La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato all'unanimità l'Italia per i respingimenti verso la Libia avvenuti tra il 6 e il 7 maggio 2009. L'Italia è condannata ora ad un risarcimento di 15mila euro per 22 dei 24 ricorrenti.
La vicenda dei migranti respinti nel 2009 al largo di Lampedusa è giunta finalmente all'epilogo. Il 23 febbraio scorso la Corte europea dei diritti dell'uomo si è espressa sul ricorso presentato da 24 dei circa 200 migranti che, nella notte fra il 6 e il 7 maggio 2009 furono intercettati a sud di Lampedusa dalle motonavi italiane e consegnati, contro la loro volontà, alle autorità libiche.
La Corte ha condannato all'unanimità l'Italia per la violazione di 3 principi fondamentali: il divieto di sottoporre a tortura e trattamenti disumani e degradanti (art. 3 CEDU), l’impossibilità di ricorso (art.13 CEDU) e il divieto di espulsioni collettive (art.4 IV Protocollo aggiuntivo CEDU). Rimandando i migranti verso la Libia, l’Italia ha infatti violato la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e in particolare il principio di non refoulement (non respingimento), che proibisce di respingere migranti verso paesi dove possono essere perseguitati o sottoposti a trattamenti inumani o degradanti. E nel caso di specie, purtroppo, non si è trattato di un mero rischio.
I sopravvissuti hanno raccontato di essere stati reclusi per molti mesi nei centri di detenzione libici e sottoposti a violenze e abusi di ogni genere. Dopo lo scoppio del conflitto in Libia, come anche riportato da diverse associazioni umanitarie tra cui Amnesty International, i migranti sono risultati essere il bersaglio preferito delle rappresaglie sia delle milizie fedeli al regime sia da parte degli insorti. Molti di essi vivono tutt'ora in campi di fortuna disseminati in tutta la Libia.
L'Italia è stata condannata a versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime. Una sentenza storica, poiché per la prima volta si equipara il respingimento collettivo alla frontiera e in alto mare alle espulsioni collettive nei confronti di chi è già nel territorio.
A causa di questa politica, secondo le stime dell’UNHCR circa 1.000 migranti, incluse donne e bambini, sono stati intercettati dalla Guardia costiera italiana e forzatamente respinti in Libia. 1.500 hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Italia via mare solo nel 2011.
“Vogliamo che questo messaggio arrivi in maniera inequivocabile al Governo Monti: nel ricontrattare gli accordi di cooperazione con il Governo di Transizione Libico, i diritti dei rifugiati non possono essere negoziati, su questo tema ci aspettiamo dal nuovo esecutivo posizioni chiare e più forti di quelle che abbiamo rilevato in queste settimane”, ha dichiarato Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati.
Ma la sentenza ha una portata più ampia e avrà importanti conseguenze sulle politiche di controllo di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, sia per quelli che sono dentro che per quelli che sono al di fuori dell’ombrello di Frontex. Uno dei principi fondamentali sanciti nella sentenza stabilisce infatti che gli obblighi che gli Stati hanno assunto con la CEDU non si fermano con i loro confini geografici: gli Stati non possono abdicare i loro principi, valori e il loro impegno nella protezione dei diritti umani facendo fuori dei loro confini quello che non sarebbe consentito nei loro territori.
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