Come valuti il panorama politico italiano in vista delle elezioni del 4 marzo prossimo? Pensi che possano esserci delle speranze di miglioramento dal giorno dopo per questo paese?
In generale io i miglioramenti per la vita mia e degli altri, dalla politica, non li attendo. Se io avessi fatto tutta la mia parte come uomo, nella mia consapevolezza, nella mia visione, nei miei comportamenti qualitativi verso l’ambiente, gli altri, i più deboli, verso le pratiche anticonsumiste, se avessi messo sul tavolo tutte le mie risorse, tutti i miei talenti, se avessi posto rimedio alle mie tante contraddizioni… allora forse mi permetterei di pretendere qualcosa dalla politica. Ma dato che io sento di non aver mai fatto del tutto la mia parte, non ancora almeno, mi esimo dal mettermi a giudicare. Quelli che strillano di più, con la voce più alta, non per questo sono i più lucidi. Di solito sono quelli che hanno fatto e fanno meno per migliorare se stessi come uomini, donne, e dunque cittadini. Non mi fido di chi urla, in generale. Non mi fido di chi dice sempre voi o noi, ma solo di chi dice io.
Gli italiani sono un popolo che legge pochissimi libri e guarda molto la televisione, secondo te questo influisce anche sul livello politico istituzionale?
Beh, direi proprio di sì. L’ignoranza dilaga nel nostro paese. Lo vedi dalla sintassi fino alle idee. Ma lo vedi soprattutto dall’omologazione e dalla violenza. Qui nessuno percorre strade nuove, per due ragioni: perché una strada nuova, prima di percorrerla, bisogna pensarla, immaginarla, trovarla, studiarla. E poi perché serve coraggio. Essere diversi dalla massa consumista, veterocapitalista, materialista, ignorante, cafona, cialtrona, urlante, banale nelle idee e nei comportamenti, dannosa perché nemica di sé e degli altri, è il risultato dello studio, della cultura, della sensibilità, della misura, della durezza quando serve, ma altrimenti della mansuetudine, della comprensione e della mancanza di bisogni da soddisfare con la rivalsa e con la vendetta. Questa cultura nel suo complesso si sta estinguendo. E questo è molto preoccupante.
Pensi che la politica istituzionale possa dare delle risposte ai problemi reali del paese o ci sono alternative percorribili al di fuori della politica istituzionale?
Un Paese è fatto di regole comuni. Servono, vanno migliorate, soprattutto fatte rispettare. I poteri fondamentali, legislativo, esecutivo, giudiziario, dell’informazione vanno difesi ad oltranza, sempre, senza mezze misure. Sono l’unica vera profonda garanzia del vivere comune. Ogni deroga viene sempre proposta da un nemico della collettività. Per questo, un Paese ha bisogno di politici che lavorino, possibilmente in modo professionale. Mi pare che ne abbiamo pochi. Tra disonestà e mancanza di commitment, direi che siamo davvero mal messi. Motivazione e preparazione dovrebbero essere date per scontate, ma non è così. E tuttavia, deve essere chiaro che le persone comuni non stanno facendo la loro parte. Per nulla. Io, da cittadino, devo ammettere che sono molto più deluso dalle persone che dai loro rappresentanti politici. Alla fine, se si osserva, i politici la loro parte la fanno, su tante, tantissime cose. Certo, si potrebbe fare molto meglio, ma lavorano e producono, la macchina dello Stato va malino ma funziona. E noi? Le persone? Dalla differenziata, all’omologazione dei comportamenti che accettano quotidianamente, dai rapporti sociali a come spendiamo il nostro tempo prezioso, che non tornerà… mi pare che facciamo poco per diventare persone migliori. E senza persone migliori non avremo mai un Paese migliore. Il problema del voto non è chi votare, ma chi vota.
In che modo le persone secondo te potrebbero cambiare in meglio la situazione politica e non?
