di
Francesco Bevilacqua
07-11-2011
La drammatica situazione di Liguria e Toscana ha riportato alla luce un problema cronico del nostro Paese, rappresentato dall’incapacità di programmare soluzioni preventive e definitive. Vediamo quali potrebbero essere le risorse, anche economiche, per affrontare il rischio idrogeologico.
In questi giorni tragici per il nord-ovest del nostro Paese le disgrazie che stanno accadendo riportano a galla le enormi problematiche che in maniera sistemica gravano sul modo di gestire il nostro territorio. Trattate 'all’italiana' durante la vita di tutti i giorni, quando la situazione esce dalle righe tradiscono la loro pericolosità trasformandosi da esempi di governo negligente a veri e propri 'crimini amministrativi'.
A conferma di ciò giungono le dure parole del capo della Protezione Civile Franco Gabrielli, che punta il dito contro l’antropizzazione indiscriminata e scellerata delle zone della Liguria e della Toscana colpite dal disastro: “Il tema della mancata prevenzione non può che essere scontato: c’è il rispetto del territorio venuto meno, l’abbandono, la cementificazione in aree che la natura e l’esperienza dei nostri antenati ci indicavano a rischio. Mi viene da sorridere amaramente quando ci si lamenta delle inondazioni e poi si vedono case costruite là dove non sarebbero dovute essere: la verità è che la natura presenta sempre il suo conto e al di là dei costi economici, ci sono costi in vite umane che non ci potremo mai perdonare”.
Il quadro viene completato dallo sconcertante scenario che, come accade da decine di anni, segue queste drammatiche situazioni: ridicoli tentativi di rattoppare una gestione scellerata che vengono spesso trasformati in sfoggi poco credibili della tempestività di questo o di quel governo nel fronteggiare l’emergenza.
È inevitabile che a questo punto il discorso vada a parare verso l’aspetto economico: il presidente dei Verdi Angelo Bonelli riferisce di 50 miliardi di euro di danni negli ultimi vent’anni correlati a disastri idrogeologici. Il Cresme ridimensiona leggermente questa stima parlando di 52 miliardi negli ultimi sessant’anni, 22 negli ultimi venti, ma il succo rimane sempre lo stesso, soprattutto se si considera che la ragione principale di questi danni è la mancanza di prevenzione e la sconsiderata politica di urbanizzazione, condita da facili condoni e abusi edilizi impuniti, praticata da anni in Italia.
Sempre il Cresme quantifica in circa 40 miliardi l’ammontare delle risorse necessarie per attuare un piano di 'messa in sicurezza' delle numerose aree a rischio del nostro territorio, mentre altri studi, come per esempio quello dell’Anbi, propongono dati più contenuti – 5,7 miliardi per un primo intervento.
In ogni caso, anche dal punto di vista della programmazione economica costa certamente meno prevenire che curare, anche se il vero salasso non è monetizzabile ed è quello provocato dal dolore della perdita di tante vite e dalla desolazione portata dalla vista di un territorio che subisce da anni un degrado ambientale continuo e quasi scientifico.
A proposito di prevenzione, sempre il Cresme ha stimato che in assenza di una politica di risanamento efficace nei prossimi quarant’anni, la percentuale della popolazione italiana esposta a rischi idrogeologici diventerà più dei doppio rispetto a oggi, superando il 20%. E dire che sulla carta uno strumento di programmazione economica studiato per affrontare queste situazioni esisterebbe.
Si tratta del FAS, il Fondo per le Aree Sottosviluppate, che per questo tipo di interventi ha previsto stanziamenti nel sessennio 2007-2013 pari a circa 5,5 miliardi fra il terremoto in Abruzzo e il disastro del Molise, a cui andrebbe aggiunto un altro miliardo cofinanziato dalle Regioni e già ratificato dal CIPE, che però si è progressivamente ridotto a 800 milioni, poi a 500 per poi sparire del tutto. Di quei soldi non si è visto neanche un euro.
In compenso è scoppiata la polemica per l’ormai famigerato aumento delle accise dei carburanti imposto dal Governo per finanziare l’emergenza di questi giorni: 0,89 centesimi in più al litro che serviranno per recuperare le risorse necessarie a ristabilire la situazione. Risorse che si aggiungeranno ai 65 milioni già stanziati dal Consiglio dei Ministri, che sembrano però una goccia nel mare delle previsioni di spesa, che solo nella Lunigiana superano gli 80 milioni secondo le stime del governatore della Regione Toscana Enrico Rossi.
I numeri diventano impietosi se citiamo i dati riportati da Bonelli: rinunciando ai 15 miliardi impegnati per l’acquisto di caccia F-35, agli 8 miliardi per il Ponte sullo Stretto di Messina e ai 20 miliardi per la Tav in Val di Susa, ci sarebbero risorse sufficienti per risolvere praticamente tutti i problemi di dissesto idrogeologico in Italia. Ma come al solito nel nostro paese si preferisce rappezzare, male peraltro, piuttosto che prevenire.