Un luogo magico affacciato sul Lago Trasimeno che ha accolto due giorni di incontri sull'altra scuola: la Scuola del Fare, la Scuola per tutti. La Scuola Vera.
“Il bambino ha diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa. Ha inoltre diritto alla libertà di espressione. Non lo dico io. Lo dice la legge”. La legge è la 176 del 1991 che recepisce la Convenzione sui diritti del fanciullo stilata nel 1989 a New York dalle Nazioni Unite e a farne una bandiera è Francesco Tonucci, pedagogo, maestro elementare, prima ricercatore e poi - dal 1982 - responsabile del reparto di Psicopedagogia all’Istituto di Psicologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), intervenuto all’incontro Scuola del Fare, Scuola per tutti. “Basterebbe applicare questa Convenzione per rivoluzionare totalmente l’educazione dei nostri bambini - spiega Tonucci - Purtroppo, sebbene si tratti della legge più adottata al mondo, il suo contenuto rimane una menzogna, è totalmente inapplicato”.
Francesco Tonucci ha la barba bianca e il capello brizzolato, siede dietro a una cattedra di legno a fianco di una lavagna d'altri tempi. Sembra spuntare da una pagina di De Amicis, ma quando inizia a parlare dalla sua bocca non esce niente di tradizionale, convenzionale o antico. Anzi. "I bambini non sono vasi vuoti da riempire - afferma - E’ ormai noto e scientificamente dimostrato che prima che un bambino entri in un’aula scolastica le cose più importanti sono già successe. Gli apprendimenti più significativi, quelli sui quali si costruisce tutta la conoscenza successiva, o sono già acquisiti o si stanno sedimentando. Questo significa due cose: che il vissuto del bambino va considerato e che l’insegnamento più importante è quello che avviene in questa prima fascia di età e non all’università, come il nostro sistema scolastico presuppone”.
Questo presupposto fa sì che all’educazione primaria neanche i professori siano realmente valorizzati: “Molte volte l’insegnamento è visto come un lavoro di ripiego, che fino a poco tempo fa non richiedeva neanche tanto studio - ricorda Tonucci - In alcuni Paesi invece per divenire insegnante è necessario avere il massimo dei voti, competenze approfondite, esperienza diretta con i bambini valutata positivamente da esperti dell’educazione. La selezione è serissima e gli stipendi ottimi. Questo perché in questi Paesi agli insegnanti è riconosciuto un ruolo fondamentale nella crescita dei bambini e nello sviluppo della società".
"Come diceva Gabriel Garcia Marquez - continua Tonucci - ogni bambino nasce con una predisposizione ma solo i più fortunati incontrano qualcuno in grado di fargliela scoprire. Una scuola giusta è una scuola che offre a tutti la possibilità di esprimersi e realizzarsi in ciò che più piace, di scoprire il proprio talento e di imparare a valorizzarlo. Il contrario insomma della scuola di oggi in cui, troppe volte, o ti adatti o fallisci”.
Una scuola che andrebbe ripensata anche nei luoghi: “Gli spazi scolastici, così come quelli urbani, non sono pensati per rispondere alle esigenze dei bambini ma per rispondere alle esigenze di sicurezza e di controllo degli adulti - denuncia Tonucci - Le aule sono strumenti innaturali, le materie e le lezioni sono metodi controproducenti, i compiti sono stupidaggini inutili, le valutazioni parametri inadeguati. L’ideale sarebbe trasformare le scuole in laboratori, tornare alla manualità, al fare, adottare come metodo quello della ricerca, educare al senso critico e al confronto, riscoprire il gioco, momento essenziale per la crescita e la formazione dei più piccoli e anch’esso sancito dall’articolo 12 della Convenzione: i bambini hanno diritto al riposo e al tempo libero, di dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età”.