Diventando responsabili. Assumendo come un fatto fondante della loro vita che la società sono loro. Siamo noi l'Italia, come singoli individui. Siamo noi quando inquiniamo il mare pensando “vabbé tanto per un po’ d’olio del motore, che vuoi che sia”; noi quando compriamo oggetti superflui e dannosi spendendo soldi che sostengono un’economia drogata che intossica le nostre vite; siamo noi quando rubiamo tempo e risorse sul lavoro; noi quando cerchiamo la scorciatoia per fare meno fatica; noi quando non ci evolviamo, non studiamo, restiamo ignoranti; noi che ci facciamo esaltare dalle possibilità mediatiche e diciamo quantità di stupidaggini colossali solo perché c’è un social network che ce lo consente e poi inneggiamo alla libertà espressiva del web, senza ricordarci che il primo censore delle nostre presunte opinioni era e resta la nostra salutare vergogna. Sono molto preoccupato dal pur salutare stimolo all’intervento in politica degli individui. Da un lato ne sono felice, perché questo implica azione e sforzo del pensiero. Da un altro mi preoccupo, perché la gran parte di quell’azione è facile, costa un click su un mouse, e fa l’effetto di una massa che vuole cambiare le cose che, invece, non esiste. Quelle stesse partecipazioni sono sul crinale di diventare assenze, abbandoni, distrazioni se qualcuno non si pone il problema di inchiodare quei gesti a precise responsabilità. Un politico che avesse davvero a cuore la nostra società oggi si preoccuperebbe solo di una cosa: come interrompere il processo di decadenza del pensiero, della cultura, dello studio, della riflessione, così come la deriva a sdoganare gente che fino a ieri avrebbe avuto ritegno a dire la propria, persone che oggi si sentono di poter aprire bocca su ogni tema, con qualunque pretesto. Invocare il presunto pensiero di tutti noi figli del secolo web, sostenere che sia la somma autorità a cui la politica deve riferirsi, dimenticare che la gran parte di questo “popolo” ha per vent’anni eletto e mantenuto al potere Silvio Berlusconi e la sua gomorra morale, e altre accanto a questa, è un suicidio sociale. Se non fosse irriferibile e del tutto scorretto politicamente, oggi bisognerebbe ricordare a quel popolo che prima di avere dei diritti ha dei doveri, verso se stesso, politici ma soprattutto individuali. Io affronterei il problema opposto al voto diretto via web, e cioé il diritto di voto in se stesso. Può chi non è in grado di leggere e comprendere un testo (secondo le ultime ricerche Demopolis sembra che un terzo della popolazione sia in difficoltà a farlo) decidere, votare, contare come tutti, inquinando col suo fraintendimento le decisioni della cosa pubblica? Può chi non conferisce alla propria vita la dignità che deriva dallo studio, dall’evoluzione, dalla responsabilità diretta di fronte alle scelte, avere così tanta voce in capitolo su materie complesse come le grandi scelte etiche che ci attendono, dalle cellule staminali fino al suicidio assistito, passando per l’energia, l’ambiente, la relazione sociale, culturale, politica con il sud del Mediterraneo?
Quali sono i maggiori problemi che andrebbero affrontati in Italia e come provare a risolverli?
Il primo e fondamentale: questo Paese sta deperendo culturalmente, occorre intervenire con priorità massima e senza alcun atteggiamento tecnocratico, ma accademico, in senso etimologico. Poi gli altri: manca una scelta di modello di sviluppo a cui ispirare tutte le decisioni, e data l’urgenza delle condizioni del nostro pianeta e della bolla finanziaria mondiale questa non può che essere indirizzata alla resilienza, alla tutela dell’ambiente, alla riduzione dei consumi, alla pulizia e restauro del territorio, alla salute che deriva dalle modalità alimentari produttive e del consumo; occorre creare posti di lavoro da cinque o sei ore al massimo al giorno, allargando la base del lavoro a tutti con riduzione del tempo di lavoro e redistribuzione del reddito impedendo megastipendi e alzando la soglia minima, ma abolendo una serie di attività e sviluppandone altre; occorre creare sviluppo, attività e lavoro dando il via a un’enorme opera di riconversione energetica dalle fonti inquinanti a quelle rinnovabili, un altrettanto enorme opera di recupero edilizio e riqualificazione dei centri in decadenza, dei paesi, dei borghi, con inversione della tendenza all’inurbamento cittadino a vantaggio dell’urbanizzazione territoriale. Occorre dare il via a una campagna sociale volta al recupero e alla diffusione delle tecniche artigianali, orientando le persone all’autoproduzione, alla riduzione del consumo e della produzione di rifiuti, al cambiamento d’uso, all’autocostruzione. E via così, potrei continuare per un centinaio di pagine…. E non è detto che non lo faccia prima o dopo. Sostanzialmente quindi lavorare meno, suddividendo l’attuale ricettività lavorativa tra tutti, ma soprattutto facendo cose diverse con un obiettivo diverso. Io avevo un ottimo lavoro, una bella carriera. Me ne sono andato, perché quello non generava benessere. Il lavoro può generare benessere, occorre cambiarlo.
Un tema molto forte della campagna elettorale è quello relativo all’immigrazione, tu come affronteresti questo tema anche attraverso la tua esperienza di Mediterranea dove toccate con mano questi aspetti visto che approdate anche in paesi di forte immigrazione?
Di fronte alle cose modificabili occorre sempre agire per cambiarle. I Paesi da cui quella gente fugge con tristezza, paura e nostalgia, sono paesi dove spesso agiscono ingiustizie e dittature che noi ignoriamo, o contribuiamo a sostenere. Occorre prima di tutto lavorare perché, nel rispetto delle storie di quei paesi, si aiuti qualunque territorio del mondo a rispettare i diritti umani, a fare sviluppo sensato, impedendo il traffico delle armi. E’ tempo, come nel ‘600 per la schiavitù e nell’800 per la pirateria, che si metta al bando l’industria delle armi, si promulghi una carta he rende illegale il concetto stesso di arma per offendere. Poi occorre organizzare il salvataggio in mare al meglio e costruire le migliori condizioni di accoglienza per chi soffre, sottraendo all’industria degli schiavi il materiale per lucrare sulle disgrazie. Filtro non vuol dire ingiustizia, e se è possibile immaginare un filtro questo deve essere orientato alla legalità, all’equità, alla collaborazione e alla solidarietà. C’era un tempo, anche recente, che le affermazioni di stampo razzista restavano strozzate nella gola di chi aveva la tentazione di enunciarle. Era un’Italia migliore, in cui la riprovazione ambientale verso alcune cose era palpabile, diffusa. Oggi, grazie a qualche sconsiderato, nessuno ha più ritegno nel dire cose che sono contro la nostra idea di vivere sociale, contro la nostra cultura mediterranea, contro la carta fondamentale dei diritti dell'uomo.
Credi che attraverso internet si possano attuare dei reali e profondi cambiamenti in positivo?
Qualunque media a cui si attribuisca un valore non meramente strumentale, viene sopravvalutato. Un ignorante off line su internet diventa solo un ignorante on line, solo che invece di un sasso in mano ha un M70. Internet rivela, propaga, moltiplica quel che siamo, non ci rende né migliori né peggiori. La fede nel web come panacea, come garante, è folle. Vivremo una fase di rigetto di questa cultura tecnocratica. Il mondo si spaccherà, il digital divide diventerà social divide, cultural divide, e saranno guai. Non siamo diventati migliori col telefono, e neppure con la radio o la televisione. Se la televisione ci ha migliorati è stato perché in essa si parlava in italiano di fronte a un paese analfabeta, e così abbiamo parlato tutti in pochi decenni la stessa lingua. Su internet si corre il pericolo opposto, da popolo dotato di valori comuni, di comuni punti di riferimento, stiamo diventando massa che non ha più alcun caposaldo del vivere comune, perché sul trono del web possiamo mettere, a scelta, il re che vogliamo, subito pronti a diventarne suddito. Manca la capacità critica, la capacità di decodificare che uno strumento così potente implicherebbe. L’unica cosa positiva è la circolazione dell’informazione e l’accesso alla cultura, ma perché questo fosse del tutto vero, dovremmo controllare le fonti. Serve un organismo (che pure è impossibile immaginare) che garantisca ciò che oggi è in grande misura fuori controllo. Sono molto preoccupato. Le persone non studiano e non leggono, sono portatrici sane di ignoranza e internet serve in grande misura a propagare il virus.
Dato che sei un esperto di comunicazione, secondo te quali sono oggi i migliori e più efficaci mezzi di comunicazione?
Il miglior strumento di comunicazione è e resta da millenni la capacità di pensiero. Il media cambia, l’uomo resta lo stesso. Quando lo strumento si evolve, si rischia solo di fare più danni. Io mi preoccuperei più di cosa veicoliamo di come lo facciamo. La comunicazione via web in mani responsabili diventa uno strumento potentissimo di miglioramento del mondo. Un somaro di fronte a un computer è come una granata senza spoletta lanciata in un mercato. Come sappiamo, però, i somari persuasivi trovano molti più proseliti delle persone intelligenti, perché il somaro furbo e persuasivo dice agli ascoltatori, in cambio del loro fittizio consenso, quello che loro vogliono sentirsi dire, mentre chi ha intelletto e idee dice agli ascoltatori, pena il dissenso, ciò che loro odiano sentirsi sbattere in faccia.
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