Al tramonto, lo spettacolo che si ha, affacciandosi alla finestra, è mozzafiato: l'orlo a merletto delle cime sembra decorare l'azzurro del cielo che lentamente imbrunisce e si confonde con il verde degli alberi. L'ombra del tardo pomeriggio sale silenziosa e scura dalla valle come fosse la coperta della sera sulla montagna. In una calma magica solo il volo delle rondini a sfiorare i tetti. Lo spazio è immenso. Sembra troppo da far entrare tutto insieme in uno sguardo. Si riallenano gli occhi a guardare lontano dopo la miopia costretta cui ci obbliga la città. I bambini sono i padroni del paese. Si muovono liberamente negli spazi che hanno occupato con i loro giochi e le loro attività. E' l'estate che fa rivivere l'antico borgo delle loro voci. “Qui la gente viene per stare bene”, mi racconta Martina, 25 anni, che ha appena acquistato insieme a Diego una casa proprio qui. “Era il mio sogno da quando ero bambina e ci venivo in vacanza: tornarci. Adesso vivo a Todi per motivi di lavoro ma vengo a Roccatamburo appena posso. E' un luogo magico in cui vivere”.
Renato e Peppa, invece, hanno 90 anni e vivono a Roccatamburo da sempre. Renato mi racconta un mondo dimenticato e un'economia costruita sulla terra e sulle risorse che poteva dare. Era una terra ricca in cui si viveva di allevamento, di vendita del bestiame e del formaggio. Poi – continua – c'erano i tartufi e si guadagnava molto bene con la raccolta perché ce n'erano in quantità. Adesso – mi spiega – è tutto diverso perché le terre sono diventate sporche per via della mancanza di capre che tenevano tutto pulito. Ogni attività era strettamente collegata all'altra. Era una vita bella anche se c'erano i momenti di difficoltà. Peppa racconta della terra coltivata e degli orti ricchissimi che davano ortaggi e frutta in quantità. Mi parla di una terra fertile e buona ma poi – dice – hanno abbandonato tutto. Rinaldo e Peppa hanno tirato su tre figli, comprato le case di famiglia e messo da parte il necessario per la vecchiaia.
Incontriamo Egildo Spada, 63 anni, sindaco del paese. Mi riceve nella casa che l'ha visto nascere. Si divide tra l'Umbria e il Lazio dove insegna. E' al suo quarto mandato.
La sensazione che si ha girando per Roccatamburo è di una comunità di persone che si sono scelte: i bambini e i ragazzi girano dappertutto in totale libertà, non ci sono macchine, le chiavi sono attaccate alle porte aperte delle case, si respira un'aria di collaborazione e aiuto in tutto ciò che si fa... E' un borgo che si sta ripopolando?
In realtà, è solo un'illusione. La gente che vede ora in paese c'è soltanto in estate, in particolare nel mese di agosto. Sia a Roccatamburo che a Poggiodomo. Questo comune è il più piccolo dell'Umbria: 120 abitanti e l'età media è 63 anni, un'età altissima. Purtroppo non abbiamo bambini. Quest'anno abbiamo avuto una nascita dopo molti anni ed è stato un avvenimento straordinario. Durante l'inverno qui a Roccatamburo vivono circa 15 persone e 45 a Poggiodomo.
Quali sono le difficoltà più grandi?
Nel comune di Poggiodomo ci sono soltanto due dipendenti che andranno in pensione il prossimo anno e il comune rischia di chiudere. La legge ci impone di non assumere per un anno dopo il pensionamento dei dipendenti e quindi se non si riesce a trovare una soluzione il comune morirà di morte naturale. Questo è il dramma dei comuni così piccoli per i quali vengono applicate le stesse leggi dei comuni grandi. Il nostro comune è nato nel 1809. Poggiodomo significa letteralmente “mettere a coltura” e noi continuiamo a mettere a coltura quello che mettevano a coltura i nostri avi. Cerchiamo tenacemente di resistere provando a tenere vive la cultura e le tradizioni dei nostri territori ma è sempre più difficile.
Ci sono persone che credono a un ritorno. Che hanno iniziato a riabitare il borgo anche se non continuativamente. Hanno acquistato diverse case in paese e ci abitano appena possono. Persone che pensano a quali attività eventualmente avviare per ridare un respiro anche economico e di vita a questi luoghi. Cosa ne pensa?
