldamento dell’acqua per i 20 bungalows della struttura avviene grazie a scambiatori di calore situati all’interno dei forni per il compost.
“A Rancho Margot”, dice Sostheim “non esistono rifiuti ma solo risorse”. Sia le case che i bungalows sono state costruite con l’utilizzo di materiali locali mentre i mobili vengono preparati nella falegnameria con legname della proprietà. In aggiunta ci sono due piscine naturali (una calda e una fredda) un dojo per la pratica dello yoga, sentieri e cascate per rilassare mente e fisico.
Una cosa che devo dire mi ha colpito immensamente è la quasi totale assenza di mosche ed insetti negli allevamenti e nella stalla dei cavalli (che, sembrerà incredibile, è situata a fianco di bar e ristorante). Juan sostiene che questo è dovuto alla dieta organica e bilanciata che viene data agli animali.
Questo è ciò che vedono gli occhi. Per il resto bisogna ascoltare Juan o i suoi figli, perché Rancho Margot è soprattutto un sogno ad occhi aperti: scuola di sopravvivenza, dipendenti che diventeranno soci, coinvolgimento quotidiano con la vicina comunità di El Castillo, collaborazione con il “Bosco Eterno dei Bambini”, progetto di riforestazione (oltre 40.000 alberi piantati), scuola per volontari e davvero tanto altro ancora.
Ma è giusto che siano le parole di Juan Sostheim ad indicare il futuro di Rancho Margot: “Voglio trasformare questo posto in una comunità totalmente autosufficiente e sostenibile e che al tempo stesso sia un esempio ed una scuola per il mondo intero. Quando la gente viene qui, anche solo in vacanza, deve tornare a casa ispirata e determinata a cambiare la propria vita. Facciamo errori ovviamente, ma non ci abbattiamo e anzi guardiamo al futuro con rinnovato ottimismo. E soprattutto vogliamo condividere le nostre esperienze. Vogliamo insegnare ad altri ma anche imparare da altri. Il tempo dell’individualismo è finito. È ora di reimparare a vivere condividendo cose e saperi”.
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