di
Romina Arena
05-10-2010
L'ONU lancia l'allarme: in Colombia 34 tribù indigene rischiano di scomparire, vittime della cosiddetta civiltà del progresso. Una cultura che li priva delle terre ancestrali in cui da sempre vivono, conferendo loro lo status di sotto-uomini, oltre ad imporre arruolamenti forzati e isolamento. Un dramma comune a migliaia di indigeni nel mondo.
Se da un lato l’aumento demografico mondiale sta facendo registrare numeri oramai incalcolabili, dall'altro l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) lancia l’allarme di un rischio estinzione per l’uomo. Pensavamo che l’estinzione fosse un fenomeno strettamente legato agli altri animali, invece non è così.
Secondo un rapporto dell’Unhcr, infatti, almeno 34 tribù colombiane stanno rischiando di sparire a causa delle reiterate violenze che subiscono nelle loro terre ancestrali.
Nonostante l’interessamento governativo a preservare le tribù, casi efferati di violenza – tra cui omicidi, minacce di morte, arruolamenti forzati dei giovani indigeni nelle forze armate, violenze sessuali perpetrate da gruppi armati paramilitari e massicce operazioni di sfratto – hanno aumentato il rischio di una scomparsa fisica e culturale delle popolazioni indigene colombiane.
Dei quattro milioni di rifugiati interni al Paese, gli indios costituiscono il 15% del totale, sebbene rappresentino solo il 2% della popolazione nazionale. Secondo il rapporto, tra il 2008 ed il 2009 in Colombia si è registrato un aumento del 63% degli omicidi di indigeni. Nel solo 2009, 33 sono gli omicidi registrati tra i membri della tribù degli Awa.
Già un precedente rapporto Onu paventava il tentativo di una pulizia etnica volta a rendere libere le aree in cui le tribù sono stanziali, al fine di riconvertirle ad uso commerciale, destinandole ad imprese agricole, piantagioni di palma da olio ed allevamenti di bovini.
Le tribù vengono limitate nei loro movimenti e nelle attività quotidiane necessarie alla loro sopravvivenza (la caccia o la raccolta del cibo), come è successo ai Wounaan, sfrattati dalle loro terre dai paramilitari per fare posto a piantagioni di coca.
Tribù nomadi o seminomadi come i Nukak, i Sicuani, i Jiw o i Jitnu soffrono la sedentarizzazione, l'isolamento o addirittura una feroce operazione di dislocamento verso i centri urbani attuata da gruppi armati illegali che mettono così in pericolo le stesse comunità rese incapaci di procacciarsi il cibo attraverso la caccia e la pesca, assolvere ai loro rituali o semplicemente rispettare le loro tradizionali forme di strutturazione sociale e parentale.
I danni, dal punto di vista culturale e del senso identitario di appartenenza alle tribù, sono già evidenti nelle nuove generazioni: i bambini indigeni nati nei centri urbani non parlano quasi più la lingua delle loro tribù, provando anzi vergogna di appartenere ad una cosiddetta minoranza e parlarne l’idioma in pubblico.
Questi non sono soltanto dei tentativi, peraltro ben riusciti, di sacrificare al progresso migliaia di anni di tradizioni ed identità culturali forti, ma è anche una tecnica speciosa e spietata di livellamento culturale.
Sradicare popoli che conoscono 'palmo a palmo' il territorio in cui vivono, ne conoscono le specie animali e vegetali, ne rispettano i ritmi i tempi ciclici con un impatto ambientale inesistente, equivale a privarsi degli unici esseri umani in grado di vivere armoniosamente con la natura e gli animali ed affermare in maniera piuttosto arrogante che esiste, urbi et orbi, una ed una sola forma di interpretare il mondo.
Il caso delle tribù colombiane è simile a tantissimi altri casi sparsi tra l’America Latina, l’Asia e l’Africa, in cui la violazione dei diritti umani raggiunge livelli sconcertanti ed in cui le tribù non hanno diritto di parola sul proprio destino. Politicamente sono irrilevanti (molto spesso privi del diritto di voto), socialmente risultano un peso (tassi elevatissimi di disoccupazione ed alcolismo), economicamente ininfluenti: una triade di motivazioni che, davanti alla necessità di accaparrarsi i loro spazi vitali, valgono ben più di millenni di sapienza e di quello stesso diritto che rende sacra la vita umana in tutte le sue multiple rappresentazioni.
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