L’articolo è tratto dalla rubrica “Taglio Laser” che Giovanni Maria Lazzaretti tiene su “La Voce di Reggio”.
Vi proponiamo anche l’originale “prologo” sulle fake news, buona introduzione alle riflessioni che seguono.
Gli sceneggiatori sono stanchi
«Sabato 1 aprile, ore 21, divano di casa. Moglie in attesa del colpo di sonno, marito in attesa di un episodio di Hercule Poirot. Nel frattempo bivacchiamo su Rainews 24 dove scorrono le notizie.
«Terremoto 5,3! Ma poveretti, non c’è pace!»
«Anche la solidarietà della Merkel, dev’essere una cosa grossa!»
«Rischio di slavine. C’è ancora neve al centro-sud.»
«Crollato il campanile di Sant’Agostino? Ma non era già crollato?».
E avanti così, in attesa di vedere qualche immagine.
«Coppa Italia, Sassuolo-Cesena 1-2. No, ferma tutto». Vado a vedere su Internet: sono le notizie del 18 gennaio, non dell’1 aprile. Errore tecnico o pesce d’aprile? Fatto sta che la vicenda mi ha fatto meditare sulle cosiddette “fake news”.
Non ci siamo accorti subito che le notizie erano sbagliate. Che ci fosse un nuovo terremoto purtroppo non era impossibile. Possibile anche la solidarietà della Merkel (la solidarietà a parole non ha costi). Qualche dubbio su Sant’Agostino (era già crollato? Ci ricordavamo il nome giusto?). Cozzano contro la logica le slavine in aprile o sono possibili? Ma arriva Sassuolo-Cesena e cessano i dubbi. Attenzione: cessano i dubbi a me, perché più o meno seguo il calcio; a mia moglie la cosa non avrebbe detto nulla.
Avere un vasto archivio di notizie certe, tenere viva la memoria, usare molto la logica: questi sono gli antidoti principali contro le fake news.
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7 giugno 2011. «Arrestata in Siria la blogger di “A gay girl in Damascus”». «Era la voce della libertà in un Paese in cui ogni diritto è calpestato. Era una donna, era lesbica. Oggi di lei non si sa più nulla. Amina Abdallah Arraf cercava di gridare al mondo il disagio e i soprusi che le persone ogni giorno vivono in Siria. Lunedì un'auto dei servizi segreti l'ha prelevata e di lei si è persa ogni traccia.»
12 giugno 2011. Gli onesti (ad esempio Francesca Paci su La Stampa) devono fare retromarcia: «Chi scrive è stata in contatto mail con Amina fino a lunedì, con scambi regolari e sempre più intimi al limite dell’amicizia. Secondo le informazioni raccolte la ragazza sarebbe una trentacinquenne probabilmente omosessuale con origini mediorientali, ma residente in Scozia. Ci scusiamo anche noi, che pur conoscendo a fondo la Siria, dipendiamo ora da informazioni digitali per l’impossibilità di tornare nel Paese.»
Francesca Paci ha due meriti. Il primo: ha scritto “ci scusiamo”, cosa rara per un giornalista. Il secondo: “dipendiamo da informazioni digitali”, ossia, detto in altri termini, non abbiamo nessuna notizia da darvi. Immagino poi il suo sconcerto quando saltò fuori che la trentacinquenne con la quale aveva “scambi sempre più intimi al limite dell’amicizia” era Tom McMaster, un quarantenne americano che scriveva da Edimburgo. Se un isolato come Tom McMaster ha imbrogliato il sistema mediatico per mesi, pensate sia difficile a chi davvero gestisce l’informazione far circolare come vere delle notizie false?
Ecco allora alcune linee guida per difenderci.
Primo: un video, una foto, non è mai una notizia; chi li usa come notizie vuole spesso trasmetterci il falso.
Secondo: dipendere solo da informazioni digitali equivale a non avere informazioni (quando va bene) o ad avere informazioni false (quando va male).
Terzo: se un’informazione scatena una reazione immediata, le probabilità che sia falsa sono altissime. Perché? Perché una persona con un minimo di cervello prima di agire fa una verifica. E per verificare ci vogliono giorni o mesi. Se invece reagisce subito, significa che vuole cavalcare l’onda emotiva della notizia, e quindi è probabile che la notizia sia stata costruita ad arte.
Quarto: sono preziose le informazioni fornite in tempi non sospetti e riguardanti altri scenari. Ad esempio l’attacco chimico di Saddam ad Halabja nel 1988 provocò, secondo Wikipedia, la morte di 5000 curdi. Seguendo queste linee è possibile costruire una “macro notizia” attendibilesulla Siria.
C’era una volta la Siria, paese che godeva di una relativa pace, di un relativo benessere, di una ragionevole convivenza tra le minoranze, della possibilità di mangiare, curarsi, muoversi, lavorare, studiare, viaggiare, pregare. Un paese senza debiti e senza emigrazione. Il tutto grazie anche a un uomo forte, Bashar al-Assad, che aveva imposto il pugno di ferro sull’islamismo radicale. Oggi la Siria è un paese distrutto e affamato, con 400.000 morti e milioni di sfollati.
In mezzo c’è stata la guerra dell’islamismo radicale contro l’ordine e contro il benessere. Nel remoto inizio ci furono manifestazioni per avere “più democrazia” (come se uno Stato a maggioranza islamica potesse davvero avere una democrazia). Ma la regìa occidentalista (quel mix dove USA, Francia e Gran Bretagna collaborano con paesi dittatoriali della Penisola Arabica) aveva già concepito l’apparizione dei “ribelli moderati” in armi, che cominciarono subito a uccidere e distruggere. Moderati a uso mediatico, islamisti radicali nella realtà.
In Siria gli stanchi sceneggiatori occidentalisti ci ripropongono le solite cose usate per la Libia: il dittatore contro il suo popolo, bombardamenti di ospedali, generici orrori attribuiti ad Assad. E quando la popolazione festeggia la liberazione di Aleppo da parte dell'esercito di Assad, ecco che non sanno più cosa dire e ci propinano la bambina senza famiglia che corre tra le macerie (hashtag #Save_Aleppo). Poco importa che l’immagine sia tratta da un video del 2014 di una cantante libanese. Arriva poi l’attacco “chimico” da 70 morti, ridicolo sia rispetto ai morti totali della guerra di Siria, sia rispetto alla realtà di un vero attacco chimico. Ma ovviamente la responsabilità di Assad è “certa” e Trump tira i missili. Solerte si accoda il nostro Alfano dicendo che la reazione è “proporzionata”: affermazione basata sul nulla, visto che anche Alfano dipende solo da informazioni digitali.
Avendo poi cessato l’uso della logica, per lui l’unica cosa certa è che “Assad se ne deve andare”. Perché mai? Forse la Siria creata da Assad era peggiore della Siria creata da questo orrendo conglomerato di occidentalismo e islamismo?
Nel 2011 un ministro libico commentava: «Una commissione ONU che fosse venuta a vedere cosa stava davvero accadendo il Libia vi sarebbe costata meno del lancio di un solo missile». Vale anche per la Siria.
Ma, perbacco, perché muoversi, studiare, indagare? E’ così comodo stare in poltrona, dipendere da “informazioni digitali”, e ripetere le cose che gli stanchi sceneggiatori hollywoodiani ci dicono di credere.
«La presidenza siriana sostiene che quanto fatto dall’America è un atto irresponsabile che riflette una cecità politica e militare frutto di una frenetica campagna di propaganda.» (Asma, moglie di Assad, cittadina britannica, su Instagram). «Se Asma continuerà a difendere le azioni del regime di Assad, il peso della responsabilità del governo britannico sarà quello di privarla della sua cittadinanza per garantire che le sue azioni non provochino gravi danni agli interessi del Regno Unito» (lettera di deputati britannici al Ministero dell’Interno).
Buffo vero? Una persona dice la verità, e i “democratici” britannici le vogliono togliere la cittadinanza. Però almeno adesso sappiamo che il Regno Unito in Siria ha degli “interessi”. Quali saranno mai? Credo che si possano sintetizzare così: «Un paese che non si indebita fa rabbia agli usurai». La finanza internazionale vuole sempre degli “Stati mendicanti” che hanno bisogno dei loro soldi. Uno Stato che riesce a farcela da solo prima o poi finisce male. Non so se è una regola generale, di certo è accaduto in Libia e in Siria.