I dati provvisori non lasciano spazio a molti dubbi: oltre il 90 per cento dei votanti ha detto 'no' al legittimo impedimento, votando 'sì' all' "Abrogazione della legge 7 aprile 2010 n. 51 in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale". Vediamo, nel dettaglio, il significato di questo provvedimento ed il valore che assume l'esito referendario.
I dati provvisori non lasciano spazio a molti dubbi: sta vincendo la cultura del Sì. Quattro Sì per riappropriarsi del futuro, per affermare con forza e senza seconde possibilità che non sempre le scelte politiche possono essere determinate dalla speculazione, personale o economica che sia. Quattro Sì per dire No: no alla commercializzazione dell’acqua, all’investimento delle risorse nazionali in fonti energetiche dannose ed obsolete e, infine, all’idea che la legge debba essere soggetta alle istituzioni, invece del contrario.
In particolare con il Sì sulla scheda referendaria di colore verde si è sottolineata l'esigenza di una maggiore trasparenza della classe dirigente, la necessità che l'attività politica si sviluppi all'interno delle istituzioni e non contro di esse.
Esito referendario, dunque, che elimina di fatto dall'ordinamento la legge n. 51 del 2010, la quale prevedeva come legittimi impedimenti alla presenza in aula del Presidente del Consiglio e dei Ministri nominati non solo tutte le attività di governo, ma anche quelle coessenziali, preparatorie e consequenziali ad esse, nonché quelle di politica generale. Mentre è in corso lo spoglio nelle varie sezioni, i dati in aggiornamento parlano di una maggioranza schiacciante di italiani intervenuta per esprimere il proprio parere negativo su quella parte della legge che era rimasta inalterata dopo la dichiarazione di incostituzionalità della Corte Costituzionale del 13 Aprile scorso.
Occorre tuttavia fare chiarezza, dato che ogniqualvolta si parla di legittimo impedimento, inevitabilmente si è spinti a pensare alle vicende giurisdizionali del Premier Silvio Berlusconi, confondendo le reali funzioni di questo importante strumento legislativo. Ci sono numerosi aspetti che vengono tralasciati o volontariamente omessi, dando alla questione un valore preminentemente politico, anziché culturale.
Il legittimo impedimento, infatti, è previsto all'art. 420-ter del Codice di Procedura Penale, e permette al giudice di rinviare un'udienza ad una data successiva nel caso in cui l'imputato, che abbia manifestato la volontà di comparire, non abbia possibilità di essere fisicamente presente in aula il giorno prestabilito. La richiesta di rinvio, dunque, viene rivolta al giudice il quale verifica se l'impedimento addotto dalla parte sia reale e, soprattutto, legittimo.
Questo è uno strumento previsto per tutelare tutte le categorie di cittadini, una norma di grande civiltà in quanto serve a garantire all'imputato la massima partecipazione all'attività processuale e l'esercizio del proprio diritto alla difesa. Ma, attenzione, quello del giudice è un potere, non un dovere, data la libera discrezionalità nella valutazione della legittimità dell'impedimento stesso.
Proprio su questo aspetto si concentrava l'ormai abrogata legge n. 51 del 2010. Essa, infatti, al fine di garantire ai membri del governo il sereno esercizio dei loro doveri, prevedeva esclusivamente per il Presidente del Consiglio ed i Ministri particolari ed ulteriori tipologie di impedimenti, esclusivamente costituiti dal “concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti”, nonché “di ogni attività comunque coessenziale all'attività di governo”. Ma non è tutto.
Nella legge in questione era infatti previsto esplicitamente che spetta al Consiglio dei Ministri, e non al giudice, la valutazione della sussistenza e della legittimità dell'impedimento, obbligando di fatto il giudice a rinviare l'udienza laddove la parte lo richieda attraverso una semplice autocertificazione della presidenza del Consiglio. Si è tentato, dunque, di scardinare la tripartizione dei poteri, affermatasi niente di meno che con la rivoluzione francese, sottraendo al potere giudiziario una propria fondamentale funzione a favore del legislativo.
La Corte Costituzionale ha però, fortunatamente, respinto questa impostazione dichiarando alcune parti della legge incostituzionali. Il 13 gennaio 2011 la Corte ha dichiarato alcune parti della legge incompatibili con gli art. 3 (principio di uguaglianza dinnanzi alla legge) e 138 (riserva di legge costituzionale) della Costituzione, ripristinando il potere valutativo del giudice sul singolo impedimento ed eliminando l'obbligo di rinvio dell'udienza.
La legge tuttavia era rimasta inalterata nel suo nucleo essenziale. Gli italiani in queste due giornate referendarie hanno bocciato anche questa manovra politica, intervenendo laddove la Corte Costituzionale non è arrivata, smantellando l'intera impostazione legislativa presentata e ritornando alla sostanziale parità di condizioni di ogni cittadino nei confronti della giustizia. Ed è questa una scelta che va al di là delle situazioni contingenti, che travalica gli schieramenti e che determina la volontà di accrescere la cultura politica del nostro paese.
Questa legge infatti, così come il vero e proprio Lodo Alfano, rappresentava un unicum nel panorama legislativo europeo, creando una vera e propria aurea di impunità nei confronti delle più alte cariche dello stato. Come sempre l'iniziativa era giustificata dalla necessità di garantire al governo il sereno esercizio delle proprie funzioni, essendo ritenuto difficoltoso destreggiarsi tra sedute parlamentari e, le sempre più frequenti, udienze in tribunale.
Se questo è vero (e lo è), la modifica di uno strumento legislativo in modo tale che di fatto il lavoro dei magistrati venga limitato ed incanalato secondo le varie esigenze del potere legislativo è una soluzione che rileva in tutta la sua drammaticità la scarsa cultura politica dei nostri uomini di governo. Sono infatti decine gli esempi di politici stranieri che, imputati anche per questioni relative a poche migliaia di euro, hanno scelto la via delle dimissioni e non dell'impunità.
Nella cultura politica europea è indiscutibile che l'essere imputato è un "impedimento" all'attività di governo (parafrasando l'interessantissimo intervento di Marco Travaglio nell'ultima puntata di Annozero del 9 giugno), e non il contrario. E non potrebbe essere altrimenti, dato che se in una tale situazione il soggetto in questione scegliesse la via dell'impunità, non dimettendosi, pagherebbe questa decisione dal punto di vista politico, perdendo credibilità nei confronti dei propri elettori.
Vi è quindi una cultura, morale prima che politica, che impone trasparenza a chi siede in Parlamento, un requisito essenziale richiesto direttamente dall'elettorato e che è garantito proprio dall'opera dei magistrati, ai quali, a loro volta, è richiesto maggior rigore nel giudicare chi dovrebbe guidare il paese nel nome della legalità, e non contro di essa.
Questo sul legittimo impedimento è un tema trasversale, che non riguarda i singoli partiti, ma segna indiscutibilmente il modo in cui noi vogliamo che sia governato il paese, tralasciando le valutazioni personali sul singolo candidato. Ed oggi è stato fatto: attraverso il voto degli italiani si è mandato un chiaro segnale a favore di una diversa cultura politica. Nonostante l'enorme distanza che ormai separa il cittadino dalla politica, tale messaggio dovrà necessariamente essere recepito.
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