di
Virginia Greco
13-09-2010
In seguito al decreto legislativo 188 del 2008 il CoBat non è più l’unico consorzio italiano preposto alla raccolta e all’avvio dello smaltimento e del riciclo delle batterie esauste. Il panorama è cambiato, ma il consorzio mantiene il primato a livello nazionale e persino europeo. Per l'utente finale il processo resta semplice e a costo limitato. Parola di Giancarlo Morandi, presidente CoBat, che abbiamo intervistato.
Nel 2006 la Comunità Europea ha emanato una direttiva - concernente le pile, le batterie e gli accumulatori - che prevede l’obbligo per i produttori dei medesimi di occuparsi della raccolta, lo smaltimento e il riciclo dei dispositivi esausti. Questi contengono infatti delle sostanze altamente inquinanti e fortemente nocive per l’ambiente, qualora dovessero in esso liberarsi. È pertanto assolutamente necessario smaltirli in maniera opportuna e riciclarne i componenti ogni qual volta ciò è possibile.
Il miglior modo per garantire un tale obiettivo è evidentemente quello di far sì che siano i medesimi produttori ad occuparsene (anche se ovviamente questo comporta un modesto aumento del prezzo al dettaglio dei dispositivi).
La direttiva europea è stata accolta in Italia dal decreto legislativo 188 del 2008. Ma di fatto nel nostro paese esisteva già un organismo che si occupava della raccolta, del trattamento e del riciclo o rifiuto finali: si tratta del CoBat, che da Consorzio Obbligatorio Batterie Esauste è poi passato ad essere Consorzio Nazionale Batterie Esauste. Le aziende produttrici pagavano, per ogni dispositivo immesso sul mercato, un 'contributo ambientale' che andava al Consorzio, il quale effettuava il recupero di pile ed accumulatori (al piombo) e il loro avvio allo smaltimento.
La nuova normativa attribuisce ai produttori la responsabilità diretta del trattamento dei dispositivi a fine vita. Essi possono occuparsi in prima persona della raccolta e dello smaltimento/riciclo, oppure delegare a un organismo esterno specializzato.
Di conseguenza il CoBat non è più l’unico ente autorizzato a svolgere tale compito, bensì si è aperta la strada a possibili 'concorrenti'.
Per conoscere meglio la situazione attuale e il lavoro svolto dal CoBat, abbiamo intervistato il suo presidente, Giancarlo Morandi.
Cosa è cambiato per il CoBat dopo il decreto del 2008?
Il CoBat di fatto continua a svolgere il lavoro che faceva in precedenza, ciò che è mutato è il panorama al di fuori: mentre prima esso era l’unica struttura ad aver organizzato la raccolta delle batterie usate e il loro riciclo, oggi ci sono circa 20 sistemi di raccolta che si sono registrati alla camera di commercio per poter effettuate questo lavoro. Però il nostro consorzio, che ha sempre raccolto quasi il 100% dell’immesso al consumo, ancora oggi recupera circa l’80% delle batterie di scarico prodotte. Dal punto di vista della quantità del lavoro e dei risultati, dunque, è cambiato poco.
È cambiato poco anche per quanto concerne il rientro economico?
Sul lato economico l’inquadramento della situazione è differente. Prima del decreto 2008 il Consorzio era unico e obbligatorio, quindi tutti gli operatori della filiera dovevano essere ad esso iscritti e versare l’eco-contributo. Oggi i produttori e gli importatori sono i responsabili della raccolta a fine vita dei loro dispositivi. Quelli iscritti al CoBat sono circa il 65% del totale immesso al mercato (non il 100% come una volta), quindi l’eco-contributo che oggi riceviamo è sicuramente inferiore.
Bisogna però dire che, se il prezzo del piombo è alto nelle quotazioni internazionali, come è successo negli ultimi anni (salvo subito dopo la crisi del 2008), la raccolta e il riciclo si pagano praticamente con il metallo che si recupera dai dispositivi esauriti tramite lavorazione industriale. Pertanto l’andamento economico effettivo del Cobat non è cambiato, cioè non ne ha risentito in senso negativo, ma ovviamente nemmeno positivo: possiamo dire che è rimasto praticamente uguale.
Quali parti della batteria si recuperano e come si riciclano?
La batteria al piombo tradizionale è composta da un involucro di plastica e poi da elettrodi, costituiti da una trama di piombo metallico ricoperta da solfati e ossidi di piombo, immersa in acido solforico. Gli elettrodi sono separati tra di loro da elementi di plastica, che si chiamano appunto 'separatori', i quali impediscono ad anodo e catodo - ossia poli positivo e negativo - di entrare in contatto direttamente e generare un corto circuito.
La batteria viene praticamente triturata e scissa meccanicamente nei vari componenti, ossia la plastica della scatola, la plastica che separa gli elettrodi, che è diversa da quella della scatola (la quale è in polipropilene), il piombo metallico e i composti del piombo, solfati ed ossidi.
I vari componenti hanno un tracciato diverso all’interno degli stabilimenti delle industrie che li riciclano, ma noi recuperiamo tutto: tutta la plastica, la parte in piombo e, con dei processi metallurgici complicati, anche l'ossido e i solfati.
Quindi siamo ad un recupero del 100%?
Sì, praticamente è un recupero quasi del 100%. Restano solo gli scarti di piombo, che rimangono nei fanghi di lavorazione. Infatti per il trattamento e l’affinamento all’interno dei forni si introducono delle altre sostanze, che poi trascinano con se piccole percentuali di piombo.
Quando il CoBat nasce come consorzio?
Nel 1988, per una legge del parlamento italiano. Non era l’unico consorzio al mondo perché anche in altri paesi nacquero dei consorzi per il recupero delle batterie usate, ma possiamo dire di essere quello che al mondo ha raccolto la maggior quantità di batterie rispetto all’immesso sul mercato, con un costo estremamente basso per il consumatore. In seguito alla direttiva europea del 2006, recepita in Italia nel 2008 con un decreto legislativo, si sono formati gli altri consorzi.
E al giorno d’oggi il CoBat, nel panorama europeo, vanta ancora un primato?
L’Italia nella raccolta delle batterie al piombo esauste è la prima al mondo ed è un primato che ci viene riconosciuto nel settore. Oggi, sotto la spinta della direttiva europea, negli altri paesi si sono moltiplicati i consorzi simili al nostro, che però non hanno avuto ancora il tempo di organizzarsi perfettamente e di dare i risultati che noi ormai in Italia stiamo dando da 15 anni.
Esiste anche un rapporto di collaborazione tra i vari consorzi oppure ogni Paese opera separatamente?
In generale ogni Paese opera per conto proprio, però abbiamo dei momenti di contatto nei convegni internazionali sul riciclo delle batterie, quindi conosciamo il panorama internazionale.
L’utente che deve smaltire una batteria cosa deve fare, quindi, e a quali costi va incontro?
Il CoBat ha un numero verde che l’utente può chiamare ed entro due settimane dal contatto un nostro raccoglitore si presenta a prelevare il dispositivo, in modo del tutto gratuito per l’utente. Ciò è possibile proprio perché tutto il meccanismo di raccolta si paga con la vendita del piombo recuperato. Dunque per l’utente c’è un sevizio perfetto e a costo zero.
Ovviamente il costo nullo è qui riferito al servizio finale di raccolta; in realtà, come già scritto, l’onere economico dello smaltimento e riciclo è già contenuto nel prezzo del prodotto nuovo. Si tratta comunque di un rialzo modesto, per altro già presente prima del decreto del 2008.