Il diritto al gioco, chi lo avrebbe mai detto? E invece è proprio nel gioco che il bambino vive un’esperienza fondamentale, quella di confrontarsi da solo con la complessità del mondo: “Con il gioco il bambino sperimenta l’avventura e il rischio, trovandosi da solo di fronte al mondo con tutti i suoi stimoli, le sue novità, il suo fascino. E giocare significa ritagliarsi ogni volta un pezzetto di questo mondo: un pezzetto che comprenderà un amico, degli oggetti, delle regole, uno spazio da occupare, un tempo da amministrare”.
Ma tutto questo è lontanissimo dalla visione diffusa e accettata della scuola… “Ebbene sì. Siccome i genitori hanno sofferto la scuola si pensa tutt’oggi che sia giusto così - afferma Tonucci - Io invece propongo una scuola amata e desiderata dagli alunni, dagli insegnanti e dalle famiglie”. Famiglie che dovrebbero divenire il primo alleato della scuola: “Oggi è venuto a mancare quel rapporto di fiducia che fino a poco tempo fa legava insegnanti e genitori. E’ successo anche perché è venuto a mancare il confronto e la condivisione - continua Tonucci - Ma, sicuramente, in un contesto educativo in cui i bambini sono felici e realizzati i genitori tornerebbero ad essere solidali con gli insegnanti”. Tutto ciò, per Tonucci, è possibile solo attraverso la partecipazione diretta e attiva dei bambini alla loro educazione. Un’utopia? Sì, certo! Ma c’è già chi la sta mettendo in pratica e lo fa senza aspettare leggi calate dall'alto, direttive imposte o illuminazioni provvidenziali.
Lo stesso Francesco Tonucci ha elaborato e attuato il progetto La città dei bambini, dando vita a un laboratorio urbano che definisce un modo nuovo di pensare la città assumendo il bambino come punto di riferimento e la sua opinione come base per l’azione.
Simone Piazza - formatore, educatore e facilitatore - anch’egli presente all’incontro, ha portato la sua esperienza di vita e di insegnamento basato sull’accoglienza, sulla scuola come bene comune e sulla partecipazione attiva dei bambini nelle decisioni che li riguardano, sia a livello scolastico che extrascolastico.
E poi Dino Mengucci che insieme agli abitanti di Panta Rei ha organizzato e ospitato l'evento e che da anni ormai si prodiga per organizzare eventi legati a un altro modo di fare educazione e di crescere insieme.
O, ancora, Paolo Mai e Giordana Ronci, fondatori e maestri dell’asilo nel bosco di Ostia che hanno spiegato quanto la relazione e l’educazione emozionale siano alla base dell’apprendimento e della crescita personale: “Il compito della scuola è quello di far vivere ai bambini esperienze ricche, significative e variegate in modo che siano loro, una volta assaggiato tutto, a decidere cosa vogliono - afferma Mai raccontando della sua esperienza come educatore - Per far questo, ovviamente, i luoghi e metodi tradizionali non funzionano. All’asilo nel bosco la scuola si fa all’aperto. Non ci sono banchi, compiti, aule, strumenti strutturati. Tutto si fa e si costruisce con ciò che offre la natura: basta uno spago, un ramo e un sasso per inventare tantissime attività”. E, soprattutto, qui sono i bambini a dettare il programma: “La nostra abilità sta nel riconoscere il loro interesse e capire quando il terreno è fertile per seminare la conoscenza - spiega Mai - ma noi non facciamo altro che facilitare processi che già avvengono naturalmente in maniera spontanea. In realtà - conclude Mai - non siamo noi che insegniamo ai bambini, sono loro che insegnano a noi come vivere”.
E a quanto pare ci riescono, perché negli occhi di tutti loro si scorge quella serenità infantile che solo un bambino può provare. Nei loro modi si legge quella determinazione e quella dolcezza che ogni maestro dovrebbe avere. Nelle loro parole si ascolta quello che la vera scuola dovrebbe essere: un luogo felice e desiderato in cui si cresce insieme, partecipando a un cammino comune: un'utopia.