di
Andrea Degl'Innocenti
14-12-2011
Un rapporto di Greenpeace, con tanto di azione sul campo, cerca di far luce sul caso dei rifiuti tossici dell'ex Sisal trasportati nella discarica di Nerva, in Andalucia, con modalità sospettate di essere illegali. Un caso di cattiva gestione dei rifiuti che si va ad aggiungere a quelli di cui è costellata tanto la storia della Sisal, quanto quella della discarica spagnola.
Nerva è un paesello dell'Andalucia, in provincia di Huelva e a pochi chilometri da Siviglia. Un centro piccolo, di appena 5mila abitanti, tranquillo e poco conosciuto. A meno di 800 metri dal centro abitato, sorge un complesso molto più grande: la discarica di Befesa, entrata in funzione 14 anni fa fra le proteste generali della popolazione.
Il sito è uno dei più conosciuti in Spagna per quanto riguarda lo smaltimento di rifiuti tossici e pericolosi. I suoi terreni emettono miasmi mortali e nascondono innumerevoli segreti. Di uno in particolare ci vogliamo occupare, che ci riguarda un po' più da vicino.
Un'indagine di Greenpeace infatti cerca di far luce su un presunto giro di spedizioni illegali di rifiuti dall'Italia nel quadro della bonifica dell'ex Sisas. Una storia torbida fin dal principio. La Sisa, Società Italiana Serie Acetica Sintetica era una storica società italiana, fondata nel '47 a Milano con stabilimento nella vicina Rodano, che operava nel settore chimico producendo acetilene da metano, acetaldeide, anidride ftalica e ftalati.
Nel corso della sua lunga storia la Sisas è andata incontro a vari processi per inquinamento ambientale. Poi nel 2000 una crisi profonda porta alla chiusura dell'azienda, che dichiara fallimento. Molti dei dirigenti vengono accusati di aver dissipato il patrimonio sociale e distratto soldi alla Sisas con varie operazioni per un ammontare di oltre 300 miliardi di vecchie lire. Inoltre, sono accusati di non avere effettuato gli interventi di bonifica e messa in sicurezza dell'area di discarica, determinando così il deprezzamento dello stabilimento di Rodano. Il proprietario dell'azienda è stato condannato a luglio 2010 per aver dissipato risorse societarie, compresi i fondi stanziati per la bonifica dell'area.
La bonifica del sito è stata assegnata inizialmente a TR Estate Due s.r.l., poi ritiratasi dopo due anni, quindi, nel 2010, a Daneco Impianti. Quest'ultima si è impegnata a bonificare la zona entro marzo 2011, per evitare la maxi-sanzione prevista dall'Unione Europea. A gennaio 2011 – dopo 4 mesi dall'inizio dei lavori -, secondo il comune di Campiello le scorie smaltite erano circa 50mila tonnellate, mentre ne rimanevano 230mila.
La lentezza delle operazioni era dovuta al fatto che si aveva a che fare con del nerofumo contaminato con il mercurio. Un tipo di scoria altamente tossica che in Italia non è possibile smaltire, in quanto non esistono discariche attrezzate. Prima di essere spostate, queste scorie dovevano affrontare un processo di stoccaggio sul posto all’interno di una tensostruttura di protezione, per poi essere sigillate in appositi contenitori e spedite alla volta dei porti di Genova e Savona per il trasferimento all'estero.
Poi, il 28 marzo 2011, la Daneco annuncia ufficialmente la fine della bonifica dell'area. In neppure tre mesi era stato fatto quasi cinque volte il lavoro dei quattro mesi precedenti. Una rapidità che non può non destare sospetti. A giugno prima il Corriere della Sera, poi Il Giorno, riferiscono di un procedimento avviato dal tribunale di Milano per una presunta mazzetta: “dalla Daneco 700 mila euro a Pelaggi [Commissario delegato alla bonifica della ex Sisas, ndr] per ottenere favori sullo smaltimento del nerofumo”.
Secondo i magistrati milanesi le 280 mila tonnellate di rifiuti speciali rimossi da 10 mila camion in meno di un anno, potrebbero essere state trattate frettolosamente, con enorme risparmio per l’azienda, ed in maniera illecita. Ovvero trattando il nerofumo come rifiuto di categoria meno pericolosa, dopo un processo di tritura e miscelazione. Una riclassificazione vietata, che sarebbe stata consentita proprio dal commissario governativo, in seguito alla mazzetta.
Buona parte di queste tonnellate sono andate a finire proprio a Nerva. Per far luce sull'intera vicenda, e portarla a conoscenza della popolazione, Greenpeace ha organizzato un'azione sul campo, ieri mattina. Una decina di attivisti italiani e spagnoli hanno aperto all'interno della discarica di Nerva un enorme segnale di pericolo di circa 400 metri quadrati con il messaggio in spagnolo e in italiano "rifiuti illegali made in Italy". Sara del Rio, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Spagna, ha dichiarato “Questo caso resta ancora irrisolto, perché nessuna delle autorità coinvolte ha voluto verificare seriamente la sequenza di errori e irregolarità legati a questo impianto si è invece preferito chiudere gli occhi".
Le fa eco Federica Ferrario, responsabile della Campagna per Greenpeace Italia. “Chiediamo alle autorità competenti di far finalmente luce sulla vicenda e a chi ha sbagliato di assumersi le proprie responsabilità e porvi rimedio. Per quanto è possibile ricostruire dalle informazioni rese note fin'ora, temiamo che non si sia fatto altro che spostare il problema - e l'inquinamento - dall'Italia alla Spagna".
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