Il riscatto degli schiavi moderni, ossia come possiamo sfuggire allo sfruttamento economico

«Gli esseri umani sono esseri sociali e come diventano dipende profondamente dalle circostanze sociali, culturali e istituzionali della loro vita». Noam Chomsky, filosofo e linguista, ci mette in guardia dai condizionamenti e ci mostra tutta l’ipocrisia di quelle verità lapalissiane di cui tanti si riempiono la bocca ma che nella pratica quasi nessuno segue.

Il riscatto degli schiavi moderni, ossia come possiamo sfuggire allo sfruttamento economico

Illuminate e illuminanti le parole di Noam Chomsky, durante la conferenza tenuta di recente alla Columbia University davanti ad una vasta platea di attenti ascoltatori. Chomsky ha la capacità di mettere a nudo le ipocrisie di tutti noi, dell’uomo comune come del grande uomo, evidenziando con schiettezza quelle contraddizioni e quelle scomode verità che, nel macro e nel micro, spesso cerchiamo di non vedere. Quelle che Chomsky definisce le verità virtuali, sono quelle verità «che tutti professano, universalmente, ma che poi, altrettanto universalmente, tutti nella pratica rifiutano» dice.
Pensiamo solo a quella «verità lapalissiana secondo cui dovremmo applicare a noi stessi gli stessi standard che applichiamo agli altri, dedicandoci alla promozione della democrazia e dei diritti umani, proclamati a livello universale, anche dai peggiori mostri, mentre poi il panorama generale non mostra altro che crudeltà». Non a caso Chomsly adotta come esempio gli scritti di John Stuart Mill, nella fattispecie Saggio sulla libertà, dove si fa riferimento alla «assoluta ed essenziale importanza dello sviluppo umano nella sua più ricca diversità». Le parole vengono citate da Wilhelm von Humboldt, fondatore del liberalismo classico, ha ricordato Chomsky. «Ne consegue che le istituzioni che ostacolano tale sviluppo sono illegittime, a meno che non riescano in qualche modo a giustificarsi». E quando Adam Smith accenna a una delle massime più seguite dall’essere umano, cioè “tutto per noi e niente per gli altri”, aggiunge anche che, secondo lui, «le passioni originarie, più positive, della natura umana sapranno comunque compensare questo pensiero patologico». Insomma, Chomsky spiega e rende evidente con le sue parole l’ipocrisia che sta dietro alle aspirazioni umanistiche dei fondatori del capitalismo.
Poi fa sua l’affermazione di un pensatore e attivista anarchico del secolo scorso, Rudolf Rocker, laddove sostiene che «il problema che si pone ai giorni nostri è quello di liberare l’uomo dal gioco dello sfruttamento economico e dalla schiavitù sociale». Perché lo fa? Per smascherare un’altra ipocrisia, quella degli equivoci che si giocano sulle parole e che vorrebbero forse ancora far credere che il brand americano del libertarianismo abbia qualcosa di analogo al pensiero libertario. «Il primo – spiega Chomsky – accetta e anzi invoca la subordinazione dei lavoratori ai padroni dell’economia e la soggezione di tutti alla disciplina restrittiva e ai tratti distruttivi dei mercati». Il secondo, cioè il pensiero anarchico, «si oppone notoriamente allo Stato e invoca una amministrazione organizzata delle cose nell’interesse della comunità, come dalle parole di Rocker, oltre ad ampie federazioni di comunità e luoghi di lavoro che si autogovernano».
«Oggi però – prosegue Chomsky – il pensiero anarchico può spesso arrivare anche a sostenere il potere dello Stato al fine di proteggere i più deboli, la società e il pianeta dai saccheggi del capitale privato. Non c’è contraddizione, la gente vive e soffre e va avanti in questa società e gli strumenti a disposizione dovrebbero essere utilizzati a salvaguardia e beneficio di essa, anche se un obiettivo a lungo termine è quello di costruire alternative preferibili». Oggi la condizione in cui viviamo è quello di una plutocrazia, dice ancora Chomsky: «Circa il 70% della popolazoone, nello scalino più basso della scala sociale, non ha influenza sulla politica; salendo la scala sociale, l’influenza lentamente aumenta. Ai vertici ci sono quelli che determinano la politica. Il risultato non è una democrazia, ma è, appunto, una plutocrazia». C’è chi ha già confezionato un termine per “travestire” di rosa la plutocrazia, definendola una neo-democrazia, socia del neoliberismo; attenzione all’apparente innocuità del termine, si tratta di un sistema in cui la libertà è privilegio di pochi e la comprensione del pieno senso delle cose è accessibile solo ad una elite, eppure tutto inserito in un contesto di diritti generalizzati benchè solo formali e non sostanziali.
Ma non è questa la vera democrazia, come anche Rocker ha sostenuto. «La vera democrazia ha le caratteristiche di un’alleanza fra gruppi liberi di uomini e donne basata sul lavoro in cooperazione e su una pianificata amministrazione dei beni per l’interesse della comunità».
Chomsky ha poi continuato nella sua affascinante disamina dei pensieri a confronto. «Nessuno prenderebbe mai il filosofo americano John Dewey per un anarchico. Eppure considerate le sue idee. Egli riconosce che il potere oggi risiede nel controllo dei mezzi di produzione, degli scambi, della pubblicità, dei trasporti e della comunicazione. Chi li possiede, regola la vita del paese, anche se resta la forma democratica. E i politici resteranno la casta ombra nella società dei grandi affari, come si vede già oggi. Questo riconduce a una visione della società basata sul controllo dei lavoratori, com’era nel diciannovesimo secolo».
Insomma, una “democrazia” di questo tipo ha geneticamente in sé molti rischi e molti limiti, già peraltro ben noti fin dall’antichità, cioè da quando Aristotele riconobbe nella democrazia la “meno peggio” forma di governo, ravvisandone un solo “difetto” (oggi annullato da chi ha il potere di imporre anche nomi e volti per i quali votare): la massa dei poveri potrebbe usare il proprio voto per prendersi le proprietà dei ricchi, che ne sarebbero molto dispiaciuti!
E di fronte a questo “rischio”, c’è chi, come Aristotele, consigliava di ridurre le disuguaglianze e chi, come molti altri anche oggi, consigliano invece di ridurre la democrazia!
La tradizione libertaria si può dunque ricondurre fino ad Aristotele? Si è conservata ed evoluta nei secoli, pur rimanendo sotto la superficie?Chi ne è l’erede oggi? E cosa vogliamo farne? Potrà aiutare le comunità di persone ad uscire da questa crisi strutturale? Vale la pena rifletterci.

 

 

 

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Commenti

molto interessante l'articolo. condivido pienamente la visione di Chomsky. Idee simili alle sue stanno lentamente entrando nella testa e nel cuore della gente, almeno di chi vede le disparita' e le aberrazioni di questo sistema. Un'idea simile la troviamo negli scritti di P.R.Sarkar, pensatore indiano, che avverte come i difetti insiti nel DNA stesso del sistema capitalista lo faranno crollare presto- non da solo, ci vorra' sempre la spinta di qualcuno o dei tanti-. Secondo Sarkar il capitalismo crollera', cosi' come e' caduto il comunismo, perche' ambedue i sistemi sono carentie si aggrappano e si sostengono col materialismo che chiude ogni via di espansione e progresso a 360 gradi. ambedue considerano gli esseri umani solo dal punto di vista della fisicalita'. La parte spirituale e intellettuale soppressa alla fine deve emergere, in maniera tanto piu' violenta quanto maggiore e' la soppressione, l'oppressione e la repressione cui vengono assoggettati gli individui. la stessa cosa poi la stanno paventando e temendo pure quelli che sostengono questo sistema capitalista e corrotto. Franco Bressanin - Istituto per la Ricerca Prout
farnco bressanin, 30-01-2014 06:30
Articolo interessante, anche per le sue diverse sfumature, pero io credo che le diverse soluzioni ideologiche non servano in realta a cambiare le realta. Secondo me dovrebbero essere iniziative vere che subordinando le realta costituite facciano nascere realta condivise in piccole Zone: quartieri, paesini, realta rurali ecc.. Questo sarebbe possibile se gli intellettuali a fravore in senso ideologico del NECESSARIO CAMBIAMENTO, si offrissero come finanziatori dello sviluppo e come detonatore dello attacco mediatico a favore dello sviluppo locale e contro le deturpazioni delle multinazionali (ENEL in Basilicata, ENEL in Sicilia, Taranto, Lombardia con la truffa EXPO ecc.). Le priorita dovrebbero Farsi carico di alcuni punti essenziali: la possibile autonomia delle realta locali (Scuole di formazione organizzate in cooperative che potessero risanare vecchi edifici in disuso, per contrastare la speculazione edilizia, attivita di tipo pedagogico per offrire alle famiglie le informazioni necessarie e il possibile indirizzo, la nascita di una banca che ricicli il danaro rendendolo, attraverso procedure di rifinanziamento a disposizione delle famiglie o delle iniziative che coinvolgano progetti attenti allo sviluppo locale e di gestione tra le varie economie locali, cooperative di autogestione che attraverso i comuni rilancino Offerte di impiego delle proprie competenze e sopratutto delle proprie capacita di sviluppo delle competenze perche i vantaggi si ripercuotano sulle economie locali stesse. Questo, ripristinerebbe la fiducia individuale e la NON piu necessita di chiedere la carita per ottenere un lavoro. Questo se gestito con la gente, sarebbe utilissimo a mantenere il rapporto Ambiente lavoro inquinamento e risamento in un colleggiale e comune senso di rispetto del luogo dove si vive, per isolare e scoprire da subito i possibili speculatori. Le soluzioni dovrebbero essere studiate con esperti die vari campi e proposte per uno sviluppo che tenga presente le esigenze e le prerogative e le ricchezze della realta perche queste vengano valorizzate e siano patrimonio di tutti e non di qualche privato. La necessita di devolvere parte del salario perche questo sia investito nel rinnovamento e perche dia possibilita di rendere servizi che ripaghino gli investimenti sarebbe un circolo virtuoso che darebbe alla gente la sicurezzan che i soldi pagati non siano la ruberia die politici ma un contributo a se stessi per pagarsi per se e per i propri figli il futuro
Roberto, 23-03-2015 09:23

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