di
Andrea Romeo
02-03-2012
I mezzi di comunicazione di massa, prima fra tutti la televisione, continuano a promuovere il consumo esasperato di prodotti di origine animale. Quali le conseguenze?
Appena pochi mesi fa la LAV ha denunciato la multinazionale degli omogeneizzati Mellin per aver mandato in onda, attraverso i media nazionali, uno spot pubblicitario che consigliava alle giovani mamme di nutrire i propri piccoli con prodotti a base di carne 'essenziale alla crescita del figlio' come lo spot recitava. La LAV ha vinto la causa, prova del fatto che la pubblicità della Mellin era fuorviante, così che la multinazionale ha ritirato lo spot dai media.
Per gli animalisti questa è stata una grande vittoria con cui hanno dimostrato l'assoluta infondatezza di chi sostiene che la carne sia necessaria in età puerile. L'uomo non ha bisogno né di carne né di derivati animali, né in età puerile, né dopo.
Eppure, se si dà un'occhiata ai media di massa, si osserva come imperterriti questi mandino in onda spot di prodotti quasi solo ed esclusivamente di origine animale sostenendo che essi siano essenziali. Gli esempi sono molti, a cominciare da un'altra assurda pubblicità: la multinazionale in questione stavolta si chiama Danone, e nello schermo vediamo Stefania Sandrelli consigliare all'Italia intera di assumere il DanaOs perché, sostiene lo spot, “in Italia le donne non assumono abbastanza calcio”: così accade che la gente, che già consuma quantità irrazionali di derivati animali, preoccupata che il proprio femore possa spezzarsi da un momento all'altro, aumenti ulteriormente il dosaggio, nonostante il mito della correlazione latte-calcio sia stato sfatato ormai da tempo.
Ne ha parlato (stranamente) anche la dottoressa Anna Villarini nella trasmissione televisiva Elisir di Michele Mirabella poco tempo fa, dove ha denunciato (con visione ovviamente antropocentrica) che il consumo di latte (e derivati), a causa della mancanza di enzimi come il lattasi e la rennina dopo lo svezzamento, promuove coliti, indebolisce le ossa e causa l'osteoporosi, oltre infine a creare dipendenza in quanto la sua assunzione produce endorfine.
Eppure i messaggi pubblicitari continuano imperterriti a manipolare le persone con false notizie, assillando le masse per persuaderle ad un consumo esasperato di prodotti animali. Se facessimo una carrellata di tutte le pubblicità a cui abbiamo assistito negli ultimi trent'anni, dalla diffusione delle reti commerciali, vedremmo una schiera enorme di 'vip' italiani affiancati a prodotti di origine animale.
Spot come quello del latte Parmalat in cui la parola 'latte' viene ripetuta circa 40 volte in appena 50 secondi, nella famosa filastrocca usata ex ante in un film di Totò e Peppino 'bevete più latte, il latte fa bene, il latte conviene, a tutte le età…'. Vedremmo Sofia Loren con il suo Parmacotto recitare 'e accatateville'; Cristian De Sica, l'attore dei film natalizi, nel ruolo di salumiere; Gene Gnocchi adulare insaccati con la sua 'accattivante ironia'; Roberto Baggio bere latte circondato da vacche aggraziate... e la lista continua.
È improbabile trovare un minimo di contro informazione nelle reti nazionali, se non in rari casi come quella puntata di Report dal titolo Carne per tutti, trasmissione seguita da una nicchia di pochi fedeli: la tematica venne in ogni caso affrontata in modo superficiale, orientando gli spettatori (come sempre nonostante le varie 'mucche pazze') verso il consumo biologico, mantenendo in parole povere lo status quo dato che il consumo di prodotti animali veniva comunque 'normalizzato'.
Il giorno dopo le TV erano di nuovo puntate sulle masse sparando loro una mole enorme di messaggi che pubblicizzavano prodotti industriali carichi di derivati animali (dai biscotti all'uovo ai bastoncini Findus), stimolando un consumo ancora superiore a quello già gigantesco al quale ci hanno abituati in questi ultimi anni le varie industrie della carne. Non curanti degli effetti che questo modello ha sulla nostra salute (si pensi agli studi sulla correlazione tra cancro e consumo di carne), sull'economia e sull'ambiente, la situazione va avanti da circa 50 anni: la Natura prima o poi ci porterà il conto da pagare.
Tranne qualche raro caso, la TV italiana è praticamente gestita da gente tutta intenta a mostrare come preparare manicaretti con i corpi smembrati di bestiole (come nella celebre trasmissione La prova del cuoco), oppure a seppellire i lontani macelli con apollinee immagini che ritraggono animali felici. Persino quelli che si proclamano difensori e portavoce degli animali, personaggi come Edoardo Stoppa e Licia Colò, in realtà sono ben lungi dal far qualcosa di veramente concreto onde orientare i propri 'seguaci' verso uno stile di vita meno efferato ed invasivo.
In parole povere, qualcuno ha voluto che gli italiani, ad un tratto, cominciassero ad ingozzarsi di prodotti animali, e sono ben riusciti nell'intento dato che il consumo di questi è aumentato di circa 8 volte negli ultimi cinquant'anni (12 kg di carne l'anno a persona nell'Italia rurale - 90kg l'anno a persona oggi), a prescindere dal reale bisogno, e questo processo continua tuttora. Se non fosse per le campagne fatte via rete, i media tradizionali continuerebbero ad istigare le masse ad un consumo massiccio di prodotti animali, attraverso allarmanti messaggi propinati dai loro vip, come nel caso della pubblicità del DanaOs citata ut supra. Qual è il meccanismo che ha portato ad un incremento così elevato di consumo di animali? E a che pro?
Innanzitutto ha giocato un ruolo essenziale la tradizione. In una società come la nostra, in cui mangiar maiale o vacca è normale sin dai tempi dei romani, è bastato semplicemente allontanare l'uccisione delle 'bestie' dalla vista dei 'consumatori', sostituire questa macabra scena (unico ostacolo al consumo) con simpatici balletti e orecchiabili musiche, per portar infine loro il 'prodotto' bello e finito. Nelle politiche (e pratiche) capitaliste non sono previste etiche particolari, ma l'unica cosa che conta è il mercato e la produzione di merci e, ovviamente, il capitale: così se lavoratori e consumatori diventano numeri, in una società antropocentrica gli animali non possono che essere 'cose'.
L'Italia del dopoguerra, stremata dalla fame, aveva bisogno di prove concrete dal nuovo modello economico e politico che andava instaurandosi. La carne è sempre stata considerata un simbolo d'opulenza dal popolo, un alimento per ricchi. Ad un tratto, grazie alla produzione massiccia di carne, alle masse è stata data l'illusione di una ricchezza concreta, di una classe dirigente che stava attuando vere e proprie politiche sociali di distribuzione delle ricchezze.
Fino alla fine degli anni '70 il consumo di carne era rimasto comunque contenuto entro confini ancora 'accettabili'. Ad un tratto questa prolifera industria ha iniziato a bombardare sempre più la gente, usando anche scienziati asserviti dato che il vegetarianismo era conosciuto dai tempi dei tempi. Filosofi come Piero Martinetti già agli inizi del 900' facevano veg-proselitismo, per non parlare dei secolari gruppi monastici dediti al vegetarianismo, come i catari tanto per citarne uno: perché tale reticenza da parte dei media? Perché la scienza ha eluso (ed elude) queste millenarie tradizioni?
In breve tradizione da un lato e modello industriale dall'altro hanno cooperato per l'ascesa della cultura della carne, modello che ha mutato la dieta italiana, la mitica dieta mediterranea che, per forza di cose, era a base vegetale prima dell'avvento del capitalismo e degli allevamenti intensivi, per il vantaggio di pochi. Le nuove generazioni hanno raramente visto le macellazioni, un tempo normali, diventando un popolo di atarassici che vedono la carne come 'cosa', figli dell'ingordigia e della concupiscenza. Allo stesso modo, grazie alla rete, dopo estenuanti elucubrazioni, molta gente è riuscita a riconnettere la bistecca all'uccisione dell'animale, determinando lo smascheramento di questa cruenta realtà e quindi idiosincratiche astensioni ed un conseguente aumento del numero di veg(etari)ani.
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