di
Sergio Cabras
12-12-2013
Lanciata una raccolta di fondi per finanziare dal basso il progetto di un libro autoprodotto sull'agricoltura contadina, quell'agricoltura che costituisce ancora oggi gran parte della struttura produttiva alimentare anche nel nostro paese e in molti altri del mondo. Un libro per affermare con vigore la necessità di politiche agro-igienico-alimentari che permettano anche al piccolo produttore, e a chi sceglie di ritornare a vivere nella natura, di prodursi e vendere i suoi prodotti trasformati senza vincoli legali e fiscali che impedirebbero a chiunque di sopravvivere. Un libro importante per scardinare false certezze e impostare nuove soluzioni al fine di favorire una decrescita di scala cosciente e una deurbanizzazione ormai necessaria
“Uno spettro si aggira per l’Europa” diceva qualcuno molto tempo fa annunciando così l’avvìo di una lunga stagione di lotte e di speranze, anche di immani tragedie, ma certamente di entusiasmo e della fiducia di poter cambiare il mondo. Oggi sta forse ripartendo, più silenziosa, una diversa spinta radicale al cambiamento che prende le distanze dal modello di vita imperante e ne costruisce uno diverso. Più che uno spettro è uno spirito, di vita e non di morte, anche se la falce in mano potrebbe averla. E, come per uno spettro, si tratta di qualcosa che risorge, riappare, dopo esser venuta meno, essere stata data per estinta: è l’agricoltura contadina, familiare, su piccola scala, di sussistenza o come vogliamo chiamarla, ma un modello sostenibile di quell’interazione produttiva, quel dialogo infinito tra umani e Natura che è (o dovrebbe essere) l’agricoltura.
Sono sempre di più le persone che, di fronte alla crisi profonda (e forse al collasso imminente) della “civiltà” consumista cercano altre basi sulle quali vivere, senza consumarsi in militanze, combattimenti e progetti da “sol dell’avvenire”, senza aspettare che il mondo cambi per cambiare la propria vita, e così contribuendo qui ed ora a una riconversione più generale. Restando sulla terra, per chi ci è nato, tornandoci o, meglio, facendone il proprio futuro per chi viene dalla città.
Quando l’ho fatto io, alla fine degli anni ’70, andare in campagna era additata da molti, impegnati nelle lotte politiche, come niente più che una fuga dalla realtà. Non lo era, e oggi queste scelte sono all’ordine del giorno come alternativa radicale e credibile, mentre il concetto di rivoluzione sociale in cui si credeva allora lo è molto meno. Ma fuga non poteva essere anche perché la realtà del Sistema in cui viviamo non trascura di venirci incontro a ogni passo, anche in campagna, a presentarci il conto a ogni buona occasione.
Da Roma mi ero trasferito sul Monte Peglia, in Umbria, dove c’era (e tuttora resiste) una comunità di persone (allora un centinaio) sparse in una ventina di casolari e terreni demaniali abbandonati cui era stata ridata vita, occupandoli: molto lavoro di ricostruzione dei casali e bonifica dei pascoli, allevamento, lavoro dei campi… Ma ciò che più ci rendeva e rende tuttora difficile la vita è il rapporto con le istituzioni (Comunità Montana, Regione) che fra tentativi di sgombero e poi affitti precari, non hanno mai concesso un contratto di lungo periodo che consentisse di poter fare progetti con tranquillità. Mentre nella stessa zona ci sono decine di migliaia di ettari abbandonati ed oltre cento casolari disabitati già crollati. Le politiche sul demanio (che sarebbe un bene comune) volte a favore di disegni speculativi anziché per un’ottica di ripopolamento rurale, si son sempre presentate ai nostri occhi come dei pericoli più che come delle opportunità. Anni dopo, avevo cominciato a coltivare un oliveto e ho avuto un’idea: avrei potuto imbottigliare a casa il mio olio e venderlo al mercato in paese: vivere producendo cibo sano e, vendendone una parte, guadagnare quanto mi serviva di denaro liquido. Niente di nuovo, del resto, ciò che si è sempre fatto per generazioni. Non era una buona idea? E un’attività onesta? No: è un’atto criminale, si incaricarono di informarmene dopo non più di due ore i carabinieri che vennero a sequestrarmi l’olio e a farmi una bella multa. Anche solo per imbottigliare l’olio serve una procedura HACCP (1) e un laboratorio con l’approvazione della ASL e, per ottenere le attrezzature e i requisiti necessari, bisogna spendere decine di migliaia di euro che, per un piccolo produttore, sono impossibili da recuperare. Eppure il frantoio dove eran state spremute le olive era in regola e nella mia cucina io posso preparare cibo sia per me che per degli ospiti, anche per dei bambini, e (lasciatemelo dire) la qualità del mio olio (che è bio per davvero) sarà mica inferiore a quello del supermercato? Niente da fare: la legge è la legge. Certo, ma c’è anche un’altra cosa da sapere: che la legge è politica, non sta scritta nelle stelle, siamo noi umani che la facciamo, e possiamo cambiarla.
E allora, durante trent’anni di vita in campagna, mi son sempre chiesto perché ancora in pochi vedono una scelta di vita contadina oggi come un’alternativa possibile. Che è importante, perché una cosa è anacronistica, isolata e marginale quando è praticata da poche persone, altrimenti diventa un'opzione normale.
Ho pensato che non a tutti piace vivere sempre sul filo dell’illegalità, senza poter lavorare alla luce del sole e vendere tranquillamente i propri prodotti, indefinibili professionalmente, ignorati dalle normative che concepiscono solo la figura dell’“Imprenditore Agricolo Professionale”. Ho pensato che, tra le varie cose che riesco ad autoprodurmi, ci mancava un libro. Un libro in cui dar voce a chi lavora da anni per far valere le ragioni dei contadini tradizionali nel mondo e di quelli nuovi, che hanno scelto di esserlo. Un libro per dire, ad esempio, che l’agricoltura su piccola e piccolissima scala è ben lungi dall’essere estinta o residuale: il cibo che sfama l’umanità in tutto il pianeta, infatti, è tuttora prodotto al 75% da piccoli agricoltori e in Italia l’85% delle aziende sono a conduzione familiare, nella stragrande maggioranza piccole e senza dipendenti. L’estensione media per azienda è vicina ai 7 ettari, per l’85% è inferiore a 10 e nel 47% di questa quota è inferiore a 2; solo nel 2,2% dei casi l’estensione è superiore ai 50 ettari. Più che “marginale” si tratta forse solo di una realtà che non ha l’“onore” dell’attenzione dei media, dunque. Che per la PAC (2) 2014-2020, appena varata in via definitiva, dopo tanto parlare di sostegno ai piccoli agricoltori si è finito per destinargli solo qualche spicciolo (circa 500 € l’anno) senza invece mettere un tetto ai contributi diretti ai grandi latifondisti (3); che solo quest’anno son stati tolti dalle categorie beneficiarie degli aiuti in denaro i proprietari di terreni usati come aeroporti, campi da golf e simili, ma accatastati come agricoli, che hanno ottenuto (legalmente) per decenni soldi destinati all’agricoltura, ma si è lasciato alla discrezione dei vari stati nazionali come definire chi va considerato “agricoltore attivo” e quindi avente diritto agli aiuti o meno e che tra i soggetti meritevoli di sostegno allo sviluppo rurale son state inserite anche le compagnie di assicurazioni (4).
Un libro per dire che la biodiversità agricola (e alimentare) è in serio pericolo se è vero che il mercato globale delle sementi è controllato all’80% dalle prime 10 aziende multinazionali del settore e al 53% dalle prime 3 (Monsanto ha da sola il 27%), che sono anche le corporations leader dell’agrochimica e dell’ingegneria genetica applicata in campo agricolo; che nel mondo si è passati in pochi decenni da migliaia di varietà di piante ad uso alimentare a pochissime e sempre più artificiali e iperselezionate; ma anche per raccontare della risposta di tante organizzazioni contadine, de La Via Campesina, del miglioramento genetico partecipativo dello scienziato italiano Salvatore Ceccarelli; per parlare della rapina della terra nel mondo attraverso il land-grabbing, ma anche delle “dismissioni” del demanio in Italia per far quadrare i conti con l’Europa e con le banche d’affari mentre è in corso un evidente processo di concentrazione della proprietà fondiaria (5).
Un libro per analizzare le leggi vigenti, soprattutto in materia igienico-sanitaria e sulla vendita diretta, e dimostrare tutta la questione di volontà politica e di interessi che sta dietro al modello unico della produzione agroalimentare industriale e della Grande Distribuzione. Una ricerca atta a segnalare che esistono diverse proposte di legge che vanno nella direzione di un’apertura di spazi di agibilità legale per le produzioni
contadine (come quella di agricoltura contadina a livello nazionale e altre presentate in diverse Regioni italiane) e che vi sono inoltre già alcune leggi esistenti (come nella Provincia di Bolzano e nella Regione Abruzzo). Inoltre, con questo lavoro avanzo io stesso personalmente alcune idee inedite di soluzione della questione, il cui scopo è soprattutto quello di dare un contributo a una discussione su temi che ci riguardano tutti e che credo sia molto importante e urgente affrontare.
Per arrivare alla pubblicazione di questo libro è attualmente in corso una raccolta fondi di produzione dal basso/crowd funding sul sito:
www.limoney.it
ed è anche attiva una pagina Facebook: Terra e futuro, l'agricoltura contadina ci salverà
1. Un sistema creato dalla NASA per assicurare l’igienicità del cibo nelle navicelle spaziali e ora richiesto dai regolamenti europei sulle produzioni alimentari che non distinguono tra le piccole produzioni contadine e l’agroindustria.
2. Politica Agricola Comune europea; le è destinato quasi il 50% dei fondi pubblici europei.
3. I dati relativi ai contributi PAC del 2011 ci dicono che in Italia il 93,7% delle aziende agricole (1.170.000 aziende) ha ricevuto il 39,5% dei fondi a disposizione, per una media di 1000 € (mille euro) ad azienda, il 18% è andato allo 0,29% delle aziende e il 6% è stato diviso tra lo 0,0001% che sono 150 aziende alle quali è toccata una media di 1.589.000 € ognuna.
4. Per polizze contro i disastri provocati dai cambiamenti climatici e dalla volatilità dei prezzi sui mercati globali/speculazioni finanziarie sul cibo – problemi a cui si dovrebbero trovare ben altri tipi di soluzione che non le coperture assicurative.
5. Tra il 2000 e il 2010 le aziende con una superficie agricola tra i 2 e i 10 ettari sono diminuite del 20% circa. Questa tipologia di aziende ha perso in questo decennio un totale di circa 550.000 ettari e nello stesso periodo le aziende di oltre 100 ha hanno registrato un incremento di 270.000 ha e quelle tra i 50 ed i 100 ha di altri 360.000. Oggi l’1% delle aziende ha il 30% dei terreni agricoli e la tendenza è in aumento.
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