La tragedia di Refrontolo, dove hanno perso la vita 4 persone a causa della tracimazione del fiume Lierza, ingrossato dalle forti piogge notturne, ha riacceso i riflettori, per l’ennesima volta, sul dissesto idrogeologico cui è sottoposto l’intero Paese, da Nord a Sud. Gli ultimi dati della Coldiretti sono allarmanti: sono ben 6.633 i comuni in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico (l’82% del totale) con più di 5 milioni di cittadini che ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate pericolose per frane ed alluvioni, soprattutto in una situazione in cui si moltiplicano gli eventi estremi e catastrofici per effetto dei cambiamenti climatici. Nel Veneto, dove è avvenuta la tragedia, il 56% dei comuni è a rischio. Un dramma che mette in evidenza ancora una volta la vulnerabilità del territorio nazionale, dove a causa delle frane e delle alluvioni sono morte – sottolinea la Coldiretti – oltre 4mila persone dal 1960 ad oggi, mentre gli sfollati e i senzatetto per le sole inondazioni superano rispettivamente i 200.000 e i 45.000 secondo i dati elaborati dal Cnr-Irpi.
A questa situazione - denuncia la Coldiretti - non è certamente estraneo il fatto che nell’ultimo trentennio per la mancanza di concrete opportunità economiche e sociali sono praticamente dimezzati gli agricoltori presenti nelle aree marginali dove svolgevano un'opera quotidiana di manutenzione del territorio, dei boschi e dei corsi d'acqua. In questo periodo in Italia quasi 3 milioni di ettari di terreno coltivato, pari alla superficie della regione Sicilia e Val d’Aosta assieme, sono stati cementificati in pianura o abbandonati in montagna e collina dove ha prevalso l’incuria e si sono moltiplicati i rischi. I cambiamenti climatici con le precipitazioni sempre più intense e frequenti con trombe d’aria, grandinate e vere e proprie bombe d’acqua, si abbattono su un terreno reso più fragile dalla cementificazione e dall’abbandono delle aree marginali, ma anche – conclude la Coldiretti - dalla mancanza di una programmazione adeguata che valorizzi il ruolo di chi vive e lavora sul territorio come gli agricoltori.
C’è chi però di bombe d’acqua non ne vuol sentir parlare. Come lo scrittore trevigiano Fulvio Ervas, laureato in Scienze Agrarie, il quale, sul suo profilo facebook scrive: «Una pioggia intensissima (che imbecillità chiamarle bombe d'acqua, come se ci fosse una guerra delle nuvole contro di noi), nella zona tra Cison di Valmarino e Refrontolo (Marca Trevigiana) ha determinato l'esondazione improvvisa e violentissima di un piccolo corso d'acqua. Sono state travolte molte persone e 4 sono morte e altrettante ferite in maniera grave. Siamo noi che ci bombardiamo da soli. I danni sono in funzione della nostra assenza di lungimiranza […]Nell’area coinvolta nel dramma del Molinetto della Croda, il sistema di gestione del territorio ruota attorno alla monocoltura viticola del Prosecco. Significa modificare, strutturare, gestire la morfologia di un territorio in funzione delle esigenze di una specifica produzione». Ed ancora: «Ho vissuto l’alluvione del 1966, a Musile di Piave. Dopo giorni di piogge il Piave ruppe gli argini a Fossalta ed esondò. Ma fu un evento annunciato, avemmo il tempo di organizzarci e portare quasi tutte le nostre cose ai piani “alti”. Ma dal 1966 ad oggi è cambiata la velocità non solo delle piogge, ma dell’economia, della finanza, della scienza, persino le cellule tumorali sono più veloci delle normali». Di opinione diversa il WWF, nella persona di Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia: «I ‘flash flood’, cioè le precipitazioni improvvise e intense, si sono moltiplicati in tutto il mondo, da fenomeno considerato raro e anomalo. Per fermare la progressione del cambiamento climatico c´e’ solo una cosa fare: smettere di pompare anidride carbonica e gas serra derivanti da attivitá umane in atmosfera, e farlo in fretta. Non e’ vero che le bombe d’acqua non si possono prevedere, altrimenti non si spiegherebbero i servizi di ‘flash flood warning’ nati in tutto il mondo. In tal senso va verificato, adeguato e potenziato anche il servizio meteorologico pubblico, che sia regionale o dell’Aeronautica Militare. Certo – conclude Midulla – viene da domandarsi se il cambiamento climatico sia davvero compreso nelle sue implicazioni operative dalla classe dirigente, certo non solo quella politica: si pensi alle conseguenze per le attivitá produttive e i trasporti».
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