di
Matteo Marini
16-04-2013
Domenica scorsa i cittadini di Taranto sono stati chiamati a votare al referendum consultivo per la chiusura totale o parziale dell'Ilva. Il quorum però non è stato raggiunto: alla chiusura delle urne hanno votato il 19,5 per cento degli aventi diritto.
Chiuse le urne. Non parliamo delle urne elettorali per le elezioni politiche ma quelle di Taranto, che hanno accolto il voto dei cittadini chiamati a pronunciarsi in un referendum consultivo per la chiusura dell’Ilva. Il quorum, nonostante la grande campagna di informazione delle principali sigle ambientaliste, non è stato raggiunto. Alle 22 del 14 aprile, a urne chiuse, avevano votato 32mila tarantini, il 19,5 per cento degli aventi diritto. Percentuali che hanno lasciato indietro il 50% + 1 necessario per validare la consultazione e il 30% dei votanti che gli organizzatori si aspettavano. I quesiti erano due e miravano, il primo, a chiudere lo stabilimento il secondo, invece, della sola area a caldo.
La consultazione, costata alle casse del Comune 400 mila euro, anche se fosse andata in porto, secondo molti non avrebbe cambiato le cose, visto che si trattava per l’appunto di un referendum consultivo. Se si fosse superato il quorum, il Comune poteva trarre spunto per capire come muoversi con l’azienda ma nulla di più, dato che l’Amministrazione comunale ha solo un potere sanitario.
Alessandro Marescotti, Presidente di Peacelink non è però così pessimista sui risultati del voto. Dal suo blog su Il Fatto Quotidiano scrive: “Con quelle oltre 30 mila persone si può cambiare Taranto. Invece con chi non partecipa no. Sono orgoglioso del risultato ottenuto e di tutte le persone che ho visto – con fiera dignità – affluire ai seggi determinate come se partecipassero ad una lotta di liberazione. Queste persone daranno filo da torcere per sempre a chi ci devasta. Taranto non ha fallito. Ora talloneremo l’azienda sulle inadempienze dell’AIA.
Ai parlamentari chiederemo una legge che cancelli la legge Salva-Ilva. Sulla questione del piombo nel sangue dei bambini scateneremo una campagna senza precedenti. Sulla questione delle bonifiche non fatte e del principio del ‘chi inquina paga’ andremo alla Commissione Europea. Abbiamo tante iniziative e andremo all’attacco. Con l’appoggio di 30 mila persone Garibaldi avrebbe fatto l’Unità d’Italia in tre mesi. A lui ne bastarono mille e non fece il piagnone”.
L’aria descritta da Marescotti, sembra spirare in città. Un’aria che inverta la tendenza che per anni ha fatto dire ai bambini che l’unica cosa che volevano fare da grandi, per esempio, era proprio l’operaio Ilva. Secondo Alessandro e secondo tanti altri attivisti si può ripartire da questo risultato, da queste persone. Se non altro perché oggi, alla domanda su cosa vorrebbe fare da grande, un bambino o un ragazzo non darebbe la stessa risposta.
A riprova di questo, c’è l’indiscrezione raccontata da La Repubblica di Bari, su quanto l’Ilva temesse la portata sociale di questo referendum: “Tanto sapevano che il referendum da un punto di vista pratico non avrebbe portato a nulla, tanto però ne conoscevano la portata evocativa. Non è un caso la telefonata del 29 luglio del 2010 tra il pr dell'Ilva, Girolamo Archinà (oggi in carcere) e il sindaco Stefano. Dice Archinà: 'La data del referendum... la più lontana possibile'. E Stefàno: 'Va bene'. Archinà: 'Per farci stare un po' tranquilli'. Stefàno: 'Tranquilli, va benissimo, ciao Girolamo'. Chissà se dopo lo spoglio, sono rimasti tranquilli”.
Già, chissà.
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