Ripartire dall'acqua per cambiare rotta, Attac Italia a Bologna

Il punto sui referendum, ma anche sulla crisi, l'analisi del tramonto di un sistema sociale e delle possibili configurazioni future. Il seminario organizzato a Bologna da Attac Italia offre uno sguardo lucido sull'attualità e vari spunti di riflessione per riprendere il percorso di riappropriazione dei beni comuni iniziato con i referendum dello scorso giugno e ancora lontano dalla conclusione. IL VIDEO

Ripartire dall'acqua per cambiare rotta, Attac Italia a Bologna
Mentre l'Ue inizia a preparare il terreno per il prossimo default della Grecia e le più grandi menti dell'economia mondiale si ingegnano su come salvare la moneta unica europea; mentre in Italia il voto popolare ai referendum del 12 e 13 giugno su acqua e servizi pubblici locali viene privato del proprio valore da una sconsiderata manovra economica, mi reco a Bologna al seminario organizzato da Attac Italia con la speranza, non da poco, di trovare qualche idea nuova, una boccata d'ossigeno nel deserto asfissiante del pensiero unico del mercato. Si tratta di un seminario sulle battaglie per l'acqua dopo il voto referendario in cui si cerca di inquadrare le lotte per l'acqua pubblica nello sconfortante scenario attuale. Con il suo classico modus operandi, che l'aveva resa protagonista delle rivendicazioni altermondialiste dei forum sociali da Porto Alegre in poi, la “Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie e per l'Aiuto ai Cittadini” tiene unite anche in questa occasione la dimensione globale con quella locale. Dunque si parla di referendum, di democrazia partecipativa, di vertenze territoriali, ma lo si fa inquadrando le questioni nello scenario dell'attuale crisi sistemica. Si parla di Europa, di finanziarizzazione dell'economia. Termini che altrove, nelle pagine ad alta tiratura dei media mainstream, è difficile sentire. Le testate più influenti del pianeta si sono espresse in questi giorni sul futuro dell'Europa e sui possibili piani di salvataggio con una uniformità sconfortante al pensiero dominante. Ecco l'Economist: “Tutte le economie in difficoltà, solventi o insolventi, hanno bisogno di un nuovo programma di riforme strutturali e liberalizzazioni. Liberalizzare i servizi, le professioni e le imprese, ridurre la burocrazia e ritardare i pensionamenti può creare le condizioni per una nuova crescita, e questo è il modo migliore per ridurre il debito.” (traduzione a cura dell'Internazionale n. 916 p.17; l'articolo, come consuetudine dell'Economist, non è firmato). Integra la riflessione Gideon Rachman, che sulle pagine del Financial Times scrive: “Ho sempre pensato che il cammino verso una maggior integrazione sia più semplice quando assume la forma di provvedimenti tecnici, difficili da capire e realizzabili senza passare per l'approvazione degli elettori.” (traduzione a cura dell'Internazionale n. 916 p.17). Insomma la ricetta economica congiunta di due delle testate più influenti del settore finanziario – peraltro il Financial Times possiede una quota consistente delle azioni dell'Economist – prevede nella sostanza un'accelerazione delle privatizzazioni e nella forma un metodo del tutto antidemocratico, che rimpiazza la sovranità popolare con una sorta di tecnocrazia europea. Difficile vedere in questo quadro, che purtroppo ricalca le posizioni di gran parte dei leader europei, lo spazio per l'applicazione effettiva di un referendum che invece si oppone alle liberalizzazioni ed al mercato e rivendica istanze di democrazia partecipativa. Relazione fra crisi, politiche europee del patto di stabilità e beni comuni. Ma torniamo al seminario. Quello qui sopra è il titolo della prima delle tre parti in cui è diviso il seminario che pone alcune domande cruciali: come agire a livello europeo? Cosa fare se ad opporsi alla reale ripubblicizzazione dei servizi idrici e di quelli pubblici locali non c'è soltanto il teatrino grottesco del nostro governo ma i ranghi serrati dell'élite finanziaria e politica internazionale? Un'attenta ricostruzione storica cerca di far luce sulle cause della crisi attuale: la progressiva finanziarizzazione dell'economia, che ha spostato il focus dal lavoro alla speculazione; l'esplosione del problema del debito e, soprattutto, della speculazione sul debito, riconducibile – nel caso italiano – al divorzio fra Bankitalia e Ministero del Tesoro datato 1981; un'Europa che ha posto le proprie basi sulla politica della moneta unica prima ancora che su un'integrazione sociale e politica. Tutte questioni fondamentali da comprendere, che riconducono al nodo centrale della questione: come fare per cambiare rotta? Quello che adesso sembra imprescindibile è ripartire dai beni comuni, arroccarsi a difesa di quel poco di comune che ci è rimasto, riappropriarci di ciò che negli anni ci è stato tolto. E a chi chiede se un'altra Europa è possibile, Marco Bersani, che introduce questa prima parte del seminario, risponde che “va costruita una dimensione dei movimenti a livello europeo per riaprire un processo costituente dell'Europa; un processo che ponga il problema di quali sono le politiche sociali dell'Ue, quali quelle fiscali, del lavoro, ovvero che stabilisca alcuni parametri che siano comuni a tutto e su quello costruirci anche una politica di finanza ecc.” Insomma bisogna sancire il fallimento della moneta unica come collante fra nazioni e ripartire da basi ben più solide. Come costruire le gestione partecipativa e democratica dell’acqua. Fabrizio Valli, che introduce la seconda parte del seminario, ripercorre le tappe della democrazia partecipativa moderna a partire da quella che in molti considerano l'esperienza capostipite: il bilancio partecipativo di Porto Alegre del 1989. Poi Valli passa ad analizzare il caso della Bolivia e delle rivolte scoppiate a Cochabamba contro la privatizzazione dell'acqua; infine, grazie anche al contributo di altri interventi si affrontano le esperienze italiane, che trovano origine a Grottammare. A partire da questa ricostruzione – con la consapevolezza che non esistono modelli di democrazia partecipativa preconfezionati e che ogni esperienza è figlia di diverse variabili sociali, economiche, culturali – si apre il dibattito sulle possibili modalità di attuazione di un processo partecipativo più esteso possibile nella gestione del servizio idrico in Italia. Restano dei nodi da sciogliere. In primis quello del tempo a disposizione degli individui: un elemento necessario per potersi occupare con costanza della cosa pubblica ma sempre più scarso nel modello socio-lavorativo attuale basato sulla precarietà. Bisognerà ripensare il concetto di lavoro, accenna Bersani, ampliando gli orizzonti del dibattito ad una ridiscussione partecipata dell'intero sistema sociale. Esiste poi il limite della volontà individuale a partecipare: come fare per coinvolgere una fetta sempre maggiore di persone nel processo decisionale? E nelle decisioni vige la regola del “chi c'è decide”, oppure si dovranno stabilire delle quote minime di partecipazione? Con quali strumenti costruire vertenze territoriali su ripubblicizzazione acqua e tariffe. L'autoformazione è un elemento indispensabile nel momento in cui si vuole passare dalla teoria alla pratica ed intavolare vertenze territoriali contro i gestori. Severio Lutrario, membro di Attac e del Forum dei movimenti per l'acqua, parte da un'accurata spiegazione della bolletta. Il calcolo della tariffa è ad oggi effettuato secondo il principio del full recovery cost: sulla bolletta vengono caricati tutti i costi che il gestore deve affrontare. Tutti questi costi sono per legge determinati a preventivo, non a consuntivo, sulla base di un piano d'ambito nel quale il gestore decide quanti e quali investimenti effettuare durante la durata dell'appalto di gestione, stima i costi di gestione ecc. La bolletta totale risulta composta da tre fattori. I costi operativi, ovvero i costi necessari a garantire il normale servizio; l'ammortamento sugli investimenti, cioè il recupero degli investimenti che il gestore effettua sulla rete idrica (ammortamento spalmato su tutta la durata del servizio, senza tener conto di quando vengono effettuati gli investimenti); infine la remunerazione del capitale investito, abolita dal secondo quesito referendario ma ancora presente in quasi tutte le bollette, pari – per ogni metro cubo – al 7 per cento del rapporto fra gli investimenti previsti per l'anno solare in corso ed i metri cubi erogati previsti. Dal momento che tutti i dati che compaiono in bolletta sono a preventivo – dunque basati su previsioni – alle bollette va poi applicato un parametro chiamato MALL, composto da molte variabili. Esso serve per ricalibrare a posteriori i parametri previsti con i dati reali. Il MALL va da 0 a 1 e va moltiplicato per la tariffa. Se il gestore ha effettuato tutti gli investimenti previsti ed ha operato secondo quanto stabilito dal piano d'ambito, il suo MALL sarà 1 e la tariffa resterà quella prevista. Ma se, come spesso accade, il gestore non ha rispettato gli accordi, il MALL scende proporzionalmente alle spese mancate, arrivando ad abbassare le bollette anche del 50 o 60 per cento. Come è ovvio i gestori non applicano mai il parametro MALL. Spetta ai cittadini il compito di controllare che chi fornisce il servizio lo faccia secondo quanto previsto dai piani d'ambito, o, in caso contrario, riduca in proporzione le tariffe. Uscendo dalla saletta affollata l'impressione è quella di trovarsi all'inizio di un grande processo collettivo, del quale nessuno sa dire con precisione i dettagli, ma di cui tutti percepiscono l'urgenza.

Commenti

Bell'articolo!! ...e spero di rivederti presto Andrea, magari per una pizza! :-) Ciao
Andrea Coveri, 01-10-2011 12:01

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