Sì, è vero. Sarebbe bellissimo se questi progetti si riuscissero a concretizzare. Noi abbiamo aperto un Centro di Educazione Ambientale nel comune di Poggiodomo. Lo aprii io diversi anni fa. E' una struttura ricettiva di 50 posti letto. L'anno scorso lo abbiamo arricchito anche del primo parco geologico dell'Umbria. Inoltre abbiamo un agriturismo aperto da una famiglia di Roma che ha creduto molto in quel progetto e oggi è un'attività che funziona. Mi piacerebbe molto che si avverasse il sogno di chi pensa di ripopolare questi borghi creando delle attività come queste.
Quali sono i problemi logistici?
Si è lontani dai centri che offrono servizi e divertimento e, soprattutto, mancano le scuole. Qui resiste ancora la scuola di Monteleone di Spoleto ma siamo all'ultimo anno e le sezioni sono pluriclasse sia alle elementari che alle medie.
Ci sono regioni in cui si sta assistendo a un ritorno nei piccoli paesi e borghi una volta abbandonati. Che cosa significa ripopolare un borgo come questo?
Noi non siamo in Toscana o in Trentino che è una regione che offre servizi ovunque e dove la montagna è una montagna molto diversa dalla nostra e offre possibilità di sviluppo sia in estate che in inverno. Noi siamo fuori dalle grandi vie di comunicazione e dai grandi centri. Questo è un problema grande.
Che cosa fate per attirare interesse verso questo territorio splendido?
Abbiamo organizzato promozioni e attività di ogni genere e per tutti. La nostra terra è piena di bellezze e tesori sia naturali che artistici ma non offrono possibilità di lavoro.
In che modo si potrebbe creare occupazione sfruttando proprio questa ricchezza?
Le faccio un esempio: il nostro Centro di Educazione Ambientale ha 50 posti letti, è perfettamente organizzato e dotato di tutto, ha un campo sportivo e un edificio all'interno del quale è impiantata tutta la struttura del Parco Geologico. Non ho trovato nessuno che abbia voluto gestire questa struttura. Nessun giovane, nessuna famiglia ha voluto investire. Tutti inseguono il posto fisso. La Valnerina, che vediamo così bella, è stata ricostruita (anche per via dei terremoti) con piani di recupero molto importanti. Nello stesso tempo, però, questo ha creato l'idea e il mito del posto fisso, del lavoro solo dipendente. L'attività imprenditoriale non c'è.
Sono presidente di un consorzio che si chiama BIM (Bacino Imbrifero Montano) che è un consorzio di dieci comuni. Esistono 60 BIM in tutta Italia e i più grandi sono nel nord. Viviamo grazie a un indennizzo che ci dà l'Enel e Green Power per lo sfruttamento delle acque e poi riversiamo questi soldi sul territorio. Il mio consorzio usa questi fondi per restaurare e recuperare ma anche per dare mutui agevolati per l'acquisto della prima casa e per l'apertura di attività economiche in Valnerina. Sono vent'anni che sono presidente del BIM e in questo lasso di tempo soltanto un ragazzo ha aperto un'attività. Nessuno ha voluto usufruire di questa possibilità. Non ci sono state domande di finanziamento. La domanda che lei mi fa è la stessa che mi pongo da tanti anni e alla quale non sono ancora riuscito a dare una risposta. Una cosa è se parliamo di Norcia e Cascia che vivono con un motore proprio come Venezia o Firenze e un altro è parlare di borghi come il nostro dove non c'è nulla se non la bellezza. E di bellezza non si vive.
Perché di bellezza non si vive? In altri paesi la si pensa diversamente.
Gli stranieri che sono venuti in Valnerina (americani e tedeschi) hanno acquistato interi paesi ristrutturandoli completamente. Adesso, però, questi stessi paesi sono in vendita. Tra poco apriranno le Terme di Triponzo, investimento di un privato, e penso che un'attività di questo tipo non durerà a lungo perché la gente vuole e chiede altro.
L'agricoltura, la cultura e l'arte?
I terreni sono scoscesi e aridi, difficili da arare e da coltivare. Abbiamo tantissime bellezze e tesori artistici di grandissimo valore ma non abbiamo i soldi per tenerle aperte. Ne abbiamo talmente tante che forse le snobbiamo. Non lo so.
Qual è il futuro di questi borghi?
E' la realtà di tutto l'Appennino. Questi paesi avranno sempre meno abitanti. Perché la realtà è che non ci sono servizi e collegamenti e questo è essenziale. Anche in paesi che sono veri e propri gioielli come Vallo di Nera non ci sono possibilità. Vallo è bellissima ma sembra un museo: non ci sono attività, negozi, nulla. Noi cerchiamo di fare il possibile per curarli e per preservarne tradizioni e cultura. Personalmente sono anche tornato, anni fa, da Roma, a lavorare a Monteleone. L'ho fatto per nove anni ma poi sono tornato a lavorare in città. Ci ho provato.
Cerchiamo di fare il possibile ma tutti i piccoli comuni vivono questa realtà drammatica. Qui la ripopolazione che si è avuta in altre regioni sarà difficile perché non ci sono le stesse possibilità di sviluppo.
Ma a Roccatamburo parliamo anche con Stefania Santi, scollocata e ora, tra le tantissime altre cose, pittrice.
Stefania è di Roma, è sposata con Franco Irawan Esposito-Soekardi. Qualche anno fa, insieme, hanno realizzato il sogno di Franco e hanno dato vita a una piccola casa editrice: Fuorilinea. Hanno due figlie e vivono a Monterotondo (Roma). Stefania perde il lavoro da impiegata un anno fa e decide, invece di disperarsi, di prendere questa esperienza come un'opportunità. Senza pensarci troppo, recupera la sua passione di sempre e ricomincia a dipingere. Ci racconta la sua storia da Roccatamburo, dove la incontriamo.
Avete acquistato tre case a Roccatamburo. In un momento in cui la gente vuole andare via da borghi come questo, come vi è venuto in mente?
E' vero. Ce ne andiamo da luoghi come questo e normalmente lo facciamo perché pensiamo che nelle città si viva meglio, che ci siano migliori opportunità di lavoro e che la nostra qualità di vita sia più alta. E' esattamente il contrario. Dovremmo tornare indietro e “ricolonizzare” i luoghi che abbiamo abbandonato e che sono la nostra origine. Dovremmo riappropriarci di territori come questo in cui la vita è più semplice e preziosa da ogni punto di vista. Le case le abbiamo acquistate nel tempo provocando forse qualche perplessità da parte di chi viene qui in paese. Noi abbiamo scelto di investire le poche risorse che abbiamo a disposizione qui nella nostra piccola heimat piuttosto che in costose automobili. E’ semplicemente una questione di scelte. In un futuro possiamo pensare di usarle per diversi progetti che al momento sono in fase di elaborazione ma potrebbero realizzarsi. Nel frattempo le affittiamo per il periodo estivo, ripagandoci tutte le spese annuali, in seguito vedremo. La prima casa che abbiamo acquistato è costata l'equivalente di 6000 euro e l'ultima, grande, spaziosa e nel centro storico a poco più di 20000.
Si dice che questi territori non offrano possibilità di lavoro come in città. Che ne pensi?
Bisognerebbe riscoprire, senza avere troppa paura, professioni e mestieri che sono diversi da quelli che pensiamo e che siamo stati abituati a pensare come unici lavori possibili. Ci sono molte attività che possono essere svolte anche tra queste montagne con una connessione Internet e un telefono a disposizione. Non c'è più l'isolamento che poteva esserci 40 anni fa. Adesso ci sono mezzi tali che ci permetterebbero di farlo e collegamenti che ci fanno raggiungere i centri abitati. Si dovrebbe tornare a un vero e proprio “colonialismo”, se mi passi l'espressione, ma positivo, nuovo e sano, verso centri più piccoli e umani.
Che cosa servirebbe per fare questo?
Io e la mia famiglia cerchiamo di passare qui weekend, festività e vacanze estive ma, per il momento, siamo ancora legati dal lavoro di Franco alla città. Un altro problema sono le scuole che stanno scomparendo. Quello che serve è mettersi insieme agli altri. Una sola famiglia non cambia molto le cose ma se più famiglie si mettono insieme possono fare la differenza e consentirebbero, per esempio, la riapertura di una scuola (anche multiclasse). Da questo verrebbero implementati nuovi servizi e nascerebbero attività. Nel momento in cui c'è vita tutto viene di conseguenza. La comunità è il punto essenziale. Si parla di villaggi e comuni creati da molte persone in luoghi da cercare con strutture da creare ex novo. Invece qui c'è già un villaggio, il borgo esiste già. Si tratta di riappropriarsene.
Quali sono secondo te le potenzialità della zona?
La zona ha molte potenzialità e dovremmo puntare sulla produzione delle eccellenze tipiche del luogo. Per esempio i prodotti tipici della terra. Si dovrebbe puntare sui tartufi, sulla produzione delle nocciole e delle noci, del farro, dei legumi tipici come la cicerchia e la lenticchia. Qui vicino, per esempio, è tornato dopo molti secoli lo zafferano. Su queste cose bisogna puntare e farne qualcosa di prezioso e da far conoscere, come d’altronde alcuni enti locali cercano di fare con grande abnegazione. E trovo che sia un luogo perfetto per ogni attività artistica, in luoghi come questi si può comporre musica, si può dipingere, fare ceramica e scrivere romanzi! Perché non organizzare qui mostre, sport, concerti, rassegne di ogni genere. Abbiamo un palcoscenico naturale che si presta ad una miriade di attività. Perché non organizzare in questi territori convention, conferenze, di tipo medico, scientifico, letterario in queste zone? Se non si riesce a ripopolare questi meravigliosi borghi, che si tenti almeno di farli rivivere, con il turismo e con un po’ di immaginazione.
Quando hai cominciato a pensare a questo?
Fino a un anno fa lavoravo in ufficio e facevo avanti e indietro da Monterotondo a Roma. Un pensiero latente di cambiare vita, però, c'era già dentro di me da molto tempo. Un anno fa un intero settore del mio ufficio è stato dismesso e l'idea concreta di trovare delle alternative si è fatta più forte. Queste alternative, secondo noi, a Roma non ci sono perché gli ambienti sono saturi e stanchi e non sono più capaci di assorbire nuove risorse. Invece qui c'è spazio e disponibilità per inventare qualcos'altro.
Tu sei una bravissima pittrice e hai ricominciato a dipingere proprio negli ultimi tempi...
E' la mia passione da quando ero bambina ma lavorando, con i tempi impossibili della città e con la famiglia, non mi era possibile pensare di dedicarmi alla pittura e di pensare di farne anche una fonte di sostentamento. Adesso, invece, il tempo a disposizione c'è e in un luogo come questo c'è anche la possibilità di contemplazione e meditazione che manca in città perché siamo in corsa e distratti da mille cose. Qui il luogo è favorevole per fare ogni genere di attività e anche per ritrovare se stessi.
Quanto guadagnavi prima?
Guadagnavo 1.200 euro ma ne spendevo buona parte tra i trasporti per la città, la mensa delle bambine, la baby sitter di cui avevo bisogno, pasti fuori, mutuo e tutto il resto. Rimaneva molto poco ed era una vita estremamente caotica: otto mezzi al giorno, un'infinità di tempo perso rincorrendo o aspettando autobus per raggiungere il posto di lavoro. Se penso a ciò che abbiamo perso per vivere in città inseguendo chimere inesistenti, mi sembra incredibile. Il sogno vero è in questi luoghi e l'abbiamo dimenticato per rintanarci nelle città che sono ormai una sorta di tritatutto dove finiscono i nostri sogni, il nostro tempo, il nostro benessere, la nostra vita. Si pensa sempre che la città sia la soluzione di tutti i problemi mentre è il contrario. A proposito di case, a Roma per averne una se non hai la fortuna di ereditarla dai genitori, ci si indebita per una vita intera….solo questo dovrebbe farci riflettere sulle scelte da fare!
Che cosa serve per essere felici?
Riscoprire il contatto con la natura e con gli esseri umani. Invito a leggere Il segreto di Roseto. Il senso di questo breve racconto è proprio che basta pochissimo per stare bene. Le cose importanti sono: natura, buone relazioni e avere un sogno. Un'altra cosa importante è credere di poter fare un lavoro che ci piace. Non si deve essere necessariamente direttori di banca o funzionari ma si può guardare dentro di sé e fare ciò che vogliamo fare.
Che cosa ti auguri per le tue figlie che sono ancora piccole?
Che sappiano apprezzare l'autenticità delle cose, che sappiano scoprire e valorizzare le loro radici e non si facciano abbindolare dalle chimere della città che ti schiacciano senza darti nulla di autentico.
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