Siamo a febbraio, possiamo considerarci ancora all'inizio di un anno, dato che la natura non si è ancora risvegliata, o almeno così dovrebbe essere. Semi e gemme riposano in attesa che la terra si risvegli, noi potremmo intanto provare a fare bilanci e programmi. Un bilancio che riguardi proprio la natura e che non abbiamo trovato sui giornali né ci è stato fornito da radio e televisione. Quelli si limitano a ripeterci che c'è ripresa, c'è crescita. Tutto va bene, madama la marchesa.
Il 2017 è stato l'anno più caldo della storia, e a questo ormai ci siamo ottusamente abituati: ogni anno è più caldo di quelli che l'hanno preceduto, il pianeta sta arrostendo e noi con lui. La differenza del 2017 sta nel fatto che le conseguenze di tale riscaldamento si sono palesate come mai prima. Mezza California è bruciata, città e campagne, piante, esseri umani, altri animali, case, vitigni, foreste: deserti carbonizzati e cosparsi di cadaveri. Un disastro immane, una tragedia in tutti i suoi aspetti, una guerra con morti di ogni specie. I media borbottavano, bisbigliavano, tacevano. Ci raccontano tutto degli USA, il vero e il falso, ma di questo disastro di dimensioni apocalittiche non volevano parlarci, gli s'inceppava la lingua.
Naturalmente bruciava anche l'Italia, ma da noi bruciavano principalmente i boschi, le foreste, i parchi nazionali e le oasi naturali. Chissà come mai. Sempre notizie occultate, minimizzate. A meno che non si dovesse prenderle a pretesto per perorare la causa delle dighe o quella del taglio dei boschi, così non bruciano.
Gli incendi italiani non hanno dato la stura ad articoli, dibattiti, discussioni per capire come e perché e rimediare e prevenire. Niente trasmissioni televisive, non è un problema che li riguardi. Sopratutto, non è un falso problema che possa distogliere i cervelli dai problemi veri. La distruzione dell'ambiente è un problema vero da cui bisogna distogliere i cervelli.
E infatti chi se lo ricorda più?
Chi si ricorda un'estate di fiumi asciutti; che non è un discorso estetico, i corsi d'acqua sono l'habitat di miliardi di creature, dalle libellule agli anfibi, dai pesci agli uccelli acquatici. Tutti esseri viventi che senza acqua perlopiù muoiono.
Chi si ricorda i raccolti distrutti, disseccati dalla siccità e dal calore; chi si ricorda le vacche senza erba (e gli erbivori selvatici?), il fieno introvabile, le api senza miele (e quelle selvatiche?) Forse se lo ricordano i contadini, i pastori, gli apicultori ma chissà se almeno loro sono in grado di "collegare", se, dopo aver fatto il bilancio, fanno anche il programma dei buoni propositi. Oppure continuano a spargere pesticidi e diserbanti, a comperare trattori sempre più grandi per spargere più velocemente veleni e sventrare sempre più profondamente la terra?
Dopo l'estate africana, con i suoi fuochi distruttivi dalla California alla Sicilia, con la siccità devastante, con i camion cisterna che andavano e venivano senza interruzione per portare acqua ai paesi dell'Italia centrale (presa da quali invasi?), cosa ci ha riservato l'inverno?
Nella parte orientale degli Stati Uniti ci sono state temperature siberiane, meno trenta gradi. In Florida, per la prima volta dall'ultima glaciazione, sono ghiacciate le paludi, habitat di milioni di creature che nel ghiaccio non sopravvivono. E i nostri media? Ci facevano vedere gli alligatori intrappolati nel ghiaccio come una cosa curiosa, uno strano fenomeno.
Quanto al nostro inverno, quassù in cima a una collina in Toscana dove abito da trent'anni, nel mio piccolo ho potuto notare altre anomalie. Per la prima volta in trent'anni tutti i tipi di rose hanno continuato a fiorire; per la prima volta in trent'anni sedano e prezzemolo nell'orto hanno continuato a vegetare; per la prima volta abbiamo mangiato insalatina di campo tutto l'inverno, con il mestolino fiorito e le piantine di papavero che crescevano, i bombi che ronzavano sui fiori del rosmarino e su quelli delle rape. Tutte cose che, benché nell'immediato potessero sembrare positive, appaiono foriere di disastri futuri.
Ci sono poi, ma ormai stanno diventando un'orrenda consuetudine ignorata dai più, terribili tempeste di vento ed acqua, a volte veri e propri tifoni che abbattono foreste e scoperchiano case, e che nel nord Europa sono ormai una delle caratteristiche dell'inverno. Ma colpiscono anche l'Italia, hanno abbattuto milioni di alberi nell'Appennino e devastato più di una volta le coste tirreniche.
Mettiamo tutto questo nel bilancio e forse ci renderemo conto di aver bisogno di un adeguato programma per il futuro. Di fronte a questa dissipazione, a questo spreco di vite di ogni specie, un programma di risparmio.
Cominciando col programmare qualche spesa. Come, non dovremmo consumare di meno? Proprio il meno possibile, perché non ci sono altre soluzioni, non ci sono scorciatoie per salvare un pianeta che sta diventando un'immensa pattumiera in tutti i suoi elementi, terra, acqua, aria. Ma possiamo programmare qualche piccola spesa che riduca i consumi e gli sprechi.
Per esempio, potremmo regalare una borraccia di metallo a quella nostra amica a cui piace tanto fare escursioni e che, ad ogni escursione, si compera una bottiglia di acqua minerale da portarsi dietro. E possiamo regalarle anche un'informazione: il cloro si può eliminare dall'acqua del rubinetto semplicemente mettendola per qualche ora in un recipiente largo e scoperto, prima di consumarla. Il cloro è un gas e pian piano s'invola, continuerà a far danni al pianeta ma non a noi direttamente che, non consumando acqua confezionata in bottiglie di plastica, di danni ne faremo molto meno.
Potremmo regalare una dozzina di fazzoletti di stoffa ad ogni compleanno di amici e parenti che usano i fazzoletti di carta, consumando energia, prodotti chimici e piante per soffiarsi il naso. Una bella scatola di matite colorate ai nostri bambini e a quelli di parenti e amici, che per disegnare usano pennarelli di plastica imbottiti di sostanze tossiche. Un certo numero di portatovaglioli ognuno diverso dall'altro con relativi tovaglioli di stoffa per coloro che usano tovaglioli di carta e sprecano energia e materie prime e creano rifiuti ogni volta che si puliscono la bocca. Una semplice Moka per tornare a fare il caffè senza le cialde; un bicchierino di metallo da portarsi appresso sul luogo di lavoro o a scuola per non consumare bicchieri di plastica; un barattolo d'orzo o di cicoria bio e italiani per diminuire il consumo di caffè coltivato dagli schiavi dove prima c'erano foreste o campi di contadini e trasportato per sei, otto, diecimila chilometri...
Andate avanti voi, certamente ne troverete di cose da mettere in programma. Consumare di meno e consumare diversamente e responsabilmente, purtroppo, è alla portata di quasi tutti noi. "Purtroppo", perché vuol dire che quasi tutti consumiamo di più e peggio di quel che potremmo e dovremmo. Bisognerebbe parlare di come usiamo i mezzi di trasporto, di come ci scaldiamo e vestiamo e calziamo, di come e dove trascorriamo le vacanze, di quanto e come viaggiamo. Però i prodotti usa e getta, del tutto inutili e consumati in quantità incommensurabili, gridano vendetta al cielo e alla terra di fronte al degrado ambientale in cui ci troviamo immersi.
So che oggi molti pensano che consumare meno, fare un gesto di più (lavare i piatti, temperare una matita, tritare con la mezzaluna) sia un sacrificio, una rinuncia. E già queste parole suonano offensive al giorno d'oggi. Un tabù, la rinuncia; un'eresia il "sacrificio" di impegnarsi mentalmente e materialmente per fare scelte responsabili, cambiare abitudini, essere "diversi", darsi da fare per far crescere tale diversità fino a che non diventi comune.
Erano i nostri genitori (o nonni) che parlavano tanto di sacrifici. E li facevano, in funzione di un'avvenire migliore per i loro figli. Tante piccole e grandi rinunce, magari solo per poter mandare i bambini in campagna durante le vacanze scolastiche, a respirare aria buona. Tanto lavoro e tanto risparmiare per aiutare i giovani a mettere su casa quando si sposavano; non per i pranzi da centocinquanta persone nel resort di lusso ma perché potessero arredare un appartamentino in affitto. Queste erano, certo, sempre soluzioni individuali ma molti di loro hanno fatto anche il "sacrificio" di lottare per il bene collettivo. Sono stati militanti politici e sindacali, impegnavano le serate e i giorni liberi dal lavoro in riunioni, assemblee, manifestazioni, volantinaggi; "sacrificavano" le possibilità di carriera in fabbrica, in azienda; rischiavano il posto di lavoro e, qualche volta, le botte della polizia.
Oggi il "sacrificio" è la prima cosa da evitare. A parole.
Perché poi, di fatto, in quest'epoca noi consumatori occidentali siamo popoli di Abrami che marciano, tenendo i propri Isacchi per mano, verso gli altari su cui li sacrificheranno.
Però possiamo cambiare ruolo, ognuno di noi lo può: possiamo diventare l'Angelo che ferma quel braccio. Ma certamente l'Angelo lo fece con gesto deciso e voce sonora, non con timidi, esistanti sussurri e compromessi continui. Con passione, con slancio e con costanza possiamo fermare l'osceno sacrificio dell'avvenire dei nostri figli, del futuro del pianeta; possiamo acquistare e seminare intorno a noi comprensione, coerenza e responsabilità. Anche cominciando dal regalo di una borraccia.
Perché il 2018 ci dia speranza e coraggio, non sconforto e rassegnazione.