Che fine faranno i 'barbari' di Baricco? Sulla scomparsa della profondità

La vita dell'uomo contemporaneo si svolge prevalentemente 'in superficie' fatta di impulsi radicati nel 'qui e ora' e di collegamenti istantanei continuamente alimentati dalla società dei consumi. Ma che cosa c'è da collegare? E, soprattutto, che fine fa la profondità del pensiero razionale?

Che fine faranno i 'barbari' di Baricco? Sulla scomparsa della profondità
Sul numero di settembre di Wired è comparsa una lunga lettera di Alessandro Baricco intitolata '2026. La vittoria dei Barbari'. Consiglio di leggere l' articolo a cui mi riferisco. Per chi non avesse tempo o voglia, lo riassumerò qui brevemente. Egli immagina di trovarsi nel 2026. La trasformazione antropologica iniziata sul finire degli anni sessanta e ad oggi – anno 2010 – ancora in atto, è ormai conclusa. Risultato? Una cultura nuova, che ha compiuto uno storico slittamento di senso dalla profondità alla superficie. Proprio così. Secondo Baricco, quel senso nascosto delle cose, quel noumeno che per secoli la tradizione del pensiero occidentale ha posto al di là del mondo apparente, si è rivelato finalmente per quello che è: una chimera, 'un'illusione ottica'. Il verdetto è che non esiste la profondità, non vi è nessun significato nascosto. Che la vita dell'uomo moderno si svolga quasi esclusivamente sulla superficie, fatta di impulsi brevissimi e di velocità, è un dato di fatto. Ciò che di sorprendente sostiene lo scrittore è che a questa abolizione della profondità non corrisponderebbe nessuna perdita. Si tratterebbe piuttosto dello smascheramento di un inganno storico e della rivelazione della verità finale: "la superficie è tutto. In essa è scritto il senso". Partiamo con una premessa. La mutazione antropologica cui si fa riferimento, che a quanto pare si sarà conclusa nel 2026, è quella iniziata quarant'anni fa con l'instaurarsi della società dei consumi. Si tratta di quel cambiamento improvviso e radicale che Pasolini chiamava "la prima grande rivoluzione di destra", che spazzò via di colpo una manciata di culture popolari che da secoli facevano da contraltare alla cultura borghese e maggioritaria: quella contadina, quella del sottoproletariato urbano ecc. Si trattava di culture principalmente orali e fattuali, basate sul saper fare più che sul sapere. Prendiamo ad esempio la cultura contadina: fare il pane, mietere e raccogliere il grano erano riti pagani collettivi che scandivano i ritmi delle giornate, segnavano l'alternarsi delle stagioni. Si potrebbe obbiettare che queste antiche arti non sono andate perse; che anzi esse vivono al giorno d'oggi una riscoperta, una nuova giovinezza. Questo è vero solo in apparenza. Infatti, per quanto in molti, sempre di più – e con sforzo ammirevole – si impegnino ad apprendere i segreti della pasta fatta in casa, o le ricette dei dolci tradizionali, essi stanno in realtà assimilando solo la scorza di quei riti antichi. Apprendono l'involucro, svuotato di tutta la parte rituale; manca quel contenuto di valori che attraverso le arti veniva trasmesso di generazione in generazione. Si impara a fare il pane come si può imparare a fare Yoga o a praticare buddismo. Involucri appunto, svuotati del loro significato profondo. Si apprende, in sostanza, la superficie. Già questo basterebbe a smentire la tesi dello scrittore che non vi è stata alcuna perdita. Ma proseguiamo. La rivoluzione consumistica è dunque la causa prima della scomparsa della profondità. Proviamo a capire perché. In una società preconsumistica – che il sociologo Bauman chiama 'modernità solida' in contrapposizione all'attuale 'modernità liquida' – gli schemi sociali ed i legami ad essi sottesi sono qualcosa di estremamente rigido. La società nel suo complesso viene percepita come qualcosa di pesante e immodificabile, una gabbia rigida in cui inserire la propria esistenza badando bene a non oltrepassare i limiti precostituiti. In questo tipo di società la profondità aveva un significato funzionale: serviva a fissare bene i concetti, ad ancorarli alle sue stesse griglie rigide, a renderli stabili e immodificabili al pari della società stessa. Una società stabile aveva bisogno di idee stabili e razionali. Ma ecco che d'improvviso cambia tutto. L'irrompere della modernità liquida scioglie le griglie sociali, liquefà istituzioni e burocrazia, polverizza i rapporti sociali. E si trascina dietro, nella sua foga distruttrice, anche la profondità. Perché? Perché al pari degli altri aspetti citati la profondità è un ostacolo all'agire dell'individuo nella società dei consumi. Un ostacolo persino doppio. È un freno per l'individuo, perché la profondità ha bisogno di tempo e riflessione mentre la società moderna è in continuo mutamento, ed egli immerso in questo suo sforzo contemplativo rischierebbe di restare irrimediabilmente indietro, analizzando un quadro che già non esiste più; ed è un freno per la società stessa (dei consumi), che ha bisogno di individui che agiscano d'istinto, facciano scelte immediate sulla base di pochi dati razionali ed una forte carica emotiva (su questo si basa il meccanismo della pubblicità). Si immagini cosa accadrebbe se ogni scelta di consumo ci fosse dettata da un'analisi approfondita delle nostre necessità: probabilmente ci accorgeremmo che non abbiamo bisogno della quasi totalità delle cose che acquistiamo e finiremmo, razionalmente, col non acquistarle. E quali sono le conseguenze della scomparsa della profondità? Ha probabilmente ragione Baricco nel dire che l'uomo moderno ha la strabiliante – e inedita – capacità di spostarsi e collegare frammenti rapidissimamente; "si muove sulla superficie con una velocità e un talento che gli umani non hanno mai conosciuto". Ma ciò che lo scrittore dimentica nella sua apologia della superficie, è che esistono molte altre conseguenze non altrettanto entusiasmanti. Partiamo dal fatto che la profondità di cui l'era post-moderna sembra essersi liberata come di un pesante fardello non riguarda solo il pensiero. La profondità è stata abolita – per gli stessi motivi di cui sopra – dalla vita in generale, in primis dai rapporti sociali, che hanno visto legami stabili e duraturi trasformarsi via via in legami saltuari, che si instaurano al combaciare delle esigenze individuali e si interrompono al loro divergere. Sono andati così scomparendo i rapporti di vicinato, basati su codici sociali cristallizzati e ripetitivi, inadatti ad affrontare l'impatto con la modernità liquida, ed anche l'istituzione familiare sembra destinata a scomparire. Ne risulta un popolo le cui opinioni non sono più cristallizzate ma fluide ed in continuo mutamento. Un popolo inerme e facilmente manipolabile, in cui la coesione sociale può consistere solo in un momentaneo, parziale, allineamento degli interessi individuali. Infine c'è un ultimo punto che a me pare il più grave. La superficie è un luogo fatto di qui ed ora; viverla significa vivere sempre l'attimo presente, prendere decisioni immediate sulla base dei pochi dati percepiti dai nostri sensi in quell'istante. È vero, l'uomo moderno ha un talento innato nel fare collegamenti, ma cosa collega? Collega frammenti le cui connessioni si trovano appunto sulla membrana scivolosa della superficie. Collegamenti, dunque, che sono immediatamente evidenti nell'attimo presente, che emergono sul pelo dell'acqua come maglie di una rete. Sono tali collegamenti, immediati ed impulsivi come sinapsi, che stanno alla base alle decisioni e alle azioni dell'uomo moderno. La domanda è: cosa accade invece per quei collegamenti che se ne stanno nascosti, che legano oggetti e fenomeni lontani fra loro, ed emergono solo attraverso un'accurata analisi della profondità? Con ogni probabilità sono destinati a scomparire e, in un certo senso, sono già scomparsi. Cercherò di spiegarmi meglio. Ci sono collegamenti e nessi che corrono come rotaie sulla superficie. Sono collegamenti immediati fra azioni che ricadono tutte nella nostra esperienza sensoriale. Se poggio il dito su un pruno, so che mi pungerò. Ugualmente se offendo qualcuno so che probabilmente questi se la prenderà, o reagirà offendendomi a sua volta. Ho fatto due esempi banali ma esistono miliardi di nessi del genere anche molto più complessi. La cosa che li accomuna tutti è l'intuitività e il fatto che sia la causa che la conseguenza ricadono nella nostra sfera sensoriale. È nel cavalcare questi nessi che l'uomo moderno ha sviluppato una velocità ed un'abilità del tutto nuove. Ma ci sono altri tipi di nessi i cui estremi non ricadono (almeno non entrambi) nella nostra percezione immediata. Quasi nessuno di noi, al giorno d'oggi, sarebbe in grado – dal punto di vista emotivo – di uccidere un maiale; quasi trattiamo da assassino quel vecchio zio di campagna che continua ad allevare bestiame per poi farci insaccati e bistecche; ma non abbiamo niente da obiettare davanti ad una braciola di maiale comprata al supermercato. Nessuno sterminerebbe inoffensive tribù dell'Amazzonia, la sola idea di fare del male ad un essere umano ci fa rabbrividire; eppure l'estrazione del petrolio, grazie al quale riforniamo le nostre macchine e ci teniamo caldi l'inverno, ha distrutto l'habitat di intere popolazioni indigene del Sud America. E così via. Il fatto è che mentre una delle due azioni – consumare carne o usare la macchina – la compiamo noi, e dunque ci è immediatamente presente, l'altra è lontana nel tempo e nello spazio. Entrambe le azioni si trovano sulla superficie, ma in luoghi molto distanti fra loro, ed il collegamento che le unisce non è così immediato e percepibile perché è nascosto in profondità. Certo, sforzandoci in una riflessione razionale, riusciamo senza troppe difficoltà a far emergere il collegamento. Il guaio sta nel fatto che il pensiero razionale non sta più alla base delle nostre azioni. La società dei consumi – per poter sopravvivere ed espandersi – lo ha sostituito con l'istinto, col capriccio improvviso e momentaneo. Insomma quella parte del pensiero che sottende al nostro agire è già cambiata radicalmente adeguandosi all'era della superficie. Quindi, seppur riusciamo ancora a comprendere le conseguenze ultime delle nostre azioni, questo non comporta automaticamente un cambiamento. Fra il comprendere quali sono le conseguenze del nostro stile di vita ed il modificare tale stile c'è in mezzo uno sforzo durissimo, quasi sovrumano. Lo sforzo di scalzar via l'istinto e tornare all’agire razionale. Probabilmente è per questa discrasia fra conoscenza razionale del danno che stiamo compiendo e difficoltà ad agire diversamente che nasce il disagio ed il senso di inadeguatezza dell'uomo moderno. Per concludere, ad oggi ancora sopravvive in noi la capacità di pensiero razionale – per quanto scollegata dalle azioni. Ma chi può dire che anche questa non sia un retaggio dell'epoca passata destinato a scomparire? Forse nel 2026, anno in cui scrive Baricco, questi collegamenti lontani non riusciremo più a farli neanche sforzandoci. Il nostro mondo si esaurirà nell'istante delle nostre azioni. Né prima, né dopo, né laggiù, solo qui ed ora. Allora, con la nostra coscienza sgombra dai sensi di colpa, potremo finalmente vivere felici e inconsapevoli.

Commenti

Grazie per questa replica: ben scritta, efficace e illuminante. Ma avanzo un'ulteriore obiezione a Baricco: non sarà che l'errore de suoi Barbari sia quello di collocare la "profondità" in una regione spaziale necessariamente oscura e nascosta? Io non intendo così la profondità; è piuttosto una "dimensione" dello spazio, una sua forma, non una sua parcellizzazione nascosta; e proprio perché è forma, la profondità riattiva una capacità della mente, invece di affannarla con delle segretezze che poi facilmente dissolve, perché giustamente non capisce più cosa siano.
Elisa M., 02-10-2010 01:02
Articolo veramente interessante.Personalmente non sono molto d'accordo su questo "surfare nevrotico" in cui ci applichiamo quotidianamente per affrontare i problemi che ci presentano ogni mattina dopo un buon caffè.Mi dispiace inoltre che il concetto di superficialità si applichi anche ai rapporti umani e vorrei tornasse in auge la famosa frase:"guardami negli occhi!!!"...spesso manca il tempo materiale.Per quel che riguarda il pensiero e l'agire razionale mi vien da dire che una mano in tal senso ce la potrebbe dare il sapere contadino;l'ottenere o meno un buon frutto, può dipendere da milleeuno motivi che possiamo cercare di capire percorrendo a ritroso la strada fino ad arrivare al seme che l'ha generato e al "letto di terra" che lo ha accolto. Grazie
Andrea D., 30-11-2010 06:30
La frase finale dell'articolo, molto bello e che fa riflettere, dischiude una questione allarmante: vivere il qui ed ora fino in fondo, con la nostra coscienza sgombra dai sensi di colpa, porta ad un comportamento senza la responsabilità delle proprie azioni, un'esistenza deresponsabilizzata, un "vivere felici e inconsapevoli" ma incuranti del "male" che possiamo procurare ad altri con il nostro agire. E, soprattutto, a livello generazionale, la responsabilità di stare consumando tutte le risorse del pianeta, senza alcun senso di responsabilità per quello che troveranno quelli che verranno dopo di noi: i nostri figli, i nostri nipoti. E da questa dicotomia società dei consumi-superficialità contra società contadina-profondità si può venire fuori solo imboccando la strada della decrescita felice, vivendo ogni attimo con consapevolezza e senso di responsabilità verso chi verrà dopo. Ma mi rendo conto che la maggior parte del genere umano ha intrapreso la strada sbagliata, cioè la prima; ha ragione baricco a presagire come sarà il futuro nel 2026...
Ettore M., 01-12-2010 08:01

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