Dai recenti dati diffusi dall'Istat sul consumo idrico in Italia emerge che alle insane abitudini degli italiani, che sprecano l’acqua come se fosse inesauribile, si affiancano le condizioni pessime in cui versa la rete di distribuzione. Fino al 47% dell’acqua potabile, infatti, viene dispersa prima di arrivare nelle case.
In occasione della Giornata mondiale dell’acqua celebrata lo scorso 22 marzo, l’Istat ha pubblicato una sintesi della gestione e del consumo di acqua in Italia. Il quadro tracciato è abbastanza inquietante. Il primo dato che salta all’occhio è che l’Italia continua ad essere uno dei Paesi in cui si acquista la maggior quantità di acqua minerale.
Le famiglie del Belpaese, sembrano continuare a non fidarsi dell’acqua che sgorga dai loro rubinetti. In effetti, in alcune zone del Paese, nell’acqua continua ad esserci arsenico in percentuali eccessive per il consumo umano. Nella maggior parte dei casi, però, gli italiani più di chiunque altro sembrano essere semplicemente vittime della martellante campagna pubblicitaria di quello che è, incredibile ma vero, la principale fonte di guadagno del settore alimentare nostrano.
Ciò che colpisce maggiormente fra i dati Istat, sono però i dati relativi agli sprechi. Non solo gli sprechi di tutti coloro che lasciano il rubinetto aperto mentre lavano i piatti e i denti, o mentre stanno facendo tutt’altro. Ma anche quelli dovuti alle perdite rilevate a livello nazionale nel 2008: fino al 47% dell’acqua potabile viene dispersa a causa del pessimo stato in cui versano le condutture. Un fenomeno molto grave ed eccessivamente diffuso che, nonostante la privatizzazione (già avvenuta) di buona parte della rete idrica italiana ed il conseguente aumento delle tariffe, si è ulteriormente aggravato.
Ne è un esempio la provincia di Viterbo, che ha visto aumentare le tariffe idriche del 53,4% nel 2009, contro una media nazionale del 6,7%, a opera dei gestori privati. Senza che per questo i servizi siano migliorati. Un aspetto di cui sarà opportuno ricordarsi i prossimi 12 e 13 giugno, quando ci si dovrà recare alle urne per votare (sì) ai tre referendum.
Siamo abituati troppo bene, in Italia. O forse troppo male. Acqua potabile disponibile ogni volta che si vuole (per preferire poi quella messa in bottiglie di plastica!), fontanelle che zampillano nelle nostre città giorno e notte. Una pacchia che in pochi immaginano possa finire. Del resto, fino ad una eventuale privatizzazione di tutti i servizi idrici, il prezzo rimane nella maggior parte dei casi abbastanza esiguo. Pochi soldi per un bene dal valore inestimabile. Ma l’acqua, sprecata in modo indecente sia a causa dei nostri stili di vita che di una rete di distribuzione ridotta ad un colabrodo, potrebbe non essere più così abbondante, in futuro.
Eppure qualcosa si muove. Sia all’estero che in Italia. A Singapore, ad esempio, si è trovata una soluzione a dir poco sconvolgente al problema della scarsità idrica: riciclare le acque di scarico, incluse quelle dei gabinetti, trasformandole in acqua potabile. Toilets to tap è il nome di questa rivoluzionaria idea. Forse rivoltante, ma già accettata da buona parte dei cinque milioni di abitanti dell’isola, da sempre dipendente dalla vicina Malesia per le forniture idriche, che ora bevono la loro NeWater senza particolari problemi. Una soluzione scioccante, ma necessaria.
Il buon esempio italiano riguarda invece la regione Umbria, che ha creato un regolamento per il risparmio idrico focalizzandosi in particolare sulla dispersione e sullo spreco domestico. Sono infatti previste multe per i fornitori che non rispetteranno l’obbligo di ridurre in un periodo di tempo che va dai tre ai sei anni la dispersione delle acque. A questo tipo di misure si vanno ad aggiungere quelle relative alla riduzione tariffaria (fino al 20%) prevista per coloro che riusciranno ad utilizzare meno acqua in rapporto al numero di componenti del nucleo familiare, parallela ad una maggiorazione delle bollette riservata a chi ne consumerà in quantità eccessive.
Scelte rischiose, se non altro per una questione di popolarità. Ma si sa, per portare le persone a fare più attenzione ai consumi, ed agli sprechi, il modo più efficace è quello di andare a toccare il loro portafogli. Del resto, è meglio cambiare alla svelta le proprie abitudini, anche nell’ottica di una possibile privatizzazione della rete idrica nazionale (questo dipenderà dal referendum), se si vuole evitare il peggio. Perché il problema è più vasto di quanto sembri, e va ben oltre le nostre tasche: riguarda gli assetti geopolitici del mondo intero. Non è un caso, infatti, se in molti già chiamano l’acqua 'il petrolio del 21º secolo'.