di
Elisa Magrì
15-04-2013
A due anni dalla scomparsa di Vittorio Arrigoni, l'attivista italiano ucciso a Gaza il 15 Aprile 2011 mentre cooperava alla protezione e difesa dei civili palestinesi, un convoglio di pace è partito da Roma lo scorso 30 marzo per fare tappa a Bulciago il 14 aprile. Intanto i taccuini di Gaza di Arrigoni sono stati trasposti in Reading Book.
A due anni dalla morte di Vittorio Arrigoni, l'attivista per la pace ucciso brutalmente a Gaza il 15 Aprile 2011, non sono ancora note le cause del suo assassinio. Lo scorso settembre, dopo tanti rinvii, il processo aveva accusato Mahmoud Salfiti e Tamer Hasasnah di rapimento e omicidio, condannandoli all'ergastolo (che per la legge di Gaza equivale a 25 anni di prigione) più 10 anni e lavori forzati a vita.
Khader Jram, ispiratore del sequestro di Vittorio, veniva accusato di rapimento e condannato a 10 anni di prigione. Amer Abu-Ghoula, colui che aveva affittato la casa dove Vittorio fu ucciso, è stato condannato in contumacia ad un anno di prigione. I quattro sono i sopravvissuti al gruppo che aveva cospirato la morte di Arrigoni, in quanto gli altri due, tra cui il giordano Abdel Rahman Breizat, morirono nello scontro a fuoco con le forze speciali di Hamas. Il gruppo, inizialmente ricollegato ad una cellula salafita estranea a Hamas, aveva dichiarato, prendendo in ostaggio l'attivista italiano, di voler liberare lo sceicco jihadista al Maqdisi, arrestato dalla polizia di Gaza.
Nel febbraio di quest'anno, però, la sentenza di appello ha concesso uno sconto di pena di 15 anni a Mahmoud Salfiti e Tamer Hasasnah. Una sentenza “vergognosa”, a detta di molti, perché la riduzione della pena potrebbe portare anche ad una scarcerazione per buona condotta. Il Manifesto ha pubblicato domenica 13 Aprile un'intervista di Michele Giorgio a Tamer Hasasnah, il quale ha esordito ammettendo che l'assassinio di Arrigoni fu “un errore di cui ci siamo resi conto soltanto dopo”. Tuttavia Hasasnah non ha fornito nessuna risposta plausibile circa le ragioni del rapimento ed ha ammesso di non aver fatto parte di nessuna cellula salafita “impazzita”.
Difficilmente si avranno le prove di quanto realmente accaduto due anni fa, ma certo è che Vittorio Arrigoni continua ad essere ricordato e commemorato a Gaza e in tutti i luoghi dove si è esposto in prima persona. Il 30 Marzo è partita l'iniziativa “Convoy Vik Gaza to Italy” per mantenere viva la figura e l'impegno di Arrigoni in tutta Italia in un percorso a tappe, al quale partecipano decine di giovani di Gaza - artisti, intellettuali, attivisti politici, atleti, i ragazzi della scuola di Parkour - e si concluderà il 17 aprile.
Una tappa speciale è quella del 14 Aprile a Bulciago, terra di nascita di Vittorio Arrigoni. Si tratta di un'occasione di scambio fra palestinesi ed italiani che permetterà, fra l'altro di diffondere la pubblicazione del documento “Restiamo Umani - The Reading Book”, il video-diario di Arrigoni trasposto in un book di 19 capitoli per 19 autori che leggeranno pagine tratte dai suoi taccuini a Gaza.
Le voci sono quelle di Tariq Ali, Huwaida Arraf, Massimo Arrigoni, Mohamed Bakri, Oren Ben-Dor, Egidia Beretta Arrigoni, Hilarion Capucci, Noam Chomsky, Mairead Corrigan-Maguire, Brian Eno, Norman Finkelstein, Luisa Morgantini, Stéphane Hessel, Akiva Orr, Moni Ovadia, Ilan Pappé, Desmond Tutu, Roger Waters, Rabbi David Weiss.
Tradotto e sottotitolato in sedici lingue, “Restiamo umani – The Reading Book” è un'opera in costruzione liberamente accessibile ed alla quale si può offrire il proprio contributo. Lo scopo è di “rendere giustizia a chi non ha più voce, forse a chi non ha mai avuto orecchie per ascoltare” (Arrigoni). In questi giorni in rete sono tanti i video che ricordano l'operato e la vitalità di Vittorio Arrigoni, ma forse il modo migliore di rievocarlo è tenere presente quanto accade a Gaza, ridotta ad una discarica a cielo aperto ed in piena emergenza umanitaria.
Nei giorni scorsi Hamas è stato accusato da Human Rights Watch di non garantire l'applicazione della legge, specialmente dopo le mancanti indagini sull'uccisione di sette persone, trucidate da un braccio armato perché sospettate di spionaggio a favore del raid aereo israeliano che lo scorso novembre ha ucciso almeno 170 palestinesi. Eppure sono tanti ad avere coraggio a Gaza: dal 2005 è in atto una resistenza popolare non violenta che si oppone all'espansione delle colonie israeliane con occupazioni e boicottaggi. Le azioni sono coordinate da centinaia di palestinesi e attivisti internazionali, i quali vanno incontro a violente evacuazioni e sgomberi.
Secondo il linguista e scrittore Noam Chomsky, colpito dallo straordinario contrasto di vitalità e umiliazione fra gli abitanti della Striscia, Gaza non è un Paese sotto-sviluppato, ma de-sviluppato in modo sistematico: “la striscia di Gaza sarebbe potuta diventare un prospera regione del Mediterraneo godendo dei proventi dell'agricoltura per le sue terre fertili e di una fiorente pesca sulla costa, con spiagge meravigliose e, come dimostrato un decennio fa, buone prospettive di vaste riserve di gas naturale all'interno dei propri confini territoriali”. Sia o meno un caso, Gaza continua ad essere una terra sotto assedio.