di
Daniela Sciarra
16-11-2010
Implementare la produzione agricola senza ricorrere all’ingegneria genetica e riducendo l’impiego di sostanze chimiche di sintesi e il consumo di acqua. Sono questi gli obiettivi del sistema di produzione per l’intensificazione del riso (SRI) messo a punto dal Professor Norman Uphoff, docente della Cornell University, che vorrebbe dare una risposta alla crisi alimentare globale.
In un momento in cui la spesa agricola diventa sempre più onerosa (soprattutto per i piccoli produttori del sud del mondo), la popolazione continua a crescere, il numero di persone che soffre di fame è di 925 milioni e le risorse naturali diventano sempre più scarse, il settore agricolo trova nell’innovazione tecnologica e nella tutela dell’ambiente il volano per cambiare rotta cercando di migliorare la qualità della vita delle popolazioni dei Paesi più poveri, che più di tutte soffrono la crisi alimentare.
Produrre riso, alimento base per le popolazioni di molti Paesi in via di sviluppo, con un minor consumo d’acqua, meno fertilizzanti e sostanze chimiche di sintesi, è il presupposto del metodo di coltivazione chiamato 'Sistema per l’intensificazione del riso (RSI)' e messo a punto dal professore Norman T. Uphoff, docente della Cornell University, che si è posto il problema di come risolvere la crisi alimentare globale, senza ricorrere all’ingegneria genetica.
Senza chiamare in causa le motivazioni geopolitiche di quella che viene chiamata 'crisi alimentare globale' o 'fame nel mondo', questo metodo punta comunque più sulla qualità della pianta che sulla quantità, partendo dal presupposto che una pianta che ha più spazio per crescere produce di più di due piante che crescono nello stesso spazio.
La tecnica del professor Uphoff è stata adottata ad oggi già da un milione di agricoltori, e in alcuni paesi dell’India, ma anche in Madacascar, Cambogia, Laos ha dato degli ottimi risultati. Alcuni produttori hanno evidenziato infatti come sia possibile produrre di più mettendo un minor numero di piante in campo e ad una distanza maggiore tra loro di quanto si fa normalmente. Si utilizza meno acqua perché i campi sono allagati e ben drenati, si fertilizza con letame, si rimuovono le erbacce e si fa arieggiare il terreno con un semplice strumento. Il che riduce il costo dei pesticidi che pertanto non vengono impiegati con indubbi vantaggi per la salubrità dell’ambiente.
Tuttavia, fino a quando non ci saranno delle risposte sull’efficacia del metodo su larga scala, il confronto tra favorevoli e contrari al metodo resterà sempre molto acceso. Intanto, il WWF e l’Istituto mondiale per la ricerca in agricoltura (ICRISAT) sottolineano che questo metodo evidenzia come gli agricoltori possono ottenere di più con meno, andando contro quello che gli esperti hanno detto per anni.
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