È nella diversità che risiede il mistero della nostra identità: “la distanza che in fondo ci separa, infatti, crea la condizione per guardarci, per immaginarci, per narrare storie su quel che vediamo o crediamo di vedere”.
Konrad Lorenz sosteneva che gli ecosistemi convivono in modo apparentemente uniforme e connesso, ma uno sguardo più attento può rivelarcene autonomia e soggettività.
Quando entriamo in una foresta, suggeriva infatti lo studioso viennese, ci sembra che ogni cosa sia consapevolemente compresente all’altra, come se tutte le creature interagissero con quelle confinanti e circostanti. Invece, osservando meglio, scopriamo che ciascun gruppo si muove seguendo regole, codici e linguaggi propri.
Persino la ‘realtà’ è letta in modo differente dalle varie specie. Così una intercetterà il colore blu e l’altra il colore giallo, una ascolterà un suono e un’altra un altro suono, pur essendo conviventi nel tempo e nello spazio. Forse qualche volta ce ne dimentichiamo, ma abitiamo il mondo in modi paralleli, mondi allineati ma non identici, che sembrano appartenere al medesimo solo perché succedono nella stessa giornata e nello stesso perimetro in cui si consuma un identico pasto.
Quando non abbiamo cultura comune, letture comuni, diritti e doveri condivisi, persino odi e banalità d’opinione su cui scoprirci d’accordo, allora possiamo dire più semplicemente di essere ‘stranieri’, o di trovarci in presenza di stranieri: cioè di altri ecosistemi, vistosamente lontani dal nostro e da noi. Ma in quella diversità risiede il mistero della nostra identità: la distanza che in fondo ci separa, infatti, crea la condizione per guardarci, per immaginarci, per narrare storie su quel che vediamo o crediamo di vedere.
Le storie che narriamo su un altro, e che un altro può raccontare su di noi, rappresentano la sola occasione di esistere, cambiare, diventare futuro, di interpretare ed essere interpretati in maniera paradossale, sorprendente, illuminante.
Così l’Altro rappresenta la nostra più grande ricchezza, perché nel suo sguardo possiamo incontrarci: incontrare da un lato ciò che siamo (e ignoriamo finché un estraneo ci osserva per la prima volta e senza i pregiudizi che tanto più ci limitano e definiscono quanto più ci ‘comprendono’), e dall’altro noi stessi annotiamo e studiamo simboli di cui l’altro è portatore, e di cui produciamo spiegazioni, ipotesi cioè, a cui diamo il nome di storie.
La nostra esistenza e capacità di immaginazione dipendono, insomma, dallo sguardo di qualcuno, e su qualcuno, che non ci somiglia e in cui possiamo rispecchiarci: questo succedeva a Lorenz, che da essere umano osservava appassionatamente abitanti del mondo animale, questo succede a noi quando ascoltiamo la musica sgangherata di una banda macedone.
Questo può succedere in una sera d’estate, guardando dei bambini che giocano a pallone nel centro della piazza mentre i grandi, seduti intorno a un tavolo, si distraggono davanti a una partita in tv.