di
Francesco Bevilacqua
05-11-2010
Dopo aver analizzato i dati emersi dal 'Rapporto Cittalia' sulle emissioni di Co2 da parte dei cittadini italiani, passiamo dal problema alle soluzioni. Ecco cosa possono fare i cittadini per ridurre i consumi, contenere l'inquinamento e contribuire alla definizione di un futuro sostenibile.
Non ci sono scuse, la situazione non è bella, una fetta consistente dell’inquinamento da anidride carbonica è causato dalla nostra disattenzione e dalle nostre cattive abitudini, quindi tocca prima di tutto a noi attivarci per risolvere queste criticità. Purtroppo, come abbiamo visto nello scorso articolo, la consapevolezza del problema non è molto radicata e soprattutto non è radicata la convinzione che una parte di responsabilità nell’individuare e attuare le soluzioni tocchi in prima persona a ciascuno di noi.
Le conclusioni del Rapporto Cittalia sono tutto sommato positive e parlando dell’ambiente come valore comune si rileva che "in tutte le città oltre la metà dei residenti afferma che, a prescindere dalle politiche di stati e governi, ogni cittadino deve fare la sua parte e deve fare molto di più per difendere e contribuire a migliorare l’ambiente". Ma già tirando le somme dei comportamenti mirati a concretizzare questa presunta sensibilità, viene rilevato che la percentuale di virtuosi cala sensibilmente.
A mio avviso sono due le strade da percorrere, che servono a chiudere le falle già evidenziate in precedenza, costituite dall’ignoranza e dall’inadempienza. Nel primo caso, molto semplicemente la gente non sa che determinati comportamenti provocano spreco di risorse e inquinamento.
Molti per esempio effettuano il prelavaggio a mano dei piatti prima di metterli in lavastoviglie, che è spesso inutile. Altri utilizzano il biodiesel nelle proprie autovetture, ignorando le gravi criticità e i grandi scompensi non solo ambientali ma anche sociali che la catena produttiva di questo tipo di carburane provoca. Altri ancora si fidano di etichette e di distributori alimentari che vendono per naturali e biologici prodotti che in realtà non lo sono. Gli esempi di questo tipo non si contano e sono quasi tutti determinati dalla mancanza di informazione.
Il problema grave è che questa ignoranza è spesso indotta quasi scientificamente da chi trae guadagno da atteggiamenti eco-incompatibili: aziende, produttori, distributori, multinazionali, petrolieri e tutti coloro che alimentano la grande macchina del consumismo, che si regge sulle abitudini cattive e sprecone di noi consumatori. A chi spetta porre un freno a questa situazione? Certamente quel 49% di persone che attribuisce questa responsabilità alle istituzioni, come emerso nello scorso articolo, ha una parte di ragione: certi sistemi e meccanismi sono troppo grandi e vanno arginati con imposizioni e misure contenitive che solo un ente pubblico si può permettere di attuare.
Ma il potere più grande lo deteniamo noi ed è il potere di scegliere: cosa comprare, cosa mangiare, che stile di vita adottare, quanto gas e quanta elettricità consumare, come muoverci e così via. Questo potere però, per essere esercitato correttamente, deve necessariamente essere accompagnato da un’informazione consapevole. Ecco quindi il suggerimento più importante che mi sento di dare: informatevi, studiate, imparate come risparmiare energia, scoprite da dove provengono realmente e come vengono prodotti gli alimenti che consumate, trovate dei mezzi di spostamento alternativi all’auto privata ma ugualmente o addirittura più efficaci, imparate i piccoli trucchi di economia domestica che vi permettono di risparmiare risorse e denaro. E ovviamente, una volta apprese queste preziose informazioni, mettetele in pratica.
Veniamo al secondo caso, l’inadempienza. Anzitutto non si tratta di una situazione alternativa alla prima: passi per alcune informazioni particolarmente difficili da ottenere e protette o mistificate dai media, ma lo sappiamo tutti che lasciare le luci accese è uno spreco di elettricità, che sciupare l’acqua è un delitto in un momento come questo o che usare la macchina inquina più che andare in bicicletta. Eppure spesso non ci poniamo il problema delle conseguenze future di queste azioni e le compiamo a cuor leggero perché per noi, in quel momento, sono la cosa più comoda da fare.
Al di là dell’irresponsabilità di questo atteggiamento, c’è anche un errore di valutazione molto grave: spesso si ritiene che gli effetti negativi si manifesteranno fra decine, se non centinaia di anni, ma la realtà è che in molti casi tali effetti hanno già cominciato a manifestarsi. Pensiamo al picco del petrolio, che statisticamente è in corso o addirittura è già stato raggiunto (fra l’altro il futuro è legato all’estrazione offshore che però, dopo il disastro del Golfo del Messico, ha subito notevoli ritardi) e ciononostante noi continuiamo a fare ampio uso di carburanti e materiali derivanti dal greggio e dai combustibili fossili in generale, investendo poco sulle energie pulite e rinnovabili.
Oppure guardiamo all’aumento statisticamente documentato dell’incidenza di malattie anche gravi in corrispondenza di zone con livelli di inquinamento molto elevati o prossime a inceneritori e grandi aziende chimiche. Sono questi segnali della necessità impellente di porre un freno a questo stile di vita e di consumo inquinante ed energivoro. In questo caso il suggerimento è quindi quello di armarsi di una buona dose di senso di responsabilità (ma in certi casi potremmo parlare quasi di istinto di sopravvivenza) e modificare i nostri comportamenti, orientandoli verso uno stile più sobrio, più sensibile al risparmio energetico, più attento alle emissioni inquinanti.
Tutto ciò non solo a livello macroscopico, ma anche e anzi soprattutto nelle piccole cose, nell’utilizzo degli elettrodomestici, nei brevi spostamenti che quotidianamente dobbiamo compiere, nella scelta degli alimenti e dei prodotti che consumiamo, nella produzione e gestione dei rifiuti e così via.
La speranza è che l’interessante Rapporto proposto dall’ANCI riesca nell’intento di sensibilizzare i cittadini da un lato e le istituzioni (sia pubbliche che private) dall’altro e fare sì che comincino a diffondersi la consapevolezza che esiste un problema reale e attuale e la cultura necessaria per creare le soluzioni e le contromisure capaci di risolvere tale problema. Nel prossimo e ultimo articolo, vedremo qual è il ruolo delle istituzioni in questa importante battaglia.
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