di
Andrea Degl'Innocenti
28-02-2013
I risultati delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio prospettano l'apertura di due possibili scenari. Nel clima di incertezza creato dagli esiti elettorali, la speranza è che le forze politiche oggi protagoniste non consegnino il nostro Paese all'ingovernabilità. In questo senso assume un ruolo determinante il Movimento 5 Stelle, formazione politica più votata in Italia.
Siamo nel caos, inutile negarlo. Il centrosinistra ha mancato il proprio obiettivo minimo (la maggioranza in entrambe le Camere, con l’eventuale coalizione con il centro montiano), Berlusconi è riuscito nella missione impossibile di riconquistare la fiducia di quasi un terzo dell’elettorato votante, il Movimento 5 Stelle è andato ben oltre le aspettative risultando il primo partito alla Camera con oltre il 25 per cento dei voti ed il secondo al Senato.
Si aprono per il paese due possibili scenari, vista anche l’impossibilità del Presidente della Repubblica Napolitano di sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del suo mandato. Il primo: la coalizione di centrosinistra raggiunge un accordo con il M5S su una serie di punti e ottiene, limitatamente a questi punti, la fiducia del Movimento alla formazione di un governo; tale formazione resterebbe in carica per la durata necessaria ad affrontare le riforme stabilite e poi aprirebbe la porta a nuove elezioni.
Il secondo scenario vede invece il Partito Democratico formare un governo “di larghe intese”, il cosiddetto 'governissimo', con il centrodestra ed il centro, con il M5S a fare l’opposizione.
A far propendere per l’una o l’altra soluzione sarà con ogni probabilità proprio il Movimento 5 Stelle. Il Pd infatti – o almeno la sua parte più 'rinnovata' – ha mostrato una certa predilezione per la prima opzione, ma una chiusura da parte del M5S non lascerebbe praticamente altra possibilità che un’intesa con Berlusconi e Monti.
Dunque veniamo al Movimento. Faccio una premessa doverosa, a scanso di ogni equivoco. Ho votato con convinzione M5S sia alla Camera che al Senato. L’ho votato perché è senza dubbio la forza politica più innovativa del panorama nazionale, probabilmente persino europeo. L’unica che appoggia l’acqua pubblica, i No Tav, la lotta contro gli inceneritori; l’unica ad aver portato all’interno del dibattito politico tematiche come i “rifiuti zero”, la decrescita, la permacultura, la riduzione dei costi della politica. Il movimento fondato da Grillo si è fatto promotore di un cambiamento culturale che vuole rivoluzionare il significato stesso di democrazia: non più una delega a tempo ma un impegno costante da parte di tutti i cittadini.
Detto ciò, sono consapevole delle contraddizioni e dei limiti del Movimento, che rischiano di risultare determinanti proprio nella delicata situazione attuale. Innanzitutto, il ruolo non troppo chiaro di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. I due si dicono “megafono” del movimento, ma nella pratica si comportano troppo spesso come leader. Ad esempio, la chiusura da parte di Beppe Grillo alla fiducia verso il governo Bersani va presa come un’opinione personale dell’ex-comico? Oppure come una direttiva rivolta agli attivisti?
Anche lo slogan che ci ha accompagnato per tutta la campagna elettorale “mandiamoli tutti a casa” (affiancato da “sono tutti uguali” e dai giochi di parole su “pdl-pdmenoelle”) ha i suoi limiti. A parte il fatto che non credo nelle epurazioni, non penso neppure che siano “tutti uguali”. Certo, il Pd è un partito dai limiti enormi ed evidenti: ondeggia fra due visioni opposte della società cercando disperatamente di nascondere questa sua contraddizione; cerca di mediare fra il liberismo e lo stato sociale, fra i mercati e i diritti. Ha provato ad inventarsi una impossibile continuità fra un partito, il Pc, che aveva come modello di riferimento la Russia comunista ed uno, il Pds (poi Ds, poi Pd) che si rifà alla sinistra liberale americana, nascondendo al mondo la rottura avvenuta.
Ai suoi vertici continua ad essere condizionato da soggetti coinvolti in molti dei principali scandali della recente storia italiana, dal finanziamento illecito ai partiti ad affittopoli, passando per la scalata alla Bnl ed il recente scandalo Monte dei Paschi. E poi più volte si è reso complice del successo politico-economico personale di Silvio Berlusconi, come nel famoso “patto della crostata” per favorire Mediaset, o nella mancata approvazione di una legge sul conflitto d’interessi.
Ma esiste, e non si può negare, una base di amministratori locali molto affini agli attivisti del M5S. Sono del Pd molti dei sindaci dei Comuni Virtuosi che dal 2005 applicano sul territorio le buone pratiche legate alla riduzione dei rifiuti, alla salvaguardia del territorio, alle energie rinnovabili. E i militanti del Pd di molti comuni d’Italia si sono battuti per l’acqua pubblica nel periodo dei referendum nonostante le indicazioni contrastanti che arrivavano dall’alto.
Inoltre, proprio grazie alla crescita costante del M5S, il Partito democratico si è visto praticamente costretto a rinnovarsi, per intercettare quella volontà di cambiamento comune anche ai propri elettori. Circa la metà dei parlamentari neo-eletti fra le file del Pd sono volti nuovi, spesso giovani e il 40 per cento di loro sono donne. Dunque un dialogo fra la parte più sana del Pd ed il M5S sarebbe sulla carta possibile.
A questo punto Grillo e i suoi possono fare due tipi di ragionamento: uno politico, l’altro di buon senso. Il ragionamento politico è il seguente: “Non votiamo la fiducia al governo Bersani, di modo da costringerlo ad allearsi con Berlusconi e Monti. Dimostriamo così una volta per tutte che sono tutti uguali, mentre noi restiamo puri agli occhi degli elettori, gli unici che non accettano compromessi e non si mischiano a questa classe politica. Lasciamo che il governissimo vada avanti per qualche mese trascinando l’Italia nel baratro, dopo di che andiamo alle urne e prendiamo con buona probabilità la maggioranza parlamentare”. Col rischio che forse allora sarà davvero troppo tardi.
Invece il ragionamento di buon senso: “Votiamo la fiducia ad un governo Bersani e affrontiamo le riforme più urgenti, dai tagli ai costi della politica, alla legge sul legittimo impedimento, alla legge elettorale. E magari se possibile anche qualcosa sull’acqua, i rifiuti, l’energia. Fatto ciò nell’interesse del paese, torniamo alle urne con la nuova legge elettorale e sottostiamo al volere degli elettori”.
Certo è che se il M5S seguisse una strategia puramente politica ignorando l’interesse del paese non si dimostrerebbe poi così diverso dai partiti che attacca con tanta veemenza. Finirebbe schiavo delle stesse logiche di partito contro cui si batte. Un partito/movimento che ottiene oltre il 25 per cento dei consensi deve assumersi la responsabilità del proprio risultato e contribuire al governo di un paese. Non può limitarsi a dire “non diamo la fiducia a nessuno” o “valuteremo legge per legge”.
Non ne ho la certezza, ma immagino che un atteggiamento responsabile sarebbe compreso e apprezzato da gran parte dell’elettorato a cinque stelle. Mentre in caso contrario sono convinto che sarebbero in molti a voltare le spalle a Grillo e compagnia. E qualcuno potrebbe pensino pensare, alle prossime elezioni, di dare un voto di protesta: votare Pd.